2.
Haim, dopo la doccia, era stato quieto e silenzioso. Crais aveva finito di leggere la sua rivista, poi era passata nella sua grande cucina a prepararsi qualcosa per cena. Tramezzino al pollo, insalata e maionese, e la cena era pronta.
«Non avrà intenzione di mangiare quello» le arrivò la voce pacata di Haim.
«Perché? Che c’è di male?»
«Non è un pranzo equilibrato».
«Oh, Haim… non ho voglia di prepararmi un pranzo equilibrato. Non è una cosa importante».
«Io le preparerò la cena. Lei si sieda e non faccia niente».
Crais aggrottò le sopracciglia, perplessa.
«Haim? Tu sai preparare da mangiare, giusto?»
Lui la guardò con gli innocenti occhi grigi. «Certo» disse, seriamente. Crais immaginò che l’avesse letto su internet durante la sua fase di accrescimento delle competenze.
Così, rassegnata, si andò a sedere in un angolo e aspettò di vedere cosa succedeva.
Haim iniziò tranquillamente a guardare nel frigo. Poi estrasse due uova, del burro, della carne… in poco tempo sul lucido bancone di alluminio si allungarono decine di prodotti alimentari. Ora, Haim si muoveva un po’ troppo velocemente perché Crais riuscisse a seguire tutti i suoi movimenti. Inoltre, invece di compiere tutte le azioni in modo sequenziale, le faceva piuttosto in serie, una a fianco dell’altra.
Padelle vennero messe sul fuoco, il forno acceso, pentole spentolarono. Crais non ci capiva assolutamente niente.
Alla fine Haim si voltò verso di lei e appoggiò un vassoio sul tavolo.
«Per aprire omelette ai funghi» disse, depositandole delicatamente nel piatto degli involtini giallastri dall’aspetto invitante. Crais ne assaggiò un angolo e li trovò molto buoni.
«Gambero al cartoccio con verdure croccanti».
«Ballottine de volaille au foie gras con asparagi».
Crais mangiò tutto di gusto. Era stupefacente. Era buonissimo. Le sembrava di essere al ristorante.
«Dio… è tutto fantastico Haim… bravo».
«Grazie. Gradirebbe un po’ di mousse al cioccolato?»
«Adoro il cioccolato».
«Ottimo».
E così arrivò per magia anche il dolce.
«Bene. Che te ne è sembrato di questo pomeriggio?» iniziò a discutere, più tardi, Crais. Si era messa in pigiama e se ne stava comodamente avvoltolata in una coperta di pile sul divano.
«È stato tutto molto interessante. Mi è piaciuto uscire all’aperto, fare la doccia e cucinare. Non avevo mai fatto niente del genere, è ovvio. E poi mi piace che lei mi tratti come un essere intelligente, ma che si metta a ridere se faccio qualcosa di stupido o strano».
«Sono molto soddisfatta anch’io» rispose Crais, con un lieve sorriso. «Sono soddisfatta del tuo aspetto, di come parli e di come ragioni. Alcune volte è facile scambiarti per un essere umano, e questa è una caratteristica molto desiderabile per noi».
Haim annuì compostamente.
«Adesso dimmi: che sensazioni hai provato quando eravamo nel parco?»
«Ero molto felice, credo. Tutti quegli odori, e la sensazione della brezza, e molte persone… mi sentivo euforico, volevo sperimentare nuove cose».
«Gli odori. Hai una vera e propria attrazione per gli odori, vero?»
Haim sorrise. «Sì, forse perché ho un sistema olfattivo molto avanzato. Finché sono stato nel laboratorio potevo annusarne pochi. L’odore del personale, di alcuni profumi, di me stesso… là fuori, come avevo letto, ci sono centinaia di odori diversi».
Crais inarcò un sopracciglio. « Tu hai un odore?»
L’altro annuì. «Molto debole. Non credo che gli esseri umani possano percepirlo».
«Infatti. Per me non hai assolutamente un odore tuo. I tuoi vestiti, i tuoi capelli dopo lo shampoo… ma non la tua pelle, ovviamente».
Poi voltò una pagina del suo blocco e cambiò argomento. «Che cosa pensi di te stesso, dell’aspetto che hai? Come ti percepisci in relazione agli esseri umani?»
Haim sembrò dubbioso.
«Non so come mi percepisco. Io sono così. Sono costruito per assomigliare agli esseri umani e ci assomiglio abbastanza. Immagino che a un occhio poco accurato sfuggirebbe la differenza. Se fossi un essere umano sarei un essere umano medio. In quanto androide sono ovviamente più forte, più veloce e dispongo di un’accuratezza matematica molto superiore. Però sono anche goffo sul piano sociale, culturale... esistenziale, direi».
Una breve pausa. «Naturalmente, essendo un androide, nessuno pretende che io sia perfetto, tuttavia… ho l’impressione che potrei migliorare da questo punto di vista. Imparo».
«Fammi un esempio».
Lui annuì. «Oggi ho notato come parlavano con i bambini. Nei loro confronti si ha un atteggiamento protettivo, poco severo e didattico. Lei ha un atteggiamento simile con me, ma meno disinvolto. Probabilmente perché sono un androide, quindi si aspetta che io non apprenda allo stesso modo».
Crais inclinò la testa da un lato, fece una piccola smorfia per i cervicali e rispose: «Ci sono varie cose da tenere presente. Per prima cosa, come hai giustamente notato, mi aspetto che tu apprenda in modo differente. Hai già un vasto bagaglio di conoscenze di base, quello che resta di solito si trasmette con l’apprendimento implicito. Ossia non eseguendo delle istruzioni o imitando un modello, ma semplicemente osservando e comprendendo».
Haim fece segno di aver capito.
«Secondariamente tu hai l’aspetto di un uomo adulto, e il tuo cervello è stato progettato per essere quello di un uomo adulto. Indipendentemente dal fatto che il tuo periodo di apprendimento intensivo sia durato solo un mese, conosci molte cose che conoscerebbe un uomo adulto, forse anche di più. Ti manca, ovviamente, l’esperienza di una persona cresciuta».
Continuò: «Ora, per quanto io possa essere una programmatrice di cervelli bio-elettronici, colei che ha progettato il tuo hardware e il tuo software base, sono pur sempre un essere umano con una storia sociale alle spalle. Quindi, in una certa misura, ti tratto per come appari. Siccome sei un androide cerco di comportarmi con te come mi comporterei con un giovane robot molto intelligente. Ma, per esempio, non oserei mai manipolarti come un giovane robot. Lo troverei offensivo nei tuoi confronti, anche se tu probabilmente non percepiresti la cosa. Riesci a comprendere?»
«Credo di sì. Oggi, per esempio, non è entrata in bagno finché non le ho dato il permesso per non violare la mia privacy. Io sono una macchina, in un certo senso. Non dovrei avere privacy».
«Questa frase è interessante. Non dovresti avere privacy».
Haim sembrò riflettere per qualche istante. «Immagino di no. Sono sintetico».
«Eppure il tuo cervello possiede un sistema neurotrasmettitoriale complesso, come quello umano. Tu hai percezione dei tuoi sentimenti. Provi sentimenti, anche se in modo diverso, immagino, dai nostri. Hai un filtro intellettuale predominante».
«Sì».
«Quindi se oggi fossi entrata senza bussare forse non saresti stato contento».
«Non lo so. Lei è come un medico. Se fosse entrato personale non autorizzato, però, la cosa mi avrebbe infastidito».
«Perché era un momento che consideravi privato. Il senso della privacy è un oggetto sociale molto evoluto, determinato quasi totalmente dalla cultura».
«Non saprei spiegare perché» aggiunse lui.
«Capisco. E ti infastidirebbe violare la privacy di un’altra persona?»
«Se me ne accorgessi, naturalmente. È un atteggiamento molto maleducato, che mi mette a disagio. Oggi, quando sono entrato nel suo appartamento, mi sono sentito un po’ a disagio. Avevo l’impressione di invadere un suo spazio».
«Hai ancora questa sensazione?»
Haim socchiuse appena gli occhi, pensieroso.
«Sì» disse, alla fine. «È evidente che lei preferisce vivere da sola, con pochi contatti con gli altri. Ha detto che ha un robot per le pulizie, ma in questo momento non c’è. Quindi preferisce non dover dividere il suo spazio neanche con un robot. Inoltre è famosa per essere molto riservata. Ho letto degli articoli sul suo conto».
«Eppure ti ho detto che amavo passare il mio tempo con te. La trovo un’esperienza straordinaria. Non credo che tu ti renda conto fino in fondo di essere il primo essere artificiale la cui intelligenza è paragonabile a quella umana, o meglio, non credo che tu ti renda conto di cosa questo significhi per me».
«Sono felice che lei apprezzi la mia compagnia, ma continuo ad avere la sensazione che in qualche modo lei preferirebbe anche stare da sola».
«Questo perché trovo i contatti sociali molto faticosi. Fa parte della mia personalità. Comunicare è sempre difficile. E i mezzi con cui lo facciamo sono imperfetti. C’è sempre un’area indefinita, di malinteso. Dipende dall’intelligenza, dall’interpretazione a cui sottoponiamo ogni comunicazione».
«Mi dispiace. Vorrei essere in grado di esprimermi meglio».
«Non era una critica nei tuoi confronti. Appunto. Tu ti esprimi molto bene. Nessun essere umano di mia conoscenza potrebbe essere trasparente come te».
«Trasparente?»
«Già. Se sei felice tu dici: sono felice. Gli esseri umani di solito non lo fanno. Vedi i due uomini nell’ascensore. Erano a disagio, ma hanno cercato di fare di tutto per non dimostrarlo».
«Capisco».
Crais roteò lentamente il collo, soddisfatta della conversazione, cercando di sciogliere i muscoli del suo collo.
«Ha i muscoli contratti» notò Haim. «Perché?»
Crais fece un lieve sorriso. «Non mi muovo quanto dovrei, e sono spesso tesa. Ho molti pensieri. Per via degli esperimenti, della società…»
Haim rimase in silenzio. Lei si chiese a cosa stesse pensando e finì per chiederlo.
«Io… stavo pensando che essere d’aiuto fa parte dei miei settaggi, ma pensavo anche che forse non avrebbe gradito un’intrusione nei suoi fatti privati».
«Non capisco».
«Sono capace, credo, di occuparmi del suo collo, ma non mi sembra un comportamento adeguato».
Crais sorrise ancora. «Se lo sai fare fallo, ma voglio che mi spieghi il motivo di questo tuo ragionamento».
Haim si alzò silenziosamente e si mise alle sue spalle. Le slacciò i primi due bottoni della camicia e la fece scivolare per un pezzo giù dalle sue spalle. Le scostò i capelli da un lato.
«Adesso porterò le mie mani a trent’otto gradi centigradi. Poi arriverò fino a quaranta. Se dovessero essere troppo calde me lo dica».
Le appoggiò i palmi accanto al collo e iniziò a massaggiare. Erano calde e, specialmente, sembravano sapere alla perfezione come ogni muscolo dovesse stare.
«Perché non ti sembrava un comportamento adeguato?»
«Ecco… non mi sembrava rispettoso toccarla. Gli esseri umani di quest’area geografica trovano sgradevoli i contatti non richiesti».
«Rispettoso. Strana parola».
«Il messaggio implicito che la circonda è molto forte. Bisogna portarle rispetto. Lo fanno tutti».
Crais chiuse gli occhi, invasa da sensazioni piacevoli. Doveva ricordarsi di quell’abilità dell’androide. Era decisamente un toccasana per il suo collo.
Poi si rese conto di qualcosa. Si irrigidì, ma poi si rilassò di nuovo quasi all’instante.
«Le ho fatto male?»
«Oh, no. No. Ho capito qual è il messaggio implicito che ti disturba. Per un attimo ha disturbato anche me. È un messaggio di tipo sessuale».
Haim si fermò, le mani appoggiate sulle sue spalle, immobile.
«Sì. Ha ragione, mi… disorienta. Mi scusi».
«Ti disorienta. Puoi spiegarti meglio?»
Lui non rispose. Stava elaborando. O pensando, che dir si volesse.
«Dimmi quello che pensi. Ti aiuterò io a trovare il giusto percorso» disse lei.
«Oh, sto elaborando una quantità imponente di dati ».
«Dimmi quello che provi, allora».
«Disagio, senso di colpa, appagamento, piacere, paura».
«Molte sensazioni. Vieni a sedere qua. Parliamo».
Haim spostò le mani e fece agilmente il giro del divano. Si sedette circa trenta centimetri a lato di lei.
Crais si avvolse meglio nella coperta.
«Tu sei l’unico della tua specie. Sei stato allevato da umani. È normale che ci consideri la tua specie, in un certo senso. Oggi mi hai chiesto molte informazioni sui nostri programmi produttivi. Vorresti avere dei simili?»
«Non lo so. Forse».
Crais annuì. «Posso capire. Essere unici è bello, ma solitario. E poi temi di vedere negli altri qualcosa di te che non vorresti vedere».
«Non sono sicuro di capire».
«Temi che noteresti in loro dei difetti che sono anche i tuoi, ma di cui non sei consapevole».
«Forse. Non sono sicuro».
Lei si grattò il mento. «Il tuo cervello è diverso da quello dei robot. Loro non provano emozioni, le simulano a beneficio degli esseri umani».
«Sì».
«Tu, invece, provi realmente emozioni ma, al contrario degli esseri umani, sei sempre in grado di osservarle dall’esterno e di compiere, se il caso lo richiede, scelte razionali».
«Sì».
«È una caratteristica che molti esseri umani desidererebbero. Alcuni possono arrivarci molto vicino, con pratica e impegno, un po’ come la dottoressa Bergman, ma nessuno può farlo del tutto. Ci sarà sempre un’emozione troppo intensa da controllare, ed è un bene che sia così. Per noi».
«Per voi».
«M-mh. Prendiamo la situazione di pochi istanti fa. Provavo sensazioni molto gradevoli, alcune di natura sessuale. Come un orso che strofina la schiena contro un albero, forse. Non me ne sono resa conto subito, ovviamente: sono un essere umano».
Haim annuì in silenzio.
«Poi il mio pensiero è stato» sollevò le sopracciglia, divertita, «Santo Cielo, è un androide!»
Crais rise. Haim, incerto, sorrise.
«Così ti ho spiegato la provenienza della tua riluttanza. E tu hai pensato…»
«Santo Cielo, è la padrona!» rispose Haim.
Crais si accarezzò di nuovo il mento, pensierosa. «Curioso» borbottò. «Non ci avevo mai pensato».
«A che cosa?»
Lei sembrò ridestarsi. «Oh, a un effetto ambientale, Haim. È un fatto interessante, a cui non avevo pensato. Il motivo per cui tu sei molto più a disagio di me».
Lui rimase in silenzio, elaborando.
«In ogni caso» aggiunse lei «tu provi sensazioni, quindi anche desiderio. È parte della tua programmazione. Sei fatto per assomigliare a noi. Saresti la gioia di ogni psicologo, e probabilmente lo sarai. Che cosa senti quando provi desiderio? Lo consideri un argomento riservato?»
Haim la guardò un po’ confuso.
«Sì» disse. «No» ritrattò. «Ne voglio discutere con lei».
«Molto bene. Allora discutiamone. In che modo…»
«Ho avvertito delle sensazioni piacevoli, ma anche spiacevoli».
«Come il senso di colpa».
«E vergogna, sì. Ma non mi riferivo a questo. Era come se… un senso di mancanza, ma piacevole. E sgradevole. Bramosia».
Crais annuì.
«E poi il mio corpo si è mosso automaticamente. Non era mai successo. Di solito avviene il contrario. C’è una stimolazione e questo mi procura delle sensazioni piacevoli a livello cerebrale. Non il contrario. Questo mi ha messo molto a disagio».
«M-mh. È un riflesso semi-automatico. È normale in entrambi i modi».
«Ma è terribile! Perché Wai e Bergman hanno fatto questo? È imbarazzante! Io sono una…»
«Macchina?»
Haim annuì. «Provo emozioni, ma posso controllarle. Non è accettabile che una parte di me si muova senza il mio consenso».
Crais si strinse nelle spalle. «È così per tutti. Ma una certa dose di controllo c’è. A quanto ne so io interrompere un’erezione è abbastanza semplice. Per gli uomini non è molto semplice il contrario, di solito».
«Ma non è affatto semplice! Wai si è lasciato prendere la mano!»
Crais, sebbene si rendesse conto che la cosa fosse molto angosciante per l’androide, non poté fare a meno di ritenere le sue proteste comiche, e quindi si mise a ridere.
Haim la fissò con aria perplessa.
Cercò di soffocare le risate. «È questione di esperienza, immagino» disse.
«Esperienza? Io imparo subito. Non devo esercitarmi. Per i capelli, per esempio, ora che ho visto lei la prossima volta sarò in grado di asciugarli da solo».
Lei si mise una mano davanti alla bocca. Era comico.
«Bene. Allora prova di nuovo».
Haim sgranò gli occhi. «Oh, no. Morirei di vergogna».
Crais rise di nuovo, poi si alzò sulle ginocchia e gattonò fino a lui. Gli si strofinò contro come un gatto. Haim aveva un’espressione a dir poco oltraggiata.
Gli fece scivolare una mano lungo il petto, poi lungo la pancia. Finì per appoggiarla tra le sue gambe.
Guardò Haim, seria. Lui la fissò un istante, poi chiuse gli occhi.
«È assolutamente inamovibile» disse, con voce atona.
«Mh» assentì lei. «Riprova».
« Ci sto provando. In questo momento mi sto proiettando sulle palpebre un filmato della BBC sulle fosse comuni in Bosnia. Non ha alcun effetto».
Crais rifletté velocemente.
«Wai ha deciso di risparmiare sul materiale, si direbbe» mentì con disinvoltura.
«Non attacca» rispose Haim. «È di cinque centimetri più lungo della media. E adesso, per favore, si dia per vinta».
«Neanche per idea. Che cosa credi, che sia arrivata dove sono dandomi per vinta? Immagina di essere a un evento pubblico molto affollato».
«Tipo cocktail party?»
«Esatto. Una donna ti si strofina contro involontariamente e tu hai un’improvvisa erezione».
«Non è di aiuto».
«Lei se ne accorge, si volta ed esclama, a voce molto alta: lei è un pervertito! Non si vergogna?»
«Sì, moltissimo».
«Tutti si voltano a guardarti e tutti notano la tua erezione e… ha funzionato. Lo sapevo».
Crais scivolò giù dal divano, riprese la sua coperta e ci si riavvolse dentro. Haim aprì gli occhi.
«Lei è un genio» disse, in tono vagamente risentito.
Crais rise. «Io mi fido del mio team. E Wai ha fatto un ottimo lavoro, proprio come immaginavo. Idem per Bergman».
Haim si passò una mano tra i capelli. «È imbarazzante».
«È incredibilmente umano» ribatté lei. «Ed è magnifico. Ti bacerei. Venderemo modelli HM-link anche a scopo ricreativo sessuale». Poi si grattò il mento. «Ovviamente metteremo dei blocchi di protezione anti-stupro».
«Ma… ma… adesso non esageri, io non potrei mai…»
Lei rise. «Non sugli HM. Per gli HM!»
«Capisco» disse lui, freddino.
Crais si voltò a guardarlo. Povero piccolo, pensò, è un mondo di squali.
Tornò a sedersi sulle sue ginocchia e gli passò le braccia attorno al collo. «Sei un giocattolo bellissimo» gli disse. «Ma non permetterò che qualcuno vi usi come giocattoli. Hai la mia parola. I nostri avvocati se ne stanno già occupando».
Haim le sorrise.
«E adesso dimmi che cosa provi».
Lui aggrottò lievemente le sopracciglia. Lei ammirò la perfezione delle rughe e della contrazione.
«Sollievo, gratitudine, benessere, soddisfazione, insoddisfazione, rimpianto».
Lei annuì. «Non ho ancora finito di testarti» disse, seria. «Ovviamente se sei disponibile».
L’androide la guardò un attimo, confuso.
«Non credo di essere capace» ammise.
«Devo parlare con Bergman» replicò lei. «Tu hai un problema di autostima».
Crais era una buona programmatrice. Sapendo com’era fatto il cervello di un robot, conoscendone (anzi, avendone disegnato!) le strutture cognitive, era in grado di insegnare qualsiasi cosa a un robot in brevissimo tempo.
Certo, il cervello di Haim era infinitamente più complesso, decisamente più simile a un cervello umano che a uno robotico, ma ciò non toglieva che nei suoi schemi generali l’avesse disegnato comunque lei. La dottoressa Bergman lo poteva conoscere dal punto di vista psicologico, ma lei lo conosceva da un punto di vista meccanico, funzionale.
Rispetto ai primi robot, ai quali bisognava rivolgersi in un lessico da programmatore, i robot odierni erano infinitamente più evoluti, e Haim ancora di più. Crais sapeva, tuttavia, che parlargli con frasi con il minimo coefficiente di ambiguità possibile era il modo migliore per veicolare un apprendimento.
I normali robot non percepivano, se non a un livello molto grossolano, le sfumature emotive delle frasi. Non sapevano distinguere, per esempio, un ordine gentile da uno freddo. Riconoscevano la rabbia dall’altezza in decibel dei suoni, dalla loro velocità e dal contenuto semantico.
Erano in grado di capire, per esempio, che se il proprietario gli urlava contro “Sei un imbecille, maledetto barattolo!” era arrabbiato, ma non avrebbero saputo dire lo stesso di una frase come “La tua capacità di comprendonio non cessa di stupirmi”, per quanto detta in tono freddo e sarcastico.
Malgrado conoscesse perfettamente questi limiti, tuttavia, Crais non aveva mai parlato a un robot se non con gentilezza. Riteneva che il fatto che non potessero capire non fosse una scusa sufficiente per comportarsi diversamente. Anzi, avrebbe ritenuto chiunque la pensasse in un altro modo disprezzabile.
I suoi dipendenti dicevano che era molto più gentile con i robot che con loro. Il motivo era semplice: i suoi dipendenti erano in grado di capire che era stressata, impegnata o estenuata, pertanto se ricevevano una risposta secca avrebbero capito.
Con i robot usava sempre un tono chiaro e gentile. Se ne rimproverava uno gli diceva, semplicemente: “Non avresti dovuto farlo. Lascia che ti spieghi perché.”
Haim, al contrario degli altri robot, era in grado di capire i messaggi emotivi delle frasi.
Tuttavia Crais non lo avrebbe mai trattato come un umano. Non si sarebbe mai spazientita con lui e avrebbe continuato a usare frasi a bassa ambiguità. Era responsabile di una parte della sua formazione. Il suo compito era capire in quali compiti fosse deficitario e aggiungerli alla lunghissima lista di quelli che avrebbe dovuto saper eseguire. Poi il suo staff si sarebbe occupato di insegnarglieli.
Per questo, durante il rapporto sessuale che gli fece sperimentare gli fornì sempre istruzioni chiare e mantenne un tono gentile e scherzoso.
Per questo, tra l’altro, non si divertì molto. Anzi, quasi niente.
Haim si dimostrò diligente come al solito. La toccò in modo delicato (sia i robot che gli androidi erano programmati per sottostimare leggermente la forza umana), fece tutto quello che gli veniva chiesto, dimostrò una buona inventiva, un apprendimento veloce, una discreta comprensione del meccanismo.
Le spiegò diligentemente ogni sensazione che provava e si dimostrò curioso di ricevere feedback.
I suoi meccanismi del piacere erano perfetti, sensibili, estremamente complicati, anche se meno di quelli di un essere umano, naturalmente.
Alla fine Crais giacque sul letto piuttosto affaticata, sessualmente frustrata (in fondo lei non era una macchina) e molto gratificata nell’ego.
Haim non aveva tempo di refrattarietà, non si stancava, non sudava e non eiaculava, a meno di non inserire un apposito liquido. Era soddisfatto e felice. Insomma, il dildo perfetto.
Gli disse che poteva passare la notte leggendo i suoi libri, usando il computer o come preferiva.
Lei avrebbe dormito qualche ora.
E, ma questo non lo disse, avrebbe rimpianto la compagnia di un uomo vero.