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HM-link7 era perfetto. La sua pelle sintetica era compatta e di un colore chiaro che faceva pensare a una scarsa esposizione ai raggi solari, i peli innestati magnificamente, sottili e radi sul dorso delle mani e delle braccia. Avvicinandoti, potevi notare i segni della barba che sembrava rasata alla perfezione. Le sopracciglia erano folte ma dai contorni leggermente irregolari, con qualche lieve differenza tra quella destra e quella sinistra. Sulla fronte, accanto agli occhi e ai lati della bocca aveva delle piccole rughe di espressione. I capelli erano un incredibili: castano chiaro, con un taglio sfumato, classico, lucidi ma non perfetti. Sembravano veri.
Gli occhi sottili, con piccole venuzze rosse, l’iride grigia con pagliuzze gialle, le ciglia inferiori e superiori perfettamente innestate, un alone più scuro nel derma subito inferiore, a suggerire un accenno di borse… potevi guardarli per ore e notare ogni volta un dettaglio nuovo, miracoloso, stupefacente.
Gli avevano dato un viso lungo e sottile, un naso altrettanto sottile ma leggermente aquilino, le cui narici potevano portarti alle lacrime per la verosimiglianza con cui erano costruite.
I vestiti (una semplice camicia bianca e dei pantaloni blu) gli cadevano addosso con una naturalezza quasi sovrannaturale, producendo lievi grinze ai gomiti e alle ginocchia.
Le unghie delle mani e dei piedi potevano essere considerate capolavori.
«Spogliatelo, per favore» disse Crais, quasi sottovoce. Le sembrava di stare davanti a un’icona sacra, a qualcosa di divino.
Due assistenti in tuta da laboratorio slacciarono delicatamente la camicia e i pantaloni, e Crais notò con stupore che HM-link7 portava dei boxer da uomo blu e bianchi. Furono rimossi anche quelli.
Crais osservò con attenzione il corpo sottile e ben costruito dell’androide. La pelle non era di un unico colore omogeneo, ma cambiava a seconda dell’area: più pallida all’interno delle braccia, più scura sui talloni, sui gomiti, sui genitali. Ogni pelo era innestato alla perfezione, tra il petto e le ascelle c’erano alcune grinze, le vene sugli avambracci erano leggermente sporgenti. Poteva vedere l’intersezione perfetta dei fasci muscolari, l’aureola più scura dei capezzoli, con una sottile coroncina di peli tutt’attorno. Le gambe, lunghe e snelle, avevano ginocchia ossute, leggermente sporgenti. I muscoli della schiena e dell’addome erano sottili e ben delineati.
Chi aveva fatto il design di quella creatura aveva un senso estetico ammirevole. Se non fosse stato spento non sarebbe riuscita a distinguerlo da un uomo. Un uomo normale, dotato di piccoli difetti, assolutamente realistico.
«Lo posso toccare?» chiese al dottor Wai, l’ingegnere biomeccanico. Immaginava di dover chiedere a lui l’autorizzazione, visto che era quello che era stato in grado di costruirlo, a capo di una numerosissima equipe.
Lui le sorrise sotto ai baffetti sottili che lo facevano assomigliare un po’ a un mongolo dei tempi antichi. «Certamente».
Crais appoggiò una mano sul petto di HM-link7, quasi con venerazione.
«Dio mio… dimenticavo che è caldo» mormorò.
«Ha una temperatura costante di 36,5 gradi centigradi» rispose Wai, compiaciuto.
«Incredibile…» rispose lei. Poi aggrottò la fronte. «Quanto pesa?»
Il sorriso sul volto di Wai si allargò. «Oh, non molto. Siamo riusciti a restare sui centodieci chilogrammi».
Crais tornò a osservare l’androide. Un uomo vero di quelle dimensioni sarebbe stato sugli ottanta chili, forse qualcosa in più.
«Dove sono l’alimentazione e l’interfaccia?» domandò.
Wai si avvicinò alla schiena dell’androide e premette un punto vicino al suo collo. Una porzione di epidermide sembrò scivolare via, mettendo in luce gli attacchi per la ricarica e la riconfigurazione.
Crais annuì dolcemente.
«Che funzioni fisiologiche è in grado di simulare?»
«Oh, moltissime!» replicò Wai, eccitato. «Può fare praticamente tutto!»
Crais gli concesse un sorrisino di indulgenza. Era ovvio che fosse orgoglioso del suo lavoro. «Per esempio?»
Lo sguardo di Wai scintillò. «Deglutisce» disse, toccandosi un indice con l’altro indice, come per elencare, «Sbatte le palpebre, piange – anche se non molto, le sacche lacrimali sono piuttosto ridotte – può ingerire cibo, masticarlo e tenerlo all’interno dello “stomaco” per vari giorni, prima di espellerlo per via anale. Stessa cosa per la minzione. È ovvio che si tratta di funzioni mimetiche, la sua forma di nutrimento è l’energia elettrica. Può simulare il sonno… pensi a quello che farebbe un uomo qualunque: lo fa anche lui!»
«Si gratta le parti basse, scola birra e si pulisce il naso in pubblico?»
Wai rise. «Volendo sì!» confermò, in tono entusiasta.
«E fare le puzzette?»
Wai sembrò colto di sorpresa. «No, quello no» rispose, un po’ abbattuto, come se un androide in grado di scoreggiare fosse stato desiderabilissimo. Poi tornò a sorridere. «Ma possiede una gamma completa di funzioni sessuali. Dovrebbe vedere le sue erezioni: sembrano vere!»
Crais inarcò le sopracciglia e sorrise. Quel Wai era decisamente un perfezionista.
«Lei ha fatto un lavoro stupefacente» lo lodò. Wai gongolò in silenzio.
La dottoressa Bergman, esperta di sistemi neurali, fece un passo avanti.
«E non è che l’involucro, rispetto al funzionamento del suo cervello» disse. Wai sussultò leggermente sentendo definire il corpo che aveva creato con lavoro pluriennale “involucro”.
Crais spostò lo sguardo sulla dottoressa.
«Accendiamolo, allora» disse.
«Subito». Un tecnico fece qualche passo verso il grande pannello sul muro: l’interfaccia.
«Un attimo» intervenne Bergman «prima rivestitelo».
Crais le lanciò uno sguardo perplesso. «È timido?» chiese, seriamente.
«Possiede una vasta gamma di emozioni spiacevoli, tra cui anche il disagio. Non è proprio timido, ma si rende conto che indossare vestiti è più appropriato».
«Oh, molto bene» rispose Crais, guardando ad HM-link7 con nuova ammirazione.
I tecnici lo rivestirono in fretta, mettendogli anche calze e scarpe, poi si affrettarono ad accenderlo. Il comando remoto richiedeva una serie di codici e di verifiche, che loro seguirono in modo automatico.
HM-link7 sbatté una volta le palpebre, inclinò leggermente la testa da un lato, si appoggiò su una gamba rilassando l’altra e fece un lieve sorriso. Poi rimase immobile al centro della bassa pedana su cui era collocato.
«Haim» chiamò la dottoressa Bergman e l’androide si voltò verso di lei. «Ti presento Eleonore Crais. Ti ho parlato di lei, ricordi?»
«Naturalmente. È un piacere conoscerla, dottoressa Crais» rispose l’androide, con calma, voltando lo sguardo su di lei e facendo un piccolo cenno con la testa.
«Che magnifica voce hai» disse Crais, quasi in soggezione. Era vero. Era una voce maschile calma e profonda, con un’intonazione perfetta, per niente sintetica.
«La ringrazio» rispose l’androide, educatamente.
«Facciamo vedere alla dottoressa quello che sai fare?» riprese la parola Bergman.
«Certamente. Da dove cominciamo?»
La Bergman incrociò le braccia, pensierosa. «Per prima cosa camminerai e le stringerai la mano» concluse.
HM-link7, o Haim, scese fluidamente dal piedistallo, fece qualche passo verso Crais, rifece il suo sottile sorriso e le tese la mano. Crais allungò la sua e la strinse. Sembrava una stretta di mano qualsiasi, se non fosse che si sentiva un po’ nervosa al pensiero che Haim avrebbe potuto facilmente fratturarle le dita.
In ogni caso era elettrizzata.
«Seguimi, per favore» decise, nella costernazione generale. Bergman quasi svenne dalla rabbia. La sua presentazione! Tutto il lavoro che aveva fatto!
Ma Crais non ci badò e imboccò una porta del laboratorio. HM-link7 le restò alle calcagna, obbediente.
In fondo, pensò Crais, è il mio androide. Io ho progettato il cervello che ha reso possibile il lavoro di tutti loro. Io l’ho pagato – una cifra stratosferica. Quindi è me che deve seguire.
«Ti hanno mai portato fuori?» chiese.
«No, dottoressa. Ma ho visto l’esterno dalle finestre, e nei film».
Crais sorrise appena. «Molto bene. Ci stai per andare. C’è qualcosa dell’esterno che potrebbe danneggiarti?»
Haim sembrò pensieroso. «Immagino che se mi cadesse addosso qualcosa di molto pesante bene non mi farebbe. Non alla mia epidermide, almeno».
Crais si voltò verso di lui.
«Era uno scherzo?»
Lui le rivolse un sottile sorriso. «Sì, dottoressa. Non c’è quasi niente che possa farmi del male. Non alla mia struttura».
Lei annuì. «Bergman ha fatto un ottimo lavoro. Davvero eccellente. Sai di essere un prodigio, vero?»
«Un prodigio. Così mi hanno detto» rispose lui, riflessivo. «Temo di sentirmi solamente meno brillante della media».
«Della media?»
«Degli esseri umani. Non ho mai conosciuto un robot. E sono l’unico androide».
Crais annuì di nuovo. «Al momento lo sei. Ce ne sono stati altri prima di te, naturalmente. Sei».
«È per questo che mi chiamo HM-link7?»
«Bravo. Non sei così tonto, vedi? HM sta per “human”. E il tuo nome in codice, Haim, in ebraico significa “vita”».
«Collegamento tra gli esseri umani e?» disse lui.
«E i robot. Sei l’anello tra l’uomo e il robot».
Haim chinò la testa. «E che ne è stato degli altri?»
Crais annuì ancora, apprezzava la domanda. Chiamò l’ascensore. «Sono stati disabilitati» rispose. «Non erano in grado di superare i test governativi. Erano… non era possibile tenerli».
«Capisco» mormorò Haim.
Le porte dell’ascensore si aprirono, e loro salirono a bordo. I due uomini in giacca che erano all’interno si fecero da parte, salutando rispettosamente Crais con un cenno del capo. Poi lanciarono brevi occhiate incuriosite a Haim.
«È quello che dovrò fare io, vero? Superare i test» disse lui, mentre osservava con grande attenzione i due uomini.
«Sì» rispose lei, seguendo il suo sguardo.
«Chi sono loro?» domandò l’androide.
Crais sorrise, mentre i due fissavano nervosamente entrambi. «Così a occhio, vengono dalla sezione contabile. È giusto?»
I due annuirono in contemporanea. «Sì, signora» confermarono, molto più robotici di Haim.
«Lei ha uno schizzo di maionese sulla cravatta» disse, gentilmente, l’androide, indicando rispettosamente con il dito.
L’uomo sobbalzò e arrossì. «Io… ehm. Mi scuso» borbottò, iniziando a frugarsi in tasca alla ricerca di un fazzoletto.
L’ascensore si fermò e i due schizzarono via mormorando saluti intimiditi. Crais rise di gusto.
Precedette l’androide nel grande atrio della CraisRobots, guardandolo che osservava tutto come un bambino al Luna Park. Il pavimento di marmo lucido, il lungo banco d’accettazione di legno scuro, la tappezzeria color crema e le luci incassate nei muri. Varie persone rivolsero a lei occhiate rispettose. Non capitava molto spesso di vederla nella hall.
Crais spinse le porte girevoli e guidò Haim all’esterno.
Il palazzo della CraisRobots sorgeva al centro di un vasto parco erboso, ai cui margini svettavano i grattacieli della City come altissime mura di vetro.
C’erano sentieri di pietra bianca, panchine, alberi radi e frondosi e una grande fontana proprio davanti all’ingresso.
Crais preferiva osservare la natura dalle finestre del suo attico, che prendeva tutto l’ultimo piano del palazzo, ma si adattò a passeggiare su un vialetto.
La verità era che la disturbava che molti dei passanti la guardassero come se fosse un alieno. La disturbava anche (miracoli della psicologia umana) che alcuni non la notassero affatto, non riconoscendola. Eppure era stata sulla copertina dei maggiori settimanali economici.
Era la famosa Eleonore Crais, il genio delle reti neurali artificiali, quella che aveva inventato i primi cervelli elettronici in grado di apprendere, che da anni teneva tutti sulle spine con la nuova rivoluzionaria idea di un cervello bio-elettronico. Era la donna che a soli trent’anni aveva fondato la sua società per la produzione di robots, che ora fatturava diversi miliardi di dollari all’anno, che teneva alla sua privacy in modo quasi ossessivo, che usciva raramente dal suo ufficio nell’attico della CraisRobots, che… be’, che era spaventosamente ricca, famosa, geniale ed eccentrica.
O, almeno, così scrivevano di lei.
«L’erba ha un buon odore» commentò Haim, in quel momento, riscuotendola dai suoi pensieri.
«Molto buono, sì. Vieni, ti faccio annusare anche la corteccia dei pini».
Attraversò un prato e si avvicinò a un albero.
«Lì c’è scritto che non si può camminare sull’erba» disse Haim.
Crais rise. «Sì, esatto. Ma, vedi… sono io la proprietaria di questo posto, quindi ho alcuni piccoli privilegi. Per esempio camminare sul prato finché mi pare e piace. Se si rovina l’erba la ripago io, capisci?»
«Oh. Quindi io non avrei dovuto passarci sopra, eh?» rispose, incongruamente, lui.
Crais lo guardò con un mezzo sorriso. «È ovvio che chi è con me gode degli stessi privilegi. Ma se fossi da solo, un guardiano ti avrebbe multato, immagino».
Haim annuì, avvicinandosi all’albero. «Anche i pini hanno un buon odore». Ne sfiorò la corteccia con le dita, poi annuì tra sé e sé, come se avesse appena avuto una conferma di qualcosa.