2.
Lerer aveva avuto un’istruzione accurata, specie sulla politica dei regni. Vista la sua posizione era naturale che fosse così. I quattro regni dell’Altopiano erano in pace da quasi trent’anni, ma quelli della pianura erano decisamente meno tranquilli. Quindi Lerer aveva imparato tutto il necessario sulle infinite scaramucce intercorse tra loro.
La guerra tra Pulume e Worarche si era conclusa cinque anni prima. In quell’occasione Worarche si era alleata con la vicina Essenta e aveva assoldato un esercito mercenario, uno dei più grandi dell’epoca: quello di Seragh delle Lince.
Dopo quell’episodio, se non sbagliava, di lui non si era più sentito parlare. Lerer non si era chiesta nulla in merito, ma se l’avesse fatto probabilmente si sarebbe risposta che Seragh si fosse arricchito a sufficienza da ritirarsi.
Era chiaro che non era così.
Ora, Lerer non doveva biasimarsi troppo per non averlo riconosciuto subito. Per prima cosa pensava che fosse più vecchio. Per qualche motivo quando il tuo precettore ti parla di qualcuno tendi a immaginare che sia un personaggio ormai morto e sepolto, o almeno avanti con gli anni. Ma la guerra tra Palume e Worarche era finita cinque anni prima, appunto, quando Lerer ne aveva poco più di tredici, e che Seragh delle Lince ora fosse sulla trentina non era affatto strano.
Ovviamente Lerer non si sarebbe aspettata di trovarlo al comando di un drappello di sicari, ma nemmeno quello era così strano. E, ripensandoci, la loro disciplina era così insolita che avrebbe già dovuto venirle qualche sospetto.
Pensò tutto questo velocemente e confusamente prima di addormentarsi. Sapere con chi aveva a che fare l’aveva un po’ sollevata. E anche il fatto che nessuno avesse provato ad allungare le mani. Iniziava a pensare che quella disavventura si sarebbe conclusa meglio di come aveva temuto e l’idea le permise di rilassarsi a sufficienza da addormentarsi.
Si svegliò quando iniziò a esserci luce. Era al caldo e anche se il terreno era duro aveva qualcosa di morbido alle spalle. Socchiuse gli occhi e vide, a pochi passi di distanza, un uomo che pisciava sulle braci del fuoco. L’odore forte di ammoniaca le colpì le narici, facendole emettere una specie di mugolio disgustato.
Qualcuno le schermò gli occhi con una mano e Lerer capì due cose: primo, la cosa morbida che aveva dietro era una persona; secondo, la persona a cui era indecentemente appiccicata purtroppo era sveglissima.
«Abbiate pazienza, altezza. Sono dei cafoncelli» disse Serath, o Seragh, alle sue spalle. Alzò leggermente la voce. «Solo dei cafoni si comporterebbero così davanti a una signora».
Seguì uno “scusate” piuttosto imbarazzato, al quale Lerer rispose con un magnanimo “non importa”.
Serath tolse la mano. «Tutto bene?» chiese. «A parte Marten, diciamo».
Lei scosse la testa e si voltò a metà verso di lui. «Tutto bene. La mia istruzione ha fatto un inaspettato balzo in avanti. E ho capito chi siete, finalmente. La vostra presentazione ha lasciato un po’ a desiderare, signor Enrt».
Lui le rivolse un sorriso un po’ sarcastico. «Ora sono il signor Enrt, altezza?».
Lei sospirò. «A quanto pare. Questo non significa che possiate starmi così appiccicato, comunque».
Serath sgranò gli occhi e aprì la bocca come se intedesse protestare (d’altronde ne avrebbe avuto ogni diritto, visto che non era stato lui a rotolare durante la notte), ma poi cambiò idea e si limitò a un falso sorriso contrito. «Chiedo scusa, vostra altezza» disse, tirandosi a sedere.
Lerer gli rivolse un’occhiata divertita, avvolgendosi meglio nelle proprie coperte puzzolenti.
Più tardi, mentre piegava quelle coperte preparandosi alla partenza, ascoltò una conversazione interessante, che la aiutò a chiarirsi ulteriormente le idee.
«Ma che accidenti ti è venuto in mente di tirare in mezzo Enid?» sentì dire a Hargas. Lerer non si voltò, continuò solo a fare quello che stava facendo senza dimostrare di star ascoltando.
«Déi, ancora? Scherzavo, la smetti di rimbrottarmi? Ehi, va bene, era fuori luogo... perché non te la prendi con Marten, che stamattina le ha quasi pisciato addosso?» rimbeccò l’altro, sottovoce, ma chiaramente irritato.
Si sentì sputare (strano), e poi: «Chi se ne frega della zoccoletta di Lorenn, parlo di Serath. Secondo te vuole sentirti nominare Enid?».
«La stai facendo troppo lunga. Scherzavo. Lo sanno tutti che Enid può dormire tra due guanciali. Be’, uno e mezzo, magari, perché mi ricordo un paio di volte in cui...»
«Ma sei scemo?».
Un pesante sospiro. «Che c’è ora?».
«Perché devi parlare così dei morti, eh? Non è rispettoso».
Ci fu un secondo di silenzio.
«Quali morti?» chiese Verli, alla fine.
Hargas imprecò (e sputò). «Enid, no?».
«È morta?».
Lerer finì di piegare le coperte e andò verso le bisacce, ma senza distogliere l’attenzione dalla conversazione in corso.
«...ammazzata mentre passava per l’Attiria, poco più di un anno fa. Verli, ho capito che sei tornato solo da due settimane, ma come fai a non saperlo?».
«Non lo sapevo. Che cazzo, non lo sapevo. Ma come...»
«Aspettata per la strada. Altro non so. Non è... comunicativo, sull’argomento. Non so che cosa le hanno fatto. È morta, comunque».
«Ma... perché? Cioè, chi...»
«Lambeth Etria» disse la voce metallica di Serath, interrompendo il dialogo a mezza voce dei due. Lerer si voltò.
«Volevi sapere chi è stato? Lambeth Etria» spiegò Serath a Verli. Il giovane mercenario sembrava impietrito.
«E altre persone senza importanza, ormai morte anche loro. Ma Lambeth è aldilà della mia portata, quindi, sì, è anche per questo che sono incazzato» concluse l’altro, finendo di asciugarsi i capelli con la sua coperta appallottolata. Poi si rivolse a tutti in generale. «Partiamo tra poco. Altezza, andate a farvi un giro nel bosco, così finiamo di spegnere le braci nel solito modo incivile».
Lerer sorrise appena e gli rivolse un mezzo inchino, allontanandosi dalla radura quanto bastava per non dover vedere il secondo spettacolo inappropriato della giornata.
Anche se in realtà, dopo aver assistito all’impresa di Marten, doveva ammettere di essere un po’ delusa da quella parte anatomica di cui le avevano tanto parlato.
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Era finita sul roano di Hargas, questa volta. Serath aveva fatto cambio spiegando che quella povera bestia era abituata a portare il corpulento mercenario barbuto, quindi avrebbe sopportato meglio il peso di due persone, rispetto al suo delicato leardo.
«Anche se forse non è stato un grande affare, per Bardo. Probabilmente Hargas pesa più di noi due messi assieme» aggiunse, a mezza voce, dopo che furono partiti.
Il bosco era ancora in ombra e il freddo era acuto. Lerer era avvolta nella sua coperta puzzolente, ma ormai si era abituata, quindi non sentiva più il cattivo odore. Aveva le guance e le mani arrossate, le giunture doloranti e i capelli tutti ingarbugliati.
Non rispose alle considerazioni dell’altro, immersa in riflessioni vaghe e angosciose sul proprio futuro. Quando si riscosse non fu per intavolare una conversazione superficiale e innocua con il suo compagno di sella.
«Conosco Lambeth Etria» disse, di punto in bianco. «È una caccola».
«Mi fa piacere che lo pensiate» rispose Serath, freddino.
«È venuto a chiedere la mia mano, su a Lorenn. Oh, con tutti gli altri. Lui è una caccola e Pulume è uno sputo».
Si voltò appena e vide che Serath aveva un’espressione un po’ perplessa.
«Be’? Non crederete di essere l’unico a conoscere certe parole».
«No, altezza. Ma confesso che non mi aspettavo di sentirvele usare».
Lerer si strinse nelle spalle con noncuranza. «Forse avete ragione. Quello che sapara il volgo dalla nobiltà è solo la proprietà di linguaggio e la virtù di saper scegliere infallibilmente il cappello giusto per ogni occasione».
Serath sorrise appena. «Quanto cinismo in una principessina così giovane».
Lei gli restituì uno sguardo vuoto. «Be’, ho un’educazione, che cosa credete. Il cinismo ne è stato l’elemento principale. E avete ragione anche su un’altra cosa: Lambeth non è alla vostra portata».
L’espressione di lui si fece dura, ma non replicò.
Lerer inarcò le sopracciglia. «Ma io sì, quindi forse farei bene a starmene zitta».
«No, non dovreste preoccuparvi» rispose lui, ora pensieroso. «Neanche voi siete alla mia portata. Vi accompagnerò fino a Worarche e di lì potrete scrivere a Wince di Attiria e rassicurarlo sulla vostra incolumità. Spero che il matrimonio non fosse vicino. Altrimenti dovrete spostare la data».
«Non ci sarà nessun matrimonio» sbuffò lei. «Io sarò cinica, ma voi non sarete un po’ troppo naïve?».
«Nessuno mi aveva mai accusato di essere naïve... bah, è possibile. Siete sana, salva e tutta d’un pezzo. Probabilmente se fossi in voi eviterei di parlare delle abitudini mattutine di Marten, ma sono sicuro che ci avevate pensato anche da sola».
Lerer sorrise lievemente. «Varrebbe la pena di trovarsi di nuovo faccia a faccia con Wince solo per raccontarglielo». Lasciò vagare lo sguardo sul bosco. Era fitto come sempre e sembrava non avere mai fine. «No, credo che ne faremo a meno. Non voglio turbarvi con il mio linguaggio inappropriato, ma, vedete, Wince è uno stronzo bigotto. La sua purissima promessa sposa in giro per quattro giorni con un drappello di mercenari? Non corrisponde alla sua idea di fidanzamento».
Serath si irrigidì. «Nessuno vi ha fatto niente» ribadì, irritato. E, Lerer ora lo capiva, un po’ spaventato. Non voleva grane con una principessa. Non voleva altre grane con una testa coronata. Lerer lo capiva benissimo, ma era un po’ troppo tardi.
«Non dovete convincere me» disse, più gentilmente. «Anzi, suppongo che vi spettino delle scuse per come vi ho trattato». Si voltò a metà e gli rivolse uno sguardo divertito. «Scuse che non vi porgerò, non temete. Come dicevamo, sono nobile. E immagino che uccidere Blaten fosse proprio indispensabile. Non lo conoscevo bene, ma pareva un caro signore».
Sembrò che Serath stesse per sputare sulla strada, ma alla fine si trattenne. In ogni caso, il suo viso si deformò in una smorfia di disprezzo. «Ha stuprato la nipote di sei anni della contessa di Dart, buona amica della regina di Worarche».
Lerer sbatté le palpebre un paio di volte.
«È uno strano mondo» borbottò, alla fine. Tornò a guardarlo. «Ne siete sicuro?».
Serath annuì una sola volta. «Ho... parlato con la bambina». Diede un leggero colpo di tosse. «In ogni caso, mi limito a eseguire gli ordini».
«Sì?».
«Dipende» ammise lui.
«Be’, ora mi accuserete di nuovo di essere cinica, ma cosa dovrei pensare se per una volta che incontro un caro signore scopro che ero semplicemente troppo vecchia per lui?».
Serath iniziò a tossire. «Che linguaccia, principessa» disse, alla fine, con uno scintillio divertito negli occhi. «Fino a pochi secondi fa mi sentivo in colpa al pensiero di aver mandato a monte il vostro matrimonio, ma inizio a credere di aver solo accelerato un destino inevitabile. Accettate un consiglio naïve, vostra altezza: il prossimo impalmatelo il giorno stesso».
Lei rise. «Oh, suppongo che mia madre non ne sarà molto felice, ma credo che voi e i vostri compari mi abbiate semplicemente liberata del problema. Nessuna testa coronata vorrà gli scarti di Wince, di conseguenza penso proprio che potrò tornarmene a Lorenn e fare quel che meglio credo».
«State scherzando» disse Serath, terreo.
«No» rispose lei. Non sembrava affranta come avrebbe dovuto. In realtà sembrava piuttosto soddisfatta.
«E, tanto per sapere... vostra madre, la regina, ha l’abitudine di vendicarsi di, diciamo, i poveri soldati che eseguivano soltanto gli ordini?».
Lerer si guardò attorno. «Cielo, dove? Dov’è questo poveretto? Bisogna procurargli una zuppa calda e qualche vestito senza buchi».
«Non scherzate».
Lei sospirò. «Va bene, non scherzo. No, non credo che mia madre vorrà la testa di nessuno di voi. La mia? Forse, ma persino lei può arrivare a capire che non ho sabotato il mio matrimonio, come temeva che facessi. Sono innocente».
«Inizio a sospettare che vi sia solo mancato il tempo».
Lerer gli rivolse un sorriso compiaciuto e non rispose.
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Cavalcarono fino a sera senza quasi interruzioni. Lerer non era abituata a viaggiare così e dopo poche ore iniziò a soffrire la sella, l’immobilità, i sobbalzi e, semplicemente, a trovare l’esperienza fin troppo faticosa. All’inizio si agitò sull’arcione, cercando una posizione più comoda che non esisteva, poi rischiò di cadere per essersi quasi addormentata.
«Ragazzi, dobbiamo fermarci» annunciò Serath, a un certo punto.
Hargas imprecò e sputò sulla strada.
«Ma no» borbottò Lerer. «Posso continuare un altro po’».
Era una bugia, una bugia smaccata. Lo sapeva lei e lo sapevano tutti i mercenari del drappello.
«Potreste provare a, uhm, cambiare posizione» suggerì Serath, dubbioso. «Questa sella non è fatta per cavalcare all’amazzone. Se vi mettete... dritta, potrete appoggiarvi».
Normalmente Lerer non l’avrebbe fatto. Non stava bene, era indecoroso. Ma nemmeno essere avvolta in una coperta puzzolente o dormire vicino al fuoco era molto decoroso e le chiappe le facevano davvero male, così scavalcò l’arcione con una gamba e si sistemò meglio che poteva.
«Hargas, vai avanti tu. Chiudo io la fila» disse Serath. Lerer intuì che quella nuova posizione le lasciava scoperta una porzione di gambe che il mercenario considerava eccessiva, ma dato che voleva proseguire verso la sua destinazione avrebbe finto di ignorare la cosa e si sarebbe limitato a spostarsi dove i suoi uomini non potessero rifarsi troppo gli occhi.
A Lerer non importava in modo particolare. Aveva appena scoperto di trovare quella posizione stranamente gradevole. Il sesso le premeva sulla sella calda e starsene così, a gambe larghe, era... interessante. Adesso, inoltre, il suo sedere premeva contro l’inguine di Serath e anche quello era... interessante.