IV

1014 Words
IV Sino dall’anno 1600 la famiglia dei Gyde aveva il suo posto nella storia del Cumberland. Sir John Gyde, disertando la casa paterna, era venuto a fabbricarne una per sé nel Cumberland. Si può ancor oggi rendersi conto della magnificenza con la quale fu costruita la nuova dimora. Sir John era un signorotto di vecchio stampo. Se avesse vissuto ai nostri giorni e se i rappresentanti della legge avessero avuto conoscenza di certi suoi scherzi, egli si sarebbe trovato, dopo ventiquatt’ore in una prigione di Carlisle e sarebbe stato impiccato certamente tre settimane dopo la sua comparsa davanti alle Assise. Nondimeno nell’anno milleseicento egli era rispettato e temuto come tutti i signorotti di quel tempo. I soli amici di Sir John erano il vino e il tabacco; i contrabbandieri di Ravenglass ne sapevano qualche cosa. Egli aveva tutte le indulgenze per i furfanti che gli portavano del danaro e imprigionava e impiccava la brava gente che non poteva o non voleva rifornire la sua borsa. Aveva sedotto molte donne e molte ragazze, aveva ucciso tre uomini in duello, ciò che non gli aveva impedito di esercitare la funzione di Giudice di Pace nella contea. Aveva chiamato la sua nuova dimora il Castello dei Gufi e sotto questo nome sussiste ancora nei pressi delle colline di Blencarn, un formidabile ammasso di pietre e che fa pensare a un vecchio malfattore miracolosamente mummificato. Vi sono muri di venti piedi di spessore, una corte interna che risuona tuttora di echi misteriosi, alcune torri incrinate, dei sotterranei e degli interminabili e inestricabili corridoi, delle piccole camere segrete e una galleria di quadri in cui molti dei Gyde sfidano ancora il rigore del tempo. Ma essi portano i loro peccati scritti sulle facce patibolari; si può capire all’istante il genere degli amori e degli odi di quella sinistra famiglia. La sua storia è scritta a lettere di sangue e vi era qualcosa di terribile nella rapidità con la quale i suoi eroi scomparivano dalla scena per far posto ad altri. Avevano tutti la vita breve ed avevano avuto parecchi contatti con la morte. Sir Lionello Gyde uccise Sir Tommaso Fiennes in duello e fu ucciso a sua volta dal figlio di Sir Tommaso. Nel suo ritratto è vestito di un velluto la cui tinta violetta è sbiadita dal tempo, e, dall’alto della sua cornice, egli guarda eternamente dritto davanti a sé. Attraverso le alte finestre della galleria, il suo sguardo non cessa di seguire l’oscillazione dei pioppi che ondeggiano al vento. Si potrebbe crederlo un bello e bonario cavaliere medioevale, ma i suoi occhi hanno quel colore azzurro, freddo, tanto comune negli assassini. Di fianco a lui c’è una cornice dalla quale è stato strappato il ritratto. Colui che vi era rappresentato aveva una storia che non si poteva raccontare. Un po’ piú lontano si vede l’immagine di un bel gentiluomo, gran cacciatore di volpi e bevitore di porto... e non è difficile leggere sul suo volto che quelle erano state le sole passioni della sua vita. Non furono tutti cattivi, i Gyde, e le lettere di sangue con le quali è scritta la loro storia non si trovano in tutte le pagine. Però dove si trovano brillano di una luce terrificante. La fortuna della famiglia aveva avuto i suoi alti e bassi. I suoi beni erano stati confiscati una volta, poi le erano stati restituiti. Uno dei suoi membri, Aldemaro Gyde, aveva condotto per un certo periodo di tempo un’esistenza fastosa a Londra. In seguito, dedicandosi al commercio, i Gyde si erano quasi completamente rovinati e si erano ripresi soltanto quando il padre di Sir Antonio Gyde trasse profitto dal suo genio come banchiere. Quando Sir Antonio figlio, che è uno degli eroi di questa storia, perdette suo padre, si trovò possessore di ventimila sterline, del castello dei Gufi nel Cumberland, di una casa a Londra e della reputazione di pazzo che si era guadagnata ad Oxford; reputazioni queste che costituirebbero la piú originale collezione del mondo, se si potessero raccogliere e classificare, ma che non sempre sono fondate. Comunque, quando Antonio Gyde divenne Sir Antonio Gyde, succedendo a suo padre nella banca, non tenne a conservare la reputazione che aveva lasciata a Oxford. Fu un avvenimento sorprendente quando l’Università perdette uno dei suoi studenti, noto soprattutto per il suo bel viso e per la sua passione sfrenata per le edizioni principe... E, pochi mesi dopo, la Borsa di Londra sentí che un nuovo genio finanziario era apparso all’orizzonte. Oxford ci perdeva nel cambio, ma il mondo universitario non aveva saputo riconoscere il talento del giovane Gyde. Il nuovo titolare della banca aveva il dono di saper valutare con giusto criterio le imprese che gli venivano proposte, nonostante le lusinghe e i consigli degli intermediari. Era l’uomo che sarebbe riuscito in qualsiasi affare, ma bisogna confessare che egli non avrebbe potuto arrivare cosí lontano senza l’eredità di suo padre, un credito illimitato e qualche ottimo affare già iniziato. Quando succedette al padre aveva ventidue anni; all’inizio della nostra storia ne aveva quarantadue. In quei vent’anni aveva lavorato intensamente e bene, facendosi un gran nome nel campo finanziario. Aveva un palazzo nell’avenue Malakoff, a Parigi, un altro a Londra e castelli in vari luoghi. Ma Parigi e Londra erano i due centri della sua attività. Una persona qualsiasi sarebbe stata incapace di rendersi conto della potenza di un uomo come Sir Antonio Gyde. Il danaro per se stesso è già una potenza, ma quando il possessore di qualche centinaio di milioni ha il genio degli affari, può dirsi il padrone del mondo. Per quanto riguardava la sua vita privata non è il caso di parlarne a lungo. Proteggeva gli artisti, beneficava molta gente, sapeva rendersi padrone di tutto, fuorché dei propri difetti. Aveva tra gli altri un punto debole: la collera. Perdeva raramente il suo sangue freddo, ma quando questo accadeva, non aveva piú alcun controllo sui suoi atti e sulle sue parole. Al suo posto c’era un demonio, abitualmente addormentato, che si alzava, parlava, agiva. Quando quello spirito demoniaco s’impossessava di lui, il milionario era terribile a vedersi.
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