3.-1

2006 Words
3. Si svegliò alle sei e mezza, come sempre. Fece una veloce doccia, si vestì in modo altrettanto veloce, poi passò circa un’ora nel suo laboratorio portando avanti alcuni test su un modello cerebrale che stava sviluppando per dei robot da lavori stradali. Alle otto meno cinque prelevò Haim dal suo soggiorno e lo condusse con sé nei laboratori del piano inferiore. Esattamente alle otto aveva la prima riunione della settimana con lo staff HM. Sedevano tutti attorno a un grande tavolo ovale bianco, in una delle sale riunione. Quando arrivò si alzarono rispettosamente, per essere subito rimessi a sedere con un gesto distratto. Un robot portò del tè e dei biscotti. Crais sedette a capotavola e invitò gentilmente Haim a sedere nel posto accanto a lei. «Dunque» iniziò, sfogliando degli appunti. «Non ho verificato nemmeno un decimo degli item sull’elenco delle competenze di Haim, è ovvio, ma dai controlli random che ho fatto non ho motivo di dubitare che siano perfettamente soddisfatti. Avete fatto un grande lavoro, davvero» si ricordò di elogiarli. «Ovviamente, come ci aspettavamo, le sue capacità sociali sono incomplete». Sfogliò ancora i suoi appunti, mentre gli altri la guardavano in silenzio. «È troppo espressivo. Esterna quello che prova con troppa facilità». «Ma, dottoressa…» intervenne Poole, che si occupava dell’impatto sul pubblico. «Dai nostri sondaggi risulta che alla gente piacciono le persone trasparenti. Abbiamo parlato dell’effetto negativo che avrebbe se l’androide avesse un’espressione impenetrabile. Il campione è chiaro: l’ effetto Spock mette a disagio». «Già ci sono polemiche sulla commercializzazione di un androide, dottoressa» intervenne Tenorio, che si occupava degli effetti sociali dell’inserimento dei robot per la CraisRobots. «Le persone temono che i robot le trovino poco intelligenti o inferiori. L’impenetrabilità non farebbe che aumentare questo effetto. Le persone devono sentire di essere stimate, amate, viste come punti riferimento dai loro amici robot». Crais ascoltò attentamente, in silenzio. Poi indicò con un dito Haim, che se ne stava seduto sulla sedia con gli occhi bassi. «Lo guardi, Chris. Che cosa vede?» Poole spostò lo sguardo sull’androide. «Oh, povero piccolo. Forse sarebbe meglio se aspettasse fuori». Crais fece un gesto tranciante con la mano. «Assurdo. È normale che si senta un po’ umiliato nel sentire esposti i suoi difetti» batté con fare comprensivo sulla mano di Haim «ma non al punto di dimostrarlo così apertamente. Voglio dire, Chris, persino lei può arrivarci…» Poole aggrottò appena le sopracciglia e si passò una mano sul mento. «Mm» mormorò «forse c’è del vero nel suo ragionamento. Un’eccessiva espressione delle emozioni può essere imbarazzante per l’acquirente». Crais rise. «Ma guardi quello che ha appena fatto! È stato un esempio magnifico. Io mi sono rivolta a lei in modo villano – e ne chiedo scusa – e lei non ha fatto una grinza. Sono sicura che non le è piaciuto sentirsi dare dello stupido, e per di più senza motivo, eppure, come la maggioranza delle persone adulte equilibrate, ha fatto semplicemente finta di niente». A quel punto anche Poole sorrise. «Sono d’accordo» disse. «Anche se il suggerimento proviene da uno scienziato notoriamente misantropo come lei». Tutti risero, Crais compresa. «Bene, allora inseriamo una seduta di apprendimento per oggi pomeriggio, se siete d’accordo. Evitando l’ effetto Spock, va da sé». Poi si voltò verso Haim, sorridendogli. «Haim, sopporterai la nostra presunzione ancora un po’?» L’androide ricambiò con candore. «Certo». «Ah. E che nessuno tocchi quest’espressione. Non è adorabile?» L’intero tavolo si dimostrò d’accordo. Crais sfogliò ancora alcune pagine, poi passò all’argomento successivo. «Autostima. È desiderabile avere un androide non del tutto consapevole delle sue capacità, ma ho il sospetto che Haim alcune volte sia davvero convinto di essere un idiota. Va bene fingere modestia, ma questo è eccessivo». La dottoressa Bergman si sporse leggermente sul tavolo. Il suo viso placido e rugoso guardò con affetto verso l’androide. «Pensi di essere che cosa?» gli domandò, ironica. «Non molto sveglio. Voglio dire: non dal punto di vista logico, ovviamente. Ma ho paura di rendermi ridicolo con comportamenti inadeguati». «Capisco. Va bene, Eleonore, fisso un appuntamento per oggi pomeriggio». Crais annuì e sfogliò altri appunti. «È necessario farlo socializzare con persone appartenenti a diverse etnie. Se dovesse offendere per sbaglio una minoranza il Governo ci lincerebbe». «Me ne occupo io» si offrì Tenorio. «Molto bene. Gli serve un’esperta di tecniche erotiche. Io rischio di farne un incompetente». «Ci penso io, dottoressa» alzò la mano Wai, e tutti si misero a ridere. Crais inclinò la testa da un lato, pensierosa. «Sì, ci pensi lei, dottore. Qualcuno che gli spieghi anche quando e come comportarsi o meno in un certo modo. Spero che sarà all’altezza della sua fama». Il tavolo fu attraversato da un’altra risata, con Wai che mezzo arrossiva e mezzo si gonfiava. Crais continuò a sfogliare e a fare domande, proporre strategie e raccogliere pareri per più di un’ora. Alla fine si alzò e tornò nel suo attico, lasciando Haim col suo staff. La creazione di un cervello bio-elettronico non è uno scherzo. Crais si era servita di un computer molto avanzato per creare una mappatura delle aree. Poi aveva iniziato a inserire i criteri. Era stato un lavoro lunghissimo, durato quasi cinque anni, basato su molti lavori precedenti e costato molti sforzi. Fin da quando era una studentessa delle superiori con un grande talento matematico aveva accarezzato un sogno come questo. Quello che la interessava, fin da allora, erano i sistemi, gli schemi, le matrici probabilistiche. All’università aveva iniziato a lavorare con i robot. I modelli allora in commercio erano ridicoli al confronto di qualsiasi robot, anche antiquato, venuto più avanti. Per prima cosa assomigliavano a bidoni per i rifiuti su rotelle. Avevano mani a pinza, occhi che non cercavano nemmeno di nascondere di essere telecamere e un altoparlante al posto della bocca. Bisognava parlargli per frasi standard, e a volte non capivano comunque. Crais creò il primo schema cerebrale in grado di imparare e di superare il Test di Turing. Non di memorizzare nuove sequenze, come avevano fatto fino a quel momento i robots, ma di estrapolare informazioni, verificarle e sottoporle a un vaglio basato sull’esperienza. Aveva creato uno schema in grado di imparare secondo una logica coerente. Subito dopo la laurea, usufruendo di un finanziamento universitario di grosse proporzioni, aveva creato il primo robot che utilizzava schemi di questo tipo. Un ricercatore della facoltà di bio-ingegneria, Robert McLeod, aveva elaborato un progetto per un hardware avanzato, di forma antropomorfa. Il brevetto di RB01 era stato venduto alla Sony. Crais, McLeod e l’università si erano enormemente arricchiti. I primi robot moderni avevano iniziato a camminare per il vasto mondo. Altre società li avevano imitati, e presto i prezzi erano scesi. Crais e McLeod si erano concentrati su nuove versioni, sempre più evolute di RB. Avevano creato robot più complessi, più agili, più intelligenti. Il loro connubio era diventato strettissimo. Avevano comprato un’enorme officina abbandonata e ne avevano fatto il proprio laboratorio privato e la loro casa. Avevano assunto le menti migliori per il loro staff. Entro i trent’anni avevano ricavato una fortuna dai brevetti di RB02, 03 e 04. Ovviamente non poteva continuare per sempre. Questo, almeno, era quello che si diceva Crais con filosofia, a sei anni di distanza. Robert McLeod era stato colpito da un tumore al fegato che in tre mesi l’aveva ucciso. Crais, completamente distrutta, si era buttata sul lavoro. In quel periodo aveva lavorato sedici, diciassette, diciotto ore al giorno, progettando gli schemi cerebrali della serie RB06. Aveva distrutto quelli della 05, su cui stavano lavorando lei e Robert prima della sua malattia. Nello stesso anno aveva costituito la CraisRobots, facendo partire la sua prima catena di produzione. Un anno dopo la CraisRobots era quotata in borsa e iniziava a guadagnare cifre “sfacciate” come le definì il Financial Times. Nei cinque anni successivi erano usciti altri cinque modelli di RB, mentre i progetti per altri tre si erano arenati. Inoltre Crais aveva continuato gli esperimenti iniziati con McLeod per la costruzione del primo androide. I primi risultati non erano stati incoraggianti. Gli androidi erano emotivamente instabili, inoltre nei loro cervelli l’integrazione tra la parte biologica e meccanica era imperfetta. Pensavano più lentamente dei robots ed erano imprevedibili. Anche il loro hardware era ancora imperfetto. Sebbene Wai fosse un grandissimo bio-ingegnere, che Crais aveva strappato alla concorrenza con mezzi pirateschi, lei riteneva che non avesse la vera, pura genialità di McLeod. Mentre Wai procedeva con ordine dal punto A al punto Z, magari molto velocemente, ma sempre in ordine, McLeod a volte la lasciava di sasso con salti logici incredibili, intuizioni folgoranti e improvvisazioni geniali. Ma, doveva ripetersi Crais, McLeod era morto. Quel pomeriggio, in laboratorio, a un certo punto si rese conto che aveva fissato lo schermo del proprio computer per vari minuti senza guardarlo. Stava immaginando le reazioni che avrebbe avuto Robert vedendo quell’oggetto magnifico. Lo avrebbe adorato. Anche per lui, come per lei, sarebbe stato un sogno che diventava realtà. Si appoggiò le dita sugli occhi, accorgendosi, quasi stupita, di avere le ciglia umide. Si asciugò gli occhi col dorso della mano e si strinse nelle spalle. Robert le mancava. Le sarebbe mancato sempre. Che cosa poteva farci? Andare dritta per la sua strada era l’unica soluzione possibile. Nel tardo pomeriggio fu felice di veder tornare Haim. Indossava abiti ancora diversi. Probabilmente qualche addetta del laboratorio l’aveva preso per un bambolotto formato gigante, e ora si stava divertendo a più non posso. Questa volta aveva dei pantaloni a coste blu, camicia azzurra e golf color crema legato con noncuranza sulle spalle. Portava anche un orologio di plastica al polso (chissà a che cosa gli serviva, probabilmente gli piacevano i colori), un braccialetto della fortuna e una penna bic nel taschino della camicia. «Benvenuto Haim. È stato un pomeriggio impegnativo, credo». Lui sorrise lievemente. «Abbastanza. E il suo?» Crais ricordò come aveva interrotto il proprio lavoro per pensare a Robert, e si strinse nelle spalle. «Oggi ero un po’ distratta. Ti piacerebbe scendere nel parco?» Il sorriso sottile di Haim si allargò. «Moltissimo. Ha tempo?» «Certo. Andiamo. È freddo, fuori?» «Diciotto gradi». Crais annuì e si diresse all’ascensore privato della suite. «Oggi andremo al laghetto. Hai mai visto una papera dal vero?» «No. Ci sono papere nel laghetto? E nel resto del parco ci sono animali?» «Qualche scoiattolo. E poi, naturalmente uccellini, insetti…» L’ascensore atterrò dolcemente al piano terra e le porte si aprirono. A quell’ora nella hall non c’era più un grande traffico, visto che molti degli uffici erano chiusi. C’era un robot al bancone, un ragazzo nel chiosco dei giornali, qualche cliente nel bar per i visitatori. Crais uscì dall’ascensore e si stava dirigendo velocemente verso le porte girevoli, quando il robot all’accettazione attirò la sua attenzione. «Dottoressa Crais. Il signor Barria la sta cercando. Dice che non risponde al comunicatore». Crais si tastò istintivamente la nuca. «L’ho spento» ammise, candidamente. «Può dirgli di raggiungermi al laghetto delle anatre?» «Nel parco, dottoressa?» chiese lumi il robot, che aveva una piacevole voce femminile. «Sì, RB. Grazie». «Di niente, dottoressa. Lo chiamerò subito» disse il robot, inclinando la testa di lato, segno che stava telefonando. Crais e Haim uscirono nel parco. «Chi è il signor Barria, se non sono indiscreto?» domandò Haim, mentre la seguiva con passo fluido per i sentieri di pietre. «Il direttore dei rapporti con i media. Di solito mi secca almeno due volte al giorno con richieste di interviste e affini. Non capisco che cosa possa importare alla gente di me. È il mio lavoro a essere interessante, casomai». «Suppongo che molte persone la considerino un’icona del successo. Lei è giovane, carina, notoriamente un genio e molto riservata. Probabilmente vogliono sapere dov’è il trucco». Crais rise. «Non ti facevo così smaliziato, Haim!» Lui contrasse appena le labbra in un sorriso. «Sto imparando» si limitò a dire. Rispetto alla mattina era più controllato, meno loquace, notò Crais, con piacere. «E che cos’altro hai imparato, oggi?» chiese. Lui la guardò un attimo. «Un sacco di cose. Tutto quello che ha richiesto che imparassi questa mattina. I suoi collaboratori sono molto efficienti».
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