3.
Nelle due ore seguenti Lauren restò mezza intontita. Nessuno ci fece troppo caso, tutti attribuirono la cosa al fatto che era sbronza.
Solo dopo, dopo aver salutato gli ospiti, dopo aver lasciato la festa, Rivet le chiese se stesse bene.
Lauren si portò una mano alla testa.
«Mi sento... strana».
«Già, lo vedo».
Erano fermi a poca distanza dalla grande costruzione di mattoncini rossi dove lui, poche ore prima, l’aveva “preparata” per la sera.
«Non mi hai drogata, vero?» chiese.
Non era un’accusa e Rivet non la prese come tale.
«No. Ma potresti essere sotto shock... per lo schiaffo, per Gage, per essere stata costretta a succhiarmi l’uccello... non lo so».
Lei si passò una mano sulla faccia.
«Non... non ci sto più insieme a lui, comunque».
Rivet si strinse nelle spalle.
«Bene. Andiamo?»
Lauren lo seguì all’interno. Era chiaro che di come si sentisse lei non gli importava poi molto. Né della sua situazione sentimentale.
La portò al piano di sopra e poi oltre la grande porta che aveva già attraversato quella sera. Stavolta la stanza in cui entrarono non fu una cabina armadio, ma una camera con un grande letto tondo e dall’aspetto morbido. Le pareti e il soffitto erano di specchi e la luce, tenue e giallastra, proveniva da una serie di faretti incassati nel pavimento.
«Rive... puoi... spiegarmi? Prima...»
«Prima di infiocinarti?» rise lui. «Ora vediamo se ne ho voglia, tanto per cominciare».
«No, intendo dire: prima, quando eravamo dietro agli spogliatoi. Che cosa ci faceva Gage lì?»
Lui sbuffò. Si liberò della giacca e la mollò su una poltroncina.
«Immagino che sia venuto a controllare che non ti facessi del male. Ma quando ha visto che te ne facevo è scappato, tutto lì».
«Pensavo fosse diverso» disse lei.
Si andò a sedere sul letto. I piedi le facevano male e comunque Rivet non la spaventava. Probabilmente era una cosa stupida, ma non puoi costringerti ad avere paura di qualcosa, se non ne hai.
Sollevò lo sguardo su di lui.
«L’avresti ammazzato? Se non mi avesse portata qua?»
Rivet si strinse nelle spalle. «È un buon autista. Non è il tizio più sveglio del mondo e nemmeno il più coraggioso... ma guida bene, senza strappi e senza superare i limiti di velocità. No, tesoro, non ammazzo le persone per stronzate come questa». Le rivolse uno dei suoi agghiaccianti sorrisi divertiti. «Ma le ammazzo per una quantità di altre ragioni, quindi che avesse paura è comprensibile».
«E prima, no? L’hai fatto... apposta?»
«Come ho già detto... a nessuno piace trovare la sua donna che ciuccia entusiasticamente il cazzo di un altro, per quanto il cazzo le piaccia, diciamo».
«Quando mi hai schiaffeggiata... non mi hai presa».
«Lo so».
«Non capisco perché questa... gentilezza».
Di nuovo lui si strinse nelle spalle, ora un po’ innervosito.
«Non mi costava niente. Il fatto di non essere un tipo da relazioni non mi impedisce di capire che le persone ci tengono, le une alle altre. Non io, ma non sono idiota. E ora sarai molto più accomodante, presumo».
Lauren si sfilò le scarpe e le buttò un po’ più in là.
«Mi dispiace, ma probabilmente lo sarei comunque. Stasera... ah, lascia stare».
Rivet si avvicinò lentamente. Le sciolse i capelli e glieli accarezzò.
«No, continua».
«Di solito non sono così. Penso che non ci sia niente di male, sul serio, ma di solito non sono così... non mi eccito così facilmente, non godo se mi tocca qualcuno che non mi piace... non sono una “che ha bisogno della sua razione di cazzo ogni giorno”, come hai detto tu».
Lui le spostò dolcemente la testa verso il cavallo dei suoi pantaloni, divertito.
«E oggi?»
Lauren lo mordicchiò.
«Non so che cosa mi prende. Boh, ti trovo bello. Vieni qua, dai».
Il tono in cui l’aveva detto sembrò ancora una volta divertirlo. Le posò una mano sul petto e la spinse dolcemente giù, per poi salire sul letto con lei.
«Mmm, dunque... togliamo questo, per iniziare».
La aiutò a liberarsi del bolerino e lei gli slacciò la camicia. Si spogliarono a vicenda con tutta calma, finché lui non restò completamente nudo e lei con addosso solo il completo di rete nera, tra l’altro bucato sull’inguine.
Lauren guardò il corpo armonico di lui, i muscoli sottili e definiti, le vene in rilievo, la pelle color avorio nella luce tenue della stanza. Sì, lo trovava bello, o comunque interessante. E il suo pene eretto le faceva venire l’acquolina in bocca, che lo volesse o meno.
Era... grande, lungo, bello anche quello, con il glande scuro e proporzionato.
Glielo accostò alla bocca, a quattro zampe sopra di lei, e Lauren lo leccò. Lo leccò fino alle palle, per poi succhiarle dolcemente, rigirandosele in bocca. E poi ancora oltre, fino al buchetto contratto e peloso. Quando lo leccò lì a Rivet sfuggì un mugolio di piacere.
Subito dopo si scostò. Scivolò più in basso, fino a essere lui a leccarla, ma sulle tette.
Gliele strinse e le premette l’una contro l’altra nel reggiseno di rete nera. Le mordicchiò i capezzoli, le succhiò le mammelle, le palpò a piene mani...
Lauren gli si inarcò contro, gemendo. L’eccitazione le scorreva nelle vene, inebriante, e la rendeva frenetica.
Rivet le strinse la fica con una mano, facendola ansimare. I suoi slip erano fradici e quando lui la titillò attraverso il buco nella rete i gemiti di Lauren salirono di tono.
«Sexy» commentò Rive, con un mezzo sorriso.
Le sfilò gli slip e con un unico gesto li buttò più in là.
«Forza, mettiti a quattro zampe, tesoro».
Lauren eseguì senza esitazioni. Era piena di desiderio e avrebbe voluto che lui la montasse e basta, che la scopasse duro fino a farla venire, ossia... probabilmente pochi secondi dopo averla infilzata. Si mise a quattro zampe e spinse il sedere verso l’alto, aprendo bene le cosce.
Rivet la accarezzò di nuovo sulla fica, steso accanto a lei a pancia in su. Le titillò il clitoride, facendole emettere un gridolino di godimento.
«Ne hai voglia, giusto? Potrei voltarmi, scoparti e finirla lì, mh?»
Lauren ansimò. Annuì. Si chinò sul suo petto per baciarglielo.
Lui sembrò prendere una decisione. Si tirò su e andò al comodino.
«No, mi dispiace. L’idea di essere il primo a farti il culo è irresistibile».
Lauren vide che aveva in mano un tubetto di lubrificante. La piccola parte di lei ancora capace di pensieri razionali ne fu confortata. Non l’aveva mai fatto, ma a volte ci aveva provato. Il dolore l’aveva sempre fatta rinunciare. Una buona lubrificazione l’avrebbe almeno aiutata a non soffrire troppo.
Rivet si inginocchiò dietro di lei e le spremette senza tante cerimonie un po’ di fluido sul buchetto posteriore. Poi iniziò a... Lauren non avrebbe saputo definire che cosa stesse facendo con precisione. Di certo la faceva godere come una matta. Di certo continuava a portarla sul filo dell’orgasmo. Di certo la faceva strusciare sul materasso per la frustrazione.
Ma lo scopo pratico... be’, probabilmente la stava preparando.
Con la sinistra la sgrillettava piano. Con la destra...
Le infilò dietro la punta di un dito. Lauren lo trovò scomodo. Dopo pochi secondi, con il suo dito che premeva e le entrava dentro, scoprì che si sentiva violata e che era una sensazione orribilmente piacevole. Si rese conto che i propri gemiti erano diventati latrati e che i propri fianchi si muovevano lascivi.
Rivet le appoggiò l’uccello su una natica e le infilò dietro un altro dito. Lauren si sentì tendere, si sentì divaricare. Il piacere, attorno e dentro il suo buchetto aumentò ancora, bruciante e violento.
«S-scopami... scopami...» ansimò.
Lui le ruotò dentro le dita. Con calma. Allargandola.
Il suo buchetto pulsava e le mandava fitte di piacere. La sua fica gocciolava e si contraeva, vuota e frustrata. Lauren si massaggiò le tette da sola, per poi tornare a quattro zampe. Si abbassò e sollevò il sedere.
«Vieni qua...»
« Lì è esattamente dove voglio venire» rispose lui.
Le mise dietro un altro dito. Bruciava. Là dietro era tutta tesa, tutta aperta... il suo buchetto godeva e pulsava, voleva essere penetrato da qualcosa di più lungo... di più grosso...
Rivet sfilò le dita. Smise di sgrillettarla e le strofinò l’uccello tra le natiche. Lauren sentì la sua cappella che le premeva dietro, sul buchetto già allargato... ma non abbastanza.
Quando le mise dentro il glande le sembrò che fosse di ferro rovente.
«Toccati» le disse lui.
Era ovvio.
Lauren chiuse gli occhi e iniziò a sgrillettarsi. Gridò per il piacere. Là dietro andava a fuoco e quel manganello rovente era... era... era tormento e piacere, era la fine del mondo.
Si sporse verso di lui. Ne prese un pezzettino, ansimando come una bestia, e Rivet si decise a sprofondarle lentamente dentro. Lo sentì entrare tutto. Era così... grosso, lungo. Era così duro e largo. Era così meravigliosamente ingombrante.
Riaprì gli occhi e si vide negli specchi: nuda a parte il reggiseno, sudata, ansimante, a pecora... con lui dietro.
Rivet le mollò un sonoro ceffone su una natica e iniziò a muoversi dentro di lei, tenendola ferma come se fosse una cavalla imbizzarrita.
Le stantuffò dentro veloce, per poi rallentare e fotterla a colpi di fianchi profondi e distanziati nel tempo e infine accelerare di nuovo.
Lauren si massaggiò energicamente la zona del clitoride, gemendo e ansimando. L’orgasmo le esplose tra il culo e la fica, intensissimo. La fece gridare e tremare. La fece conficcare da sola sull’erezione di lui. Rivet emise un lungo mugolio di piacere. Cambiò ritmo. Le strinse le chiappe e le finì dentro a spinte brusche.
Il piacere di Lauren le schizzò sulle cosce e sulla mano, con cui continuava a sgrillettarsi. Rivet si sfilò mentre il suo buchetto ancora pulsava. Si ripulì l’uccello gocciolante su una delle sue natiche.
«Sei viva?» le chiese.
Lei si lasciò cadere su un lato. Sentiva il suo sperma che le colava lungo una coscia, il buchetto che pulsava, stringendosi come un nodo.
«S-sì».
Lui rotolò lì accanto.
«Ti ho fatto male?»
Lauren aveva ancora il fiatone e avrebbe fatto a meno di quell’interrogatorio.
«No. Tutto a posto. Cioè... wow».
Rivet aggrottò la fronte, pensieroso.
«Mmm, già. A letto me la cavo. Vado a darmi una lavata, mentre decido se scoparti anche davanti o se fermarmi qua».
Lei rise.
«A tua disposizione».
Il sorriso di Rivet fu un po’ distante.
«Be’, è quello il punto».
Quel posto... Lauren non sapeva che cosa fosse quel posto, ma non era una normale abitazione. Su quel piano c’erano quattro o cinque camere da letto, oltre alla gigantesca cabina armadio piena di vestiti da donna. Si chiese se fosse lo scannatoio privato di Rivet. Il posto in cui si divertiva con le sue “troie”, come l’aveva messa lui.
Qualsiasi cosa fosse, era incredibile. I mobili, le finiture, ogni dettaglio, parlavano di una cura e di un lusso che Lauren non aveva mai visto dal vero.
Si era fatta una doccia nel bagno di un’altra stanza, una camera dal letto alto e quadrato, a baldacchino.
Quando era uscita aveva trovato Rivet steso su quel letto, nudo, lo sguardo perso sul soffitto – o meglio sul tetto molle del baldacchino blu.
Si fermò, strofinandosi i capelli con il cappuccio dell’accappatoio. Guardandolo.
Là dietro era tutta gonfia, ora, e aveva l’impressione che per tornare normale le sarebbe servito almeno un giorno, ma non poteva dire che le avesse fatto male. Era stato il sesso più strano della sua vita. Non strano in quanto bizzarro, ma in quanto diverso. Nessuno l’aveva mai scopata con meno sentimento... o facendola godere di più.
«Parliamone» disse Rivet, dopo qualche secondo di silenzio.
La guardò. «Vieni qua, spogliati».
Lauren si sfilò l’accappatoio e rabbrividì leggermente, nonostante l’aria della notte fosse tiepida. Si sedette sul letto accanto a lui.
Cauta, perché ora che il momento era passato si ricordava chi era Rivet e perché il suo ex aveva pianto di paura mentre la portava lì.
«No, meglio il contrario» decise lui, alzandosi a sedere.
Le diede una spintarella in modo che fosse lei quella sdraiata a pancia in su. Per un attimo Lauren ebbe l’impulso di proteggersi proprio la pancia, come se lui potesse squarciarla all’improvviso con i suoi artigli. Ovviamente sapeva benissimo che Rivet non aveva artigli, ma l’impressione rimase.
Lui le prese un polso e le fece posare la mano sul materasso. Poi l’altra. Poi le fece piegare le ginocchia e allargare le cosce. Quando lei fu completamente esposta davanti a lui la osservò di nuovo in silenzio per qualche secondo.
Lauren chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. Si sciolse i muscoli delle spalle ruotandole lentamente.
Sentì che i capezzoli le si indurivano di nuovo, non per il freddo, ma per l’eccitazione. E il sesso le si dischiuse leggermente, facendosi tumido e umido.
«Era una dichiarazione di piena disponibilità, giusto?» disse lui.
Le posò una mano su una tetta, palpandola dolcemente.
«Ma di solito il sesso non ti interessa».
«Sì, ma non più di tanto».
«Saremo anime gemelle».
Lauren socchiuse gli occhi.
«Pensi di averne una?»
«No. No. Devo solo decidere se scoparti di nuovo o andarmene a dormire. Ognuna ha i suoi pro e i suoi contro».
Lei si limitò a guardarlo.
«Mi sono appena fatto una doccia... non ho voglia di farmene un’altra tra pochi minuti. È tardi e domani ho delle cose da fare. Tra i pro... be’, dopo dormirei meglio».
«Tutto lì?»
«Mh-mh. E ce l’ho duro, quindi suppongo che ti scoperò, dopo tutto. Tu cerca di non disturbare».
Lauren rise e avrebbe ribattuto, se lui non le fosse salito sopra.
Lo sentì entrare. Non era ancora del tutto pronta e la sua fichetta fece una certa resistenza. Rivet, steso su di lei, aspettò pazientemente che gli facesse posto.
«Palpami il culo» ordinò, iniziando a muoversi.
Lauren chiuse gli occhi, il respiro spezzato. Lo strinse con i fianchi e gli posò le mani sul culo. Lo palpò e lo tirò verso di sé, anche se il suo cazzo le stava sbattendo sulla cervice in modo non del tutto gradevole.
Rivet le strofinò l’inguine sull’inguine, stimolandole anche il clitoride. Le strinse i seni e le morse una spalla.
Accelerò.
Si sollevò sui gomiti per riuscire a darsi più spinta.
Dalla gola di Lauren uscivano gemiti animali sempre più forti. Il piacere la faceva tremare. Il modo in cui la stava fottendo, veloce e duro, la faceva godere sempre più forte.
Rivet grugnì e cambiò ritmo. Lauren sentì che l’orgasmo si avvicinava. Lui le finì dentro a scatti, con un gemito di liberazione, e si sfilò.
Lauren annaspò. Fino a un secondo prima stava per venire. Si strinse la fica con una mano, con un gemito di disappunto.
Rivet la guardò dall’alto in basso. Le scostò la mano e le tirò uno schiaffetto sulla fica. Lauren gemette di piacere senza capire.
Un altro schiaffo, sempre leggero.
Chiuse le cosce attorno alla sua mano e sentì le sue dita dentro. Fu lei a strusciarsi come una cagna, fu lei a strofinare fino a raggiungere un pallido orgasmo.
Rivet aspettò che finisse, poi si pulì la mano sul copriletto.
«Puoi dormire dove vuoi» le disse. «I tuoi vestiti sono dove li hai lasciati. Ti farò trovare lì accanto un r******o spese. Domattina vai alle macchine: qualcuno ti riporterà in paese».
«Tutto qua?»
Lui le rivolse una delle sue occhiate divertite.
«Tutto qua».