Lauren cercò di pensare in fretta. Non le sembrava esattamente il momento giusto per iniziare a contrattare. Non era sicura di come l’avrebbe presa lui. Doveva studiarlo meglio.
Avvicinò la bocca al suo orecchio.
«Se più tardi... se fossi stanca, o non mi andasse... potremmo rimandare? Oppure... Rive... può darsi anche di no».
Lui continuò a titillarla dolcemente. Era gradevole. Non la faceva godere, ma era una sensazione gradevole. Era... delicato, quasi rispettoso. Non aveva alcun senso, ma era come se le sue parole e le sue azioni andassero in due direzioni opposte.
«Già, lo sento. Be’, se ti rifiuti non ti farò il culo contro la tua volontà».
Lauren aprì gli occhi di scatto. Lo guardò.
«Che cosa?»
«Che cosa?» ripeté lui, in tono perplesso. Era riuscito a farla tutta bagnare, questo era vero, ma Lauren fino a quel momento non aveva capito con precisione che cosa volesse da lei.
«Non puoi... uhm... non puoi farlo senza farmi male, sai. Non l’ho mai fatto. Mi farai gridare di dolore, sanguinare e chissà cos’altro. Forse potresti cambiare... piano».
Lo accarezzò a sua volta, resa ardita dalla sua apparente ragionevolezza. Gli fece scorrere una mano sul petto, per fermarsi sul suo stomaco.
Lui rise sottovoce e le scostò la mano.
«Ti sei appena fregata da sola, culetto vergine. Ma posso farlo senza farti male, farti gridare di dolore o sanguinare. Più tardi, con calma. E se cambi idea lascerò perdere, va bene?»
Allontanò la mano dal suo sesso e Lauren si rese conto che quasi le dispiaceva. Naturalmente le mostrò che era bagnata dei suoi umori. E che il suo polpastrello era zigrinato per essere stato a mollo.
«Ora vediamo di darci una mossa».
Quando uscì dalla doccia trovò i vestiti che Rivet aveva scelto per lei appesi nella cabina armadio. Era stata una doccia veloce, ma le aveva dato modo di pensare. Principalmente Lauren aveva pensato al modo in cui lui era riuscito a farla bagnare.
Era deprimente, perché sperava di essersi tolta quella brutta abitudine. L’abitudine di trovare sexy i peggiori soggetti in circolazione che l’aveva accompagnata per tutte le superiori. Era convinta di essere diventata più matura e di aver messo a fuoco le proprie priorità.
Rivet aveva indirettamente minacciato il suo ragazzo (be’, ex) per costringerla a fare quello che voleva lui. L’aveva toccata senza chiederle il permesso, sul filo della molestia e anche oltre. Non era una brava persona. Era decisamente una cattiva persona, molto più cattiva dei peggiori soggetti dell’adolescenza di Lauren.
E aveva qualcosa di sbagliato, lo sapeva anche lui. Okay, ne sembrava compiaciuto, ma sapeva che gli altri non erano fatti così e cercava di camuffarsi.
Rivet rientrò mentre lei si infilava gli slip.
«Ho cambiato idea. Devo farlo ora, capisci, o sopportare la serata sarà ancora più dura. Lascia perdere quelle mutande e siediti a gambe aperte».
Lauren inarcò un sopracciglio.
Poi sospirò e si sfilò gli slip del completo che le aveva lasciato (una cosina indecentemente piccola, di rete nera).
Si sedette su una delle poltrone e aprì le cosce. Non aveva intenzione di fare storie per ogni cosa e aveva capito che cosa volesse fare lui. Anzi... si lasciò cadere contro lo schienale e passò una gamba oltre un bracciolo e l’altra oltre il secondo, in modo da essere nella posizione più comoda perché lui facesse quello che intendeva fare.
«Che troietta» commentò Rivet, inginocchiandosi davanti a lei.
Un istante più tardi Lauren sentiva la sua lingua tra le grandi labbra. Poi sul suo clitoride, che lo titillava e lo schiacciava. Le sue labbra che lo succhiavano.
«Non volevi... depilarmi?»
«Già, ma mi sono distratto» confermò lui, praticamente nella sua fica. Bastò le spostamento d’aria per darle una specie di brivido di piacere. «Siamo anche un po’ in ritardo».
Riprese a leccarla. Lauren strinse i braccioli della poltrona e si morse il labbro inferiore. Non voleva gemere ad alta voce, anche se stava godendo. Alla faccia del terribile sacrificio. Perché diavolo doveva esserle presa così? Perché non poteva essere spaventata e disgustata come sarebbe stato normale?
Lui le infilò dentro due dita e lei gli si contrasse attorno. La sua fica gocciolava e non muovere il bacino stava diventando... impossibile, si rese conto, capitolando. Il piacere le ardeva tra le gambe come una fiamma. Rivet le succhiò forte il clitoride, massaggiandole l’interno della fica, l’osso del pube, tutti i punti in cui lei godeva di più...
Lauren emise un gemito disperato e gli venne in faccia. I suoi umori gli schizzarono sulla bocca e nella bocca, mentre lui continuava a leccare.
«Dio...» ansimò, cercando di riprendere fiato.
Rivet si ripulì la faccia su una delle cosce di lei. Ora essere lì, aperta davanti a lui, la metteva un po’ a disagio. L’idea di avere tutta la fica viscida e congestionata, dischiusa, ancora accaldata, sicuramente odorosa...
«Penso che potremmo anche andare d’accordo, alla fin fine» commentò Rivet. Sembrava divertito.
Subito dopo Lauren sentì qualcosa di fresco sulla passerina e capì che aveva iniziato a depilarla.
Lui si alzò, andò a prendere qualcosa, tornò.
Lauren, con gli occhi chiusi, cercava ancora di riprendere fiato e di superare l’imbarazzo di essere venuta così, in modo incontrollabile, come... come...
Il metallo della lama di un rasoio sulla fichetta accaldata le impedì di concludere il pensiero. Rivet aveva iniziato dal basso, scivolandole tra le natiche e tra le grandi labbra. Era così intimo... era così eccitante...
Lauren si diede una botta in testa mentale. Perché non la smetteva di comportarsi come una cagna in calore? Sul serio si stava tutta sciogliendo per quel... quello scarto dell’umanità?
Lui le allargò gentilmente le grandi labbra per raggiungere i punti più nascosti e lei sospirò di piacere.
«È delizioso. Ti piace? Sei di nuovo tutta bagnata».
Lauren emise una sorta di grugnito, rifiutandosi di rispondere. Rivet emise una risatina divertita.
Sentì la lama percorrere con calma la sua vulva. La sentì arrivare vicino al clitoride e poi più in alto. Rivet non le lasciò un pelo. Da quando ebbe finito gocciolava di nuovo. Lui la pulì con un asciugamano umido e le mise di nuovo un dito dentro.
«Probabilmente ci divertiremo. Ricordati la tua parte, okay?»
Lei annuì, stringendogli disperatamente un dito.
«E sei così stretta... be’, infiliamo queste mutande».
Le richiuse le cosce e le mise personalmente di slip. Mentre glieli tirava su la toccò di nuovo. E poi le tette, che palpò a lungo mentre le sistemava il reggiseno. Lauren non disse una parola sul fatto che era biancheria decisamente sconcia, che normalmente l’avrebbe messa a disagio.
Dopo la biancheria, Rivet le infilò addosso un tubino nero. Un paio di saldali dal tacco alto. Un piccolo bolerino.
Le raccolse i capelli riccioli in una specie di nodo. Le leccò il collo.
«Siamo decisamente in ritardo, ormai. Ti darò la colpa, è chiaro».
«Rive...»
Lui rise sottovoce e le accostò la bocca all’orecchio.
«Resta così tutta la sera, sei perfetta».
Lauren avrebbe voluto non trovare così facile accontentarlo.
La festa era vicino alla piscina. C’erano delle cameriere in uniformi striminzite molto diverse da quelle della casa che portavano in giro vassoi pieni di bicchieri, c’erano belle ragazze poco vestite che scherzavano con gli invitati e c’erano un sacco di... criminali sarebbe stata la descrizione migliore, probabilmente.
Ma “criminali” era troppo generico. La maggior parte degli invitati erano scagnozzi. Lauren non avrebbe saputo come altro definirli. Gente disposta a commettere crimini e pagata per farlo, non liberi professionisti del crimine o imprenditori dell’illegalità.
Di pesci grossi ce n’erano tre in tutto e Rivet glieli indicò mentre si avvicinavano alla piscina.
«Gerry Moralez...» Un tizio dallo stomaco molto prominente e dai capelli neri pieni di brillantina, sui cinquanta. «...E la sua signora. Occhio alla lingua: lavorava nel porno».
La signora era un donnone platinato sulla quarantina, con delle tette smisurate.
«Dave Bold, non conosco l’accompagnatrice». Questo era un uomo di colore alto e magro, di poco più giovane di Moralez, piuttosto elegante. La sua signora era giovane e graziosa, di colore anche lei.
«Ricky Dubois e Marcy. Lei è cattiva come una iena».
Dubois era il classico bifolco bianco del sud e anche lui aveva un’aria piuttosto cattiva. Marcy era chiassosa, con i capelli tinti di rosso e una specie di poncho colorato sulle forme prosperose. Entrambi dovevano essere vicini ai sessanta.
«Scusate per il ritardo» disse Rivet, avvicinandosi al gruppetto. «Vorrei essere più cavalleresco, ma non lo sono: è stata colpa di Laurie. Pensavo che non sarebbe stata pronta mai più».
Lauren ridacchiò e gli tirò una finta gomitata.
«Oi, grazie per la presentazione. In realtà ha disturbato e mi ha deconcentrata... ma ammetto la responsabilità per una parte del ritardo».
Ci furono diverse strette di mano e qualche risata.
Rivet invitò tutti a spostarsi su dei divanetti da esterno, attorno a un tavolino. Poco lontano, su un piccolo palco, si stava preparando un gruppo di musicisti jazz.
«Mi dispiace che Theothis non sia riuscito a venire... anche se non ho mai creduto che si sarebbe fatto vedere» disse Ricky Dubois, buttando giù un bicchiere di champagne come fosse acqua.
«Sai com’è fatto. Le feste lo innervosiscono».
«Già. Ma sarebbe stata un’occasione per parlare del sistema che ha ideato. È dispersivo, lo sai anche tu».
Rivet passò un braccio dietro alla vita di Lauren e se la appoggiò contro un fianco. Le passò un calice di champagne e solo dopo rispose.
«Certo. E non sono d’accordo, ma nella mia famiglia funziona così: uno decide e gli altri obbediscono. È più pratico e non crea... disguidi. Se Theothis pensa che sia il sistema di distribuzione migliore io mi atterrò a quel sistema. Ora però, dai... non parliamo più di lavoro».
L’aveva detto con un sorriso, ma Lauren si trovò a pensare che nelle sue parole ci fosse un avvertimento. Si limitò a centellinare il suo vino, dimostrando di non aver capito. La mano di lui giocherellava con il suo vestito, sul suo fianco, e la vicinanza con il suo corpo in qualche modo era inebriante.
Dubois raccolse il consiglio. Rise e disse che aveva senz’altro ragione.
La sua signora si complimentò per la scelta del gruppo. Visto che dovevano ancora iniziare a suonare Lauren pensò che li conoscesse.
La conversazione scivolò in una serie di innocue chiacchiere.
Lauren fece commenti divertiti quando era necessario e ascoltò quello che dicevano gli altri con aria interessata. Quando la band iniziò a suonare per un po’ si perse anche nelle loro note scintillanti.
Rivet la baciò sul collo, accarezzandole un fianco.
«Ti piace, è vero?» mormorò, vicino al suo orecchio. «La musica».
Lauren annuì.
Le luci nel giardino erano state smorzate e l’aria sapeva di fiori. Qualcuno ballava. Qualcun altro approfittava della penombra per palpare una delle signorine poco vestite messe a disposizione dalla casa.
Lauren finì il proprio champagne e posò il bicchiere. L’alcool ammorbidiva la sua percezione senza tarparla. Non era ubriaca, non era neppure brilla, era solo... più a suo agio.
«È tutto così bello, qua» disse appoggiandosi languidamente contro di lui.
«Sì, vero? È una prigione di lusso».
Le labbra di Rivet si avvicinarono alle sue e le sfiorarono.
Il suo viso si allontanò subito, mentre le chiacchiere riprendevano vacue. Durante la pausa tra un pezzo e l’altro sul tavolino fu posato uno specchio pieno di coca. Sniffarono quasi tutti, a parte Moralez e la moglie di Bold. Anche Lauren passò la mano, mentre Rivet tirava su una riga intera, per poi appoggiarsi indifferente allo schienale del divanetto, circondando Lauren con un braccio.
La baciò con una certa passione, separandole le labbra con le proprie e facendole sentire la lingua. Lauren gli accarezzò dolcemente il petto.
«Che brava gattina, il mio amore» sorrise lui, a beneficio degli altri.
Lei chinò lo sguardo, fingendo una certa timidezza. Si accomodò di nuovo contro di lui, ripiegando le gambe da un lato.
Ci furono altri scambi di commenti. Ogni tanto qualche “dipendente” veniva a dire qualcosa nell’orecchio di qualcuno. Era tutto strano e tutto normale.
«Balliamo?» le chiese Rivet, quando la band iniziò un pezzo lento e triste. La cantante gorgheggiava parole che Lauren non capiva, o che forse non erano neppure parole.
«Certo» disse, e si fece condurre in pista, ovvero sulla parte di pavimentazione liscia invece che ruvida.
Rivet le circondò la vita con entrambe le braccia e Lauren lo baciò senza aspettare imbeccate. Gli baciò le labbra e il mento, scendendo poi sul suo collo. Un bacio intimo e bagnato che la eccitò leggermente, anche se l’aveva dato e non ricevuto.
Lui le accarezzò la schiena e la tenne più stretta, dondolando lentamente a ritmo con la musica. Le rivolse un sorriso vagamente derisorio.
«Vuoi guadagnarti la pagnotta, mh?»
Lauren gli baciò il collo. «Posso smettere».
Sentì le sue mani sul sedere, che la palpavano delicatamente.
«No, continua. Mi attizza».
Lauren continuò. Lo baciò in faccia e sul collo, dolce e sensuale. Gli passò le mani attorno alla vita al di sotto della giacca, accarezzando i suoi dorsali sodi al di sopra della camicia.
Rivet chinò la testa in modo da riuscire a sussurrarle in un orecchio.
«Se di nuovo bagnata?»
«Mh-mh».
«Sei bagnata anche sulle cosce?»
«Mh-mh».
«Se andiamo dietro agli spogliatoi me lo fai un pompino?»
«Mh-mh» fece lei, per la terza volta.
Rivet la baciò sulla bocca.
«Brava la mia ragazza».
La portò via dalla pista e Lauren si lasciò condurre senza una protesta. Non era felice di come stavano andando le cose, ma era intontita dal desiderio. Non sapeva come Rivet fosse riuscito a ridurla così, non le piaceva essersi ridotta così, ma non riusciva a farci niente. Si chiese se fosse una specie di meccanismo di difesa o se davvero uno come lui fosse in grado di trasformarla in una cagna ansimante grazie alla semplice evidenza che fosse pericoloso e cattivo. Non era normale.
Incespicò sull’erba, seguendolo dietro una serie di cabine-spogliatoio. Rivet si fermò e si appoggiò al muro. La tirò contro di sé e le infilò una mano sotto la gonna del vestito. Le strinse la fichetta al di sopra degli slip di rete. A quel punto avrebbe potuto scostarli, ma scelse di bucarli con le dita. Lauren ansimò, strofinandosi contro di lui.
Gli posò una mano tra le gambe e sentì il suo cazzo al di sotto dei pantaloni. Era duro e grosso. Era... era lì, una specie di manganello pronto a penetrarla.
Rivet le infilò due dita nella fica e lei gemette.
«Mi piacciono le donne un po’ puttane. Sono le mie preferite. Ti piace l’uccello, è vero? In generale. Hai bisogno della tua razione di cazzo ogni giorno».
Non era vero, ma Lauren annuì lo stesso, slacciandogli i pantaloni.
Non era una specie di ninfomane né niente del genere. Il sesso le piaceva come a tutti, non in modo eccezionale. Era quella sera la stranezza. Quell’eccitazione incontrollabile... quella voglia di venire scopata.
«In ginocchio».
Si inginocchiò davanti a lui, sull’erba. Aveva la fica in fiamme e i capezzoli doloranti. Si trovò il suo cazzo sulle labbra e iniziò a succhiarlo.
Era grande e durissimo. Ne sentiva la forma con le labbra. Era un vero randello e l’idea che più tardi lui volesse usarlo per deflorarle il sedere avrebbe dovuto terrorizzarla. Invece la faceva bagnare fino alle ginocchia.
Lo leccò e lo succhiò, sbrodolandosi il mento di saliva ed emettendo mugolii vogliosi.
Sentì Rivet che rideva.
«Razza... di sfigato...»
Le voltò la testa e lei in lontananza, nero sul nero dello sfondo, vide... Gage?
Rivet le infilò le dita nei capelli e la fece abbassare di nuovo sul suo uccello. Le arrivò fino in fondo alla gola, facendola tossire. Improvvisamente era diventato tutto sgradevole e Lauren cercò di scostarsi, ma lui la tenne ferma e si mosse velocemente nella sua bocca.
«Succhia» ordinò, a voce alta. «Ingoialo tutto, troia».
Quel trattamento rude e inaspettato la paralizzò. Rivet le piantò le dita nelle guance, obbligandola a tenere la bocca aperta, e la riempì con il suo uccello. Iniziò a eiaculare poco dopo e Lauren tossì disperatamente, sputacchiando.
Rivet le tirò uno schiaffo, facendole prendere una culata sull’erba. Lauren si posò una mano sulla guancia, sconvolta. Be’, come schiaffo aveva fatto pietà, in effetti, forse non l’aveva nemmeno beccata, ma Lauren non capiva a che cosa fosse dovuto quell’improvviso cambio di comportamento.
Lui si riallacciò i pantaloni e la tirò su bruscamente per un braccio.
La strinse a sé e lei si divincolò debolmente.
«Ti prego...» si trovò a singhiozzare.
Rivet la prese di nuovo per i capelli e avvicinò la bocca al suo orecchio.
«Ti sei dimenticata di dirmi se tu e quel mollusco state ancora insieme. Se è così... be’, ho appena salvato la tua importante relazione. Certo che è stato un pompino di merda».
«Eh?»
«Dico... a nessuno piace trovare la sua donna che lucida la cappella di un altro con la faccia contenta che stavi facendo tu. Nemmeno se la sua donna è una nota assatanata».
«L’hai fatto... per quello?»
Lui la lasciò andare e tornò verso la festa.
«Anche se probabilmente trovare un esemplare leggermente meno cagasotto non ti farebbe male».