Aveva formulato questo ragionamento semplicissimo: quella commissione, dal momento che si riteneva probabile che l’avesse indosso, consisteva per forza in qualche oggetto materiale che gli impiegati della Central Bank avevano l’abitudine di portare sempre con sé. Frugando nel gabbano del funzionario al quale si era sostituito, avrebbe trovato, dunque, senza dubbio, quella famosa commissione.
«Ora la cerco» aggiunse con voce calma, sedendo su una panca e preparandosi a vuotare le tasche. Ne tolse numerose carte, lettere, note di servizio, tutte assai frangiate e spiegazzate, come succede alle carte che si tengono in tasca per molto tempo.
Fingendo la sbadataggine degli operai quando le loro grosse dita, più adatte ai lavori grossolani, si trovano a dover manipolare delle carte, spiegò l’un dopo l’altro i fogli che si era tolto di tasca. Al terzo foglio scoprì un documento stampato con degli spazi riempiti a mano, in base al quale Baudruc veniva designato addetto alla riscossione della Central Bank. Era evidentemente che si trattava di ciò che cercava, eppure la difficoltà rimaneva la stessa. Il nome scritto sul documento costituiva forse, infatti, il più grande di tutti i pericoli, poiché quel Baudruc era ben noto al cassiere dell’agenzia s che si era stupito di non aver a che fare con lui. Senza perdere il suo sangue freddo, l’audace bandito immaginò subito l’espediente necessario. Approfittando di un momento di disattenzione del cassiere, stracciò in due pezzi il documento ufficiale di cui la metà superiore, quella che conteneva il nome accusatore, si mischiò, nella mano sinistra, alle carte già esaminate e quella inferiore rimase nella mano destra.
«Non ho fortuna!» esclamò con il tono di un uomo seccato, appena quell’operazione fu condotta a termine. «Ce l’ho la commissione, ma una metà, non di più!»
«La metà?» ripeté il cassiere.
«Sì, era vecchia e logora, a furia di tenerla in tasca. Si sarà strappata in due e io stupidamente ne ho lasciato una metà a casa.»
«Uhm…» fece il cassiere perplesso.
Il funzionario parve offeso.
«Oh, alla fine, basta così!» dichiarò, alzandosi e avviandosi alla porta. «Mi hanno detto di venir qui a prendere il vostro denaro. Vengo. Non volete darmelo? Tenetevelo. Ve la sbrigherete con la sede centrale. Quanto a me, me ne frego.»
L’indifferenza mostrata ebbe maggior successo dei migliori argomenti e in particolare contribuì la frase minacciosa che, come una freccia precisissima, aveva scoccato nell’andarsene! Non aver noie! È lo scopo eterno di tutti gli impiegati della terra.
«Un momento…» esclamò il cassiere, richiamandolo. «Fatemela un po’ vedere, la vostra commissione.»
«Eccola» rispose il funzionario e presentò la metà di quel documento su cui non c’era scritto nessun nome.
«C’è la firma del direttore» constatò il cassiere, con soddisfazione.
Poi, decidendosi, finalmente: «Ecco il denaro» annunciò, presentando un pacchetto sigillato. «Se volete firmarmi una ricevuta…»
Dopo aver messo un nome qualunque sul foglio che gli veniva presentato, il funzionario se ne andò con aria scontenta.
«Salve» disse con voce burbera, da uomo irritato per il sospetto con cui era stato accolto.
Appena fuori, affrettò il passo verso la carrozza, salì a cassetta e sparì nella notte.
Così fu compiuto quel furto che fece tanto scalpore. Com’è noto, fu scoperto la sera stessa, più rapidamente di quanto avessero sperato i suoi autori. L’agenzia chiusa a doppia mandata, il suo personale ridotto all’impotenza, il cocchiere della vettura per le consegne assassinato, potevano legittimamente pensare che non ci si accorgesse di nulla prima dell’indomani mattina. In quel momento, il fattorino dell’ufficio, procedendo alla pulizia quotidiana, avrebbe dato necessariamente l’allarme e c’erano ottime probabilità perché l’avventura rimanesse segreta fino allora.
In realtà, le cose andarono in tutt’altro modo.
Verso le cinque e mezzo Mr. Lasone, il controllore delle Agenzie che aveva telefonato una prima volta verso le cinque per avvertire del passaggio della vettura per le consegne, inquieto di non vederlo giungere, telefonò di nuovo all’agenzia dk. Non ricevette risposta, giacché i ladri, che stavano compiendo allora la divisione del bottino, avevano staccato il ricevitore per fermare la suoneria, la cui persistenza avrebbe potuto destare l’attenzione del vicinato. Lì per lì, il controllore non insistette e si accontentò di incolpare gli impiegati del telefono. Tuttavia, visto che il tempo passava e la vettura non arrivava, fece un secondo tentativo. Poiché questo andò a vuoto come il primo, e l’ufficio telefonico affermava che era l’agenzia dk a non rispondere, il controllore mandò un fattorino della sede centrale a controllare. Prima delle sei e mezzo il fattorino era di ritorno. Da lui si seppe che l’agenzia era chiusa e sembrava deserta.
Il controllore, assai stupito che Mr. Buxton avesse terminato le sue operazioni così di buon’ora in uno di quei giorni di fine mese, nei quali il personale è costretto talvolta a lavorare fino alle nove, non poté che attendere il veicolo con impazienza sempre crescente.
Lo aspettava ancora alle sette e un quarto, allorché gli giunse una grave notizia. La vettura era stata trovata dietro Hyde Park, in una strada poco frequentata di Kensington, Holland Street, da un impiegato della sede centrale che, finito il lavoro, tornava a casa. Quell’impiegato, stupito di veder un furgone della Central Bank fermo a tarda ora in quella via relativamente oscura e deserta, era salito a cassetta, aveva spinto le porte metalliche che non erano chiuse e, alla luce di un fiammifero, aveva scoperto il corpo già freddo del cocchiere. Allora era tornato correndo alla sede centrale per dare l’allarme.
Partirono subito telefonate in ogni direzione. Prima delle otto una squadra di poliziotti circondava la vettura abbandonata, mentre la folla si assiepava davanti all’agenzia dk, e un’altra squadra ne faceva aprire le porte da un fabbro chiamato a proposito.
Il lettore sa già cosa si sarebbe scoperto.
L’inchiesta cominciò subito. Per fortuna nessuno degli impiegati dell’agenzia era morto, per quanto, a dire il vero, non ci mancasse molto. Per tre quarti soffocati dal bavaglio, con la bocca piena di ovatta e di cenci cacciati dentro con violenza, erano ancora svenuti quando si giunse in loro soccorso e senza dubbio sarebbero passati da questa all’altra vita se fossero rimasti in quella situazione fino al mattino.
Quando dopo un’ora di cure ripresero i sensi, non poterono dare che informazioni assai vaghe.
Cinque uomini barbuti, alcuni coperti da lunghi spolverini, altri da quei soprabiti da viaggio volgarmente chiamati ulster, li avevano assaliti e atterrati. Non ne sapevano di più.
Non c’era da mettere in dubbio la loro sincerità. Infatti, fin dal principio dell’inchiesta, s’erano trovati i cinque soprabiti ben in evidenza, quasi che i cinque malfattori avessero voluto lasciare una traccia del loro passaggio. Ma quegli indumenti, esaminati con attenzione dai più fini segugi di Scotland Yard, non rivelarono niente di niente circa coloro che li avevano abbandonati. Fatti di stoffa comune e corrente, essi non portavano nessuna marca di sarto o di magazzino, il che spiegava perché li avessero lasciati sul luogo del delitto.
Tutto ciò non diceva molto e il magistrato inquirente dovette rinunciare a saperne di più. Invano rigirò i testimoni in tutti i modi; essi non variarono la loro versione e gli fu impossibile ricavarne altro. L’ultimo testimone fu il portinaio del palazzo. La saracinesca era chiusa e i malfattori erano stati costretti a uscire dal vestibolo comune. Il portinaio dunque avrebbe dovuto vederli.
Costui non poté che confessare di non sapere nulla. Gli appartamenti che aveva in sorveglianza erano troppo numerosi perché questa fosse realmente efficace. In quel giorno, non aveva notato nulla di anormale.
Se, come era presumibile, i ladri erano passati davanti a lui, li aveva scambiati per gli impiegati dell’agenzia.
Invitato a frugare nella sua memoria, citò i nomi di quattro locatari che avevano attraversato il vestibolo pressapoco nell’ora del delitto. Verificato subito il fatto, quei quattro locatari, di onorabilità insospettabile, erano semplicemente tornati a casa per cenare.
Il portinaio parlò anche di un garzone di carbonaio che si era presentato verso le sette e mezza, portando un sacco voluminoso, un po’ prima dell’intervento della polizia, e che lo aveva notato semplicemente perché non si usa consegnar carbone a quell’ora. Quel garzone aveva chiesto di un inquilino del quinto piano con tale insistenza che il portinaio aveva autorizzato la consegna e indicato la scala di servizio.
Il garzone era dunque salito, ma per ridiscendere un quarto d’ora dopo ancora carico del suo sacco. Interpellato dal portinaio, aveva detto, allora, di essersi sbagliato d’indirizzo. Mentre parlava con voce affannosa, da uomo che ha salito cinque piani con un pesante fardello sulle spalle, aveva raggiunto la strada, poi, deposto il suo sacco su un carretto a mano fermo davanti al marciapiede, se n’era andato, senza però affrettarsi.
«Sapete» domandò il magistrato inquirente «a quale negozio appartenga quel carbonaio?»
Il portinaio rispose di ignorarlo.
Il magistrato, riservandosi di verificare quest’ultimo punto, interrogò l’inquilino del quinto piano. Gli venne confermato che in effetti un uomo, che si diceva incaricato di effettuare una consegna di carbone, aveva suonato alla porta di servizio verso le sette e mezzo. La cameriera che gli aveva aperto gli aveva assicurato che aveva sbagliato e lui se n’era andato senza insistere. Una differenza esisteva, però, tra le diverse deposizioni relative a questo incidente: contrariamente a quanto affermava il portinaio, la cameriera del quinto piano sosteneva che il carbonaio non portava nessun sacco.
«L’avrà lasciato da basso per salire» disse il magistrato.
Tuttavia risultò che quella spiegazione non era corretta, quando nel corridoio comune delle cantine si scoprì l’equivalente di un sacco di antracite, che il portinaio affermava non esserci qualche ora prima. Era dunque evidente che il misterioso carbonaio aveva vuotato in quel luogo il contenuto del sacco che portava. Ma allora, che cosa aveva portato via, dal momento che il sacco sembrava in partenza non meno pieno e pesante che all’arrivo – e il portinaio si mostrava decisamente sicuro su questo punto?
«Ora non occupiamoci di ciò» concluse il magistrato, rinunciando a risolvere l’insolubile problema. «Questo punto sarà chiarito domani.»
Per il momento, c’era da seguire una pista che giudicava più seria e intendeva non allontanarsene. Infatti, non tutto il personale dell’agenzia era stato ritrovato. Il personaggio più importante, il direttore, mancava all’appello. Mr. Lewis Robert Buxton era scomparso.
Gli impiegati non poterono fornire nessuna indicazione a questo proposito. Tutto ciò che sapevano era che, un po’ prima delle cinque, un cliente, introdotto presso il direttore, aveva chiamato il cassiere Store, il quale aveva obbedito a quella chiamata e non era più ricomparso. Qualche secondo dopo era avvenuta l’aggressione. In quanto a Mr. Buxton, nessuno l’aveva rivisto.
La conclusione era d’obbligo: se era fuor di dubbio che l’agenzia era stata presa d’assalto da cinque banditi più o meno travestiti o truccati, allo stesso modo quei banditi avevano un complice nella piazza, e quel complice non poteva che essere il suo capo.
Ecco perché, senza attendere i risultati di un’inchiesta più approfondita, fu spiccato il mandato di comparizione contro LewisRobert Buxton, capo dell’agenzia dk della Central Bank, accusato di furto e di complicità in omicidio; ed ecco perché i suoi connotati, che già erano notissimi, pur se non si conoscevano quelli dei suoi complici, furono telegrafati in tutte le direzioni.
Il colpevole, non avendo ancora potuto lasciare l’Inghilterra, sarebbe stato acciuffato, sia in una città dell’interno sia in un porto di imbarco; rapido successo di cui la polizia si sarebbe potuta meritatamente inorgoglire.
Con questa gradevole prospettiva, magistrati e detective si coricarono nei loro rispettivi letti.
Ora, in quella stessa notte, cinque uomini, alcuni completamente sbarbati, altri con dei baffoni sul volto abbronzato, scendevano a Southampton dal direttissimo di Londra, separatamente, così come vi erano saliti.
Dopo essersi fatti consegnare parecchi colli, e specialmente una grande valigia assai pesante, si fecero condurre in carrozza al bacino navale dove, a riva, li aspettava un battello a vapore di duemila tonnellate, il cui fumaiolo vomitava una densa colonna di vapore.
Durante la marea delle quattro, vale a dire in un momento in cui tutto dormiva a Southampton, dove il delitto di Old Broad Street era ancora sconosciuto, il battello mollò gli ormeggi, uscì dalle chiuse e prese il largo.
Nessuno tentò di opporsi alla sua partenza. E, del resto, perché si sarebbe dovuto sospettare di quell’onesto bastimento, visibilmente carico di merci eterogenee, ma onorevoli, con destinazione Kotonu, porto del Dahomey?
La nave si allontanò, dunque, tranquillamente, con le sue mercanzie, i suoi cinque passeggeri, i loro colli e la loro grande valigia, che uno di essi, il più alto, aveva fatto deporre nella propria cabina, mentre la polizia, interrompendo la sua inchiesta, cercava nel sonno un riposo ben guadagnato.
L’indagine fu ripresa l’indomani e nei giorni seguenti, ma, com’è noto, non avrebbe portato a nulla. I giorni seguirono i giorni, i cinque malfattori rimasero ignoti. Lewis Robert Buxton rimase introvabile.
Nessuna luce venne a rischiarare l’impenetrabile mistero. Non si riuscì neppur a scoprire a quale bottega appartenesse il garzone di carbonaio che aveva attirato per un momento l’attenzione della polizia. Vista l’impossibilità di ottenere un risultato qualsiasi, l’incartamento fu passato agli archivi.
La soluzione di tale enigma, intera e completa, la darà per la prima volta il seguito di questo racconto. Sia il lettore a giudicare se si potrebbe immaginarla più inattesa e più strana.