Albertina non stava in sè dalla gioia e domandava spiegazioni ai meccanici che, ora che l’apparecchio filava, rientravano. Il passeggero intanto non cessava di fare chilometri sul grande scafo su cui non cessavamo di fissare lo sguardo e che non era più nell’azzurro se non un punto il quale, del resto, non avrebbe tardato a riprendere a poco a poco materialità, grandezza, volume, appena, essendo ormai alla fine della gita, fosse tempo di ritornare all’aereodromo. E noi, Albertina ed io, nel momento in cui saltava a terra guardavamo con invidia il passeggero che era andato così al largo a godersi in quegli orizzonti solitari la calma e la limpidità della sera. Poi dall’aerodromo, o da qualche museo o da qualche chiesa, che fossimo andati a visitare, ritornavamo insieme per l’ora del pranzo.