Capitolo I-2

2059 Words
«No, no, giudice», rispose il cacciatore ridacchiando fra sé, e con quell’aria d’esultanza che indica la coscienza di un’abilità superiore. «Avete bruciato la polvere soltanto per scaldarvi il naso, con questo freddo. Credevate di fermare un cervo adulto, con Hector e la cagna quasi addosso, con quel fucilino da bambini? Nelle paludi ci sono molti fagiani; e i fringuelli volano così vicini alla vostra porta da poterli sfamare con le briciole e poi sparare a volontà; ma per il cervo, o per un po’ di carne d’orso, giudice, serve la carabina lunga o sprecherete polvere e resterete a stomaco vuoto». Così concludendo, colui che aveva parlato si coprì il naso con la mano nuda e spalancò di nuovo l’enorme bocca in una specie di risata interiore. «Il fucile risponde bene, Natty, e ha ucciso un cervo prima d’oggi», rispose il viaggiatore, con una risata cordiale. «Una canna era carica di pallottole da cervo, e l’altra soltanto di pallini per gli uccelli. Ecco qua due ferite: una nel collo e un’altra proprio nel cuore. È certo, Natty, che una delle due è la mia». «Chiunque l’abbia ammazzato», ribatté il cacciatore un po’ brusco, «scommetto che quest’animale è da mangiare». Così dicendo cavò fuori un grosso coltello da una guaina di cuoio che portava infilata nella cintura, o meglio nella fusciacca che gli cingeva la vita, e tagliò al cervo la gola. «Se ci sono due palle, domando e dico, non ci sono stati forse due fucili? E poi chi ha visto mai uno squarcio come questo del collo, prodotto da un fucile a canna liscia? E dovrete riconoscere, giudice, che il cervo è caduto all’ultimo sparo, che era opera di una mano più giovane e più ferma della vostra e della mia; per parte mia, benché io sia un povero diavolo, posso vivere senza cacciagione, ma non mi piace rinunciare ai miei diritti in un paese libero. Benché, quanto a questo, mi sembra che la forza la vince qua come al paese vecchio». Il cacciatore pronunciò il suo discorsetto con un’aria di cupo malcontento, e stimò prudente finire la frase a bassa voce, così da non lasciar udire che un confuso borbottio. «Via, via, Natty», continuò il viaggiatore con inalterata bonarietà, «sai bene che io penso solo all’onore. Per pochi dollari comprerò la bestia, ma chi mi ripagherà della gloria perduta di una bella coda di cervo sul mio berretto? Pensa, Natty, come trionferei su quel briccone di d**k Jones, che con tutti i suoi sogghigni ha fatto fiasco già sette volte quest’inverno, e non ha portato a casa che una marmotta e qualche scoiattolo grigio». «Ah, la caccia comincia a scarseggiare, giudice, con tutte le vostre chiarite e le vostre migliorie», disse il vecchio, di malumore. «C’è stato un tempo in cui ho ammazzato tredici cervi, senza contare i cerbiatti, stando sulla soglia della mia capanna! E quanto a carne d’orso, se uno ne voleva una coscia, per esempio, non aveva che da appostarsi di notte e poteva prenderne uno, con la luna piena, dalla fessura dei tronchi; e senza paura di addormentarsi, perché ci pensava l’ululato dei lupi a fargli tenere gli occhi aperti. Ecco qua il vecchio Hector», continuò carezzando affettuosamente un alto segugio a macchie gialle e nere, col ventre e le zampe bianche, che si era accostato all’odore, insieme alla cagna già nominata. «Guardate dove l’avevano preso alla gola, i lupi, la notte che li cacciai dalla selvaggina che stava ad affumicare sul comignolo… Questo cane è più fidato di un cristiano, perché non dimentica gli amici e ama la mano che gli dà il pane». Nelle maniere del cacciatore c’era qualche cosa di strano che attirava la curiosità della giovane donna, la quale, fin dal momento in cui era comparso, osservava con vivo interesse il suo aspetto e il suo equipaggiamento. Era un vecchio alto, e così magro da sembrare anche più lungo del metro e ottanta che misurava senza scarpe. Sulla testa dai capelli biondicci, radi e lisci, portava un berretto di pelle di volpe, simile per la foggia a quello descritto poco fa, ma molto più modesto in quanto a rifiniture e ornamenti. Il viso era scarno, segnato, quasi macilento, ma non portava traccia di malattie, anzi denotava una salute eccezionalmente robusta. Il freddo e la vita all’aria aperta gli avevano dato un’uniforme tinta rossa: i suoi occhi grigi balenavano sotto lunghe e irsute sopracciglia dove peli grigi si mescolavano a quelli di color naturale; il collo scarno, abbronzato come il volto, era nudo benché un lembo del colletto di una camicia a scacchi, secondo l’uso del paese, spuntasse dall’apertura di una specie di giubbotto di pelle di daino conciata, col pelo interno, stretta intorno al magro corpo da una cintura di filo ritorto multicolore. Calzava mocassini di daino ornati di aculei di porcospino alla maniera degli indiani, e le sue gambe erano protette da lunghe ghette dello stesso materiale, che, giungendo fin sopra il ginocchio sugli scoloriti pantaloni, gli avevano guadagnato fra i coloni il nomignolo di Calza-di-Cuoio. Dalla spalla sinistra pendeva, appeso a una cintura di pelle, un enorme corno da caccia, così consunto da lasciar trasparire il contenuto. La parte più larga era chiusa da un ingegnoso disco di legno, e l’altra tappata ermeticamente da un piccolo turacciolo di metallo. Sul petto gli ciondolava un borsotto, pure di pelle, da cui, mentre concludeva il discorso, cavò fuori un misurino, e dopo averlo accuratamente riempito di polvere, cominciò a ricaricare il fucile, che, col calcio sulla neve dinanzi a lui, arrivava quasi alla cima del suo berretto di pelo. Frattanto il viaggiatore era andato esaminando con attenzione le ferite; e ora, senza far caso al malcontento del cacciatore, esclamò: «Vorrei stabilire un diritto, Natty, sull’onore di questa morte: e se la ferita sul collo è mia, basta così: perché il colpo al cuore non era necessario… è quello che chiamiamo un atto di supererogazione, Calza-di-Cuoio». «Chiamatelo pure come vi pare e piace, giudice», disse il cacciatore buttandosi il fucile sul braccio sinistro e battendo la mano su un piccolo coperchio d’ottone da cui trasse un pezzetto di pelle ingrassata che, dopo avervi avvolto una pallottola, infilò a forza sulla polvere, continuando a premere energicamente mentre parlava. «È più facile dire paroloni che colpire un cervo mentre salta; ma questa bestia ha trovato la morte per opera di una mano più giovane della vostra e della mia, come ho già detto». «Che ne dite, amico?», esclamò il viaggiatore volgendosi cordialmente al compagno di Natty: «Buttiamo in aria un dollaro per decidere a chi tocca l’onore, e se perdete tenetevelo pure. Che ne dite dunque?». «Dico che il cervo l’ho ucciso io», rispose il giovane con una certa alterezza, appoggiandosi a un lungo fucile simile a quello di Natty. «Siamo due contro uno!», replicò il giudice con un sorriso. «Addio votazione. Sono liquidato, come diciamo noi! C’è Aggy che non può votare perché è uno schiavo, e Bess che è minorenne. Ma vendetemi l’animale e il diavolo se lo porti se non inventerò una bella storia sulla sua morte». «Non sta a me venderlo», ribatté Calza-di-Cuoio adottando un po’ dell’alterigia del suo compagno. «Per parte mia, ho visto animali che viaggiano per notti e giorni con una ferita nel collo; e io non sono di quelli che derubano gli altri di quel che gli è dovuto, di diritto». «Sei ben attaccato ai tuoi diritti, con questo freddo, Natty!», ribatté il giudice con inalterabile buonumore «ma che ne dite, giovanotto, tre dollari vi ripagherebbero del cervo?». «Cerchiamo prima di definire la questione del diritto con piena soddisfazione di entrambi», disse il giovane con voce ferma ma rispettosa, e con una pronuncia e un modo d’esprimersi assai superiori al suo aspetto. «Con quante pallottole avevate caricato il fucile?». «Con cinque, signore», rispose il giudice, alquanto colpito dalle maniere dell’altro. «Non bastano per uccidere un cervo come questo?». «Ne basterebbe una, ma», continuò lo sconosciuto riavvicinandosi al tronco dietro il quale era scomparso, «voi sapete benissimo, signore, di aver sparato in questa direzione: ecco quattro pallottole nell’albero». Il giudice esaminò i segni freschi nella corteccia del pino e, scosso il capo, rispose ridendo: «Voi fate il processo contro i vostri interessi, mio giovane avvocato… dov’è la quinta?». «Qui», rispose il giovane buttando giù il rozzo pastrano che indossava e indicando un foro nella camicia da cui stillavano grosse gocce di sangue. «Buon Dio!», esclamò il giudice, inorridito. «Stavo scherzando su una vana superiorità, e un mio simile soffriva per colpa mia senza un lamento! Presto, presto, entrate nella mia slitta, non c’è che un miglio da qui al villaggio dove si può avere l’assistenza medica… Tutto sarà fatto a mie spese, e voi resterete con me fino a completa guarigione… sì, e anche dopo!». «Vi ringrazio per le vostre buone intenzioni, ma sono costretto a declinare l’offerta. Ho un amico che starebbe in pensiero se sapesse che sono ferito e lontano da lui. È cosa da poco, e la pallottola non ha toccato l’osso; ma credo, signore, che adesso riconoscerete il mio diritto alla preda». «Se lo riconosco!», ripeté il giudice, tutto agitato. «Ti investo qui del diritto di uccidere cervi, orsi o tutto quello che ti pare in questi miei boschi, per sempre. Calza-di-Cuoio era l’unico a cui avevo concesso questo privilegio, e verrà un momento in cui avrà un bel valore! Ma compro il cervo, ecco qua, questo biglietto ti ripagherà per il tuo colpo di fucile e per il mio». Durante questo dialogo, il vecchio cacciatore si era raddrizzato in tutta la sua alta statura con aria d’orgoglio, ma aspettò che l’altro avesse finito di parlare. «È ancora vivo qualcuno che dice che il diritto di Nathaniel Bumppo di cacciare su queste montagne è più antico che quello di Marmaduke Temple di proibirlo», disse. «Ma se c’è una legge (benché chi ha sentito mai dire di una legge che proibisce a qualcuno di sparare a un cervo dove più gli piace!), insomma se c’è una legge, dovrebbe impedire alla gente di sparare con quei fucili a canna liscia. Uno non sa mai dove schizzerà il piombo quando si preme il grilletto di una di quelle armi da fuoco così poco sicure». Senza curarsi del soliloquio di Natty, il giovane si inchinò in silenzio all’offerta della banconota, e rispose: «Vogliate scusarmi: ho bisogno di quel cervo». «Ma con questa potrai comprartene molti altri!», disse il giudice. «Prendila, te ne prego!». E abbassando la voce in un bisbiglio aggiunse: «Sono cento dollari». Per un attimo, il giovane sembrò esitare; poi, arrossendo violentemente sotto i vivi colori che il freddo aveva deposto sulle sue guance, quasi vergognandosi della sua debolezza, tornò a declinare l’offerta. Durante questa scena la ragazza si era avvicinata e, incurante del freddo aveva tirato indietro il cappuccio. «Giovanotto… signore» intervenne ansiosamente, «non addolorate mio padre costringendolo a lasciare qui, in questo deserto, una persona ferita dalle sue mani. Vi supplico di venire con noi e di farvi curare». Sia che la ferita si facesse più dolorosa o che nelle maniere e nella voce della bella mediatrice dei sentimenti paterni vi fosse qualche cosa di irresistibile, la freddezza del giovane fu addolcita da questo appello, ed egli sembrò molto incerto, riluttante ad acconsentire e pure spiacente di rifiutare. Il giudice – perché tale essendo il suo ufficio, così d’ora in poi lo chiameremo – seguiva con interesse i segni di questa singolare tenzone di sentimenti sul viso del giovane; poi, facendo un passo avanti, lo prese gentilmente per mano e lo spinse con dolcezza verso la slitta invitandolo a entrarvi. «Non c’è possibilità di aiuto se non a Templeton», disse, «e la capanna di Natty è a tre buone miglia da qui; vieni, mio giovane amico, vieni con noi e lascia che il nuovo medico guardi la tua spalla. Natty porterà notizie tue a quel tuo amico, e se mai, potrai tornartene a casa domani mattina». Il giovane riuscì a svincolarsi dalla cordiale stretta del giudice, ma continuava a guardare il volto della fanciulla la quale, incurante del freddo, stava ancora a testa scoperta, e i cui bei lineamenti assecondavano eloquentemente la richiesta del padre. Calza-di-Cuoio se ne stava intanto appoggiato al suo lungo fucile, con la testa un po’ china, immerso nelle sue meditazioni; poi soddisfatti a quanto pareva i suoi dubbi, dopo un attento esame del problema, ruppe il silenzio.
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