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1969 Words
Si voltò verso di lei e le rivolse un sorriso smagliante. «Grazie per avermi portato fuori». «Di niente. Purtroppo non potrai uscire dal parco finché non avrai superato i test governativi». Sorrise in modo incoraggiante: «Non preoccuparti, tu li supererai. Sei perfetto». Lui annuì di nuovo. «E dopo che avrò superato i test verranno costruiti altri come me?» «Certamente. Il tuo modello verrà commercializzato». Haim inclinò la testa da un lato, in un movimento così umano da far venire le lacrime agli occhi. «E che cosa se ne farà la gente? Voglio dire: io non so fare niente». «Già. Ma puoi imparare a fare qualsiasi cosa. Non so per cosa saranno utilizzati, con esattezza. Di certo non verranno usati per i lavori pesanti; per quello ci sono i robot. Immagino che alcuni verranno utilizzati per i servizi pubblici, altri nel terziario, altri ancora come servitori… per non dimenticare quelli da compagnia, semplicemente». Haim la guardò con aria perplessa ma felice. «Pensa davvero che potremmo essere androidi da compagnia? A loro interesserebbe parlare con noi?» Crais aggrottò le sopracciglia. Quell’Haim possedeva davvero delle reti neurali di prim’ordine. E una psicologia piuttosto bizzarra, anche se molto più evoluta di quanto pensasse. «Be’, tu di sicuro sei molto interessante, Haim. Bisogna poi vedere interessante per chi. Ma, sai… molte persone si sentono sole; vogliono semplicemente qualcuno che le ascolti. A cui importi di loro. Costruito apposta». «Capisco». Crais si sedette sull’erba, rilassata, e Haim si sedette accanto a lei. «Tu hai delle aspettative, per il tuo futuro? Delle ambizioni?» chiese. L’androide la fissò inespressivo. Poi aggrottò la fronte. «Non hai capito?» disse Crais, gentilmente. «No, credo di aver capito, ma non sono sicuro di quale sia la risposta. Una volta terminati i test suppongo che resterò all’interno della CraisRobots. Immagino che verrò studiato, analizzato. Finché non avrò più utilità. Per quanto riguarda le ambizioni… non credo di avere ambizioni particolari. Vorrei passare positivamente i test, non deludere lei e gli altri miei costruttori, essere… apprezzato?» Crais rimase senza parole. Non per quello che l’androide aveva detto, e nemmeno per la sua espressione (anche se erano entrambe incredibili) quanto per la reazione emotiva che le suscitava. Si sentiva… dispiaciuta, per lui. Aveva voglia di consolarlo. La realtà era che le sembrava un bambino piccolo, bisognoso di cure e rassicurazioni. «Sei molto apprezzato, credimi. Il tuo cervello è eccezionale. Tu sei eccezionale. Siamo tutti molto orgogliosi di te». Haim sorrise, felice. «Ora, ascolta. Questa è la tua ultima settimana prima dei test. Lavoreremo insieme, tu e io, e vedremo di perfezionare la tua educazione». L’androide annuì. «Tu devi chiedermi tutto quello che non capisci, okay? Consuetudini sociali, sensazioni, impressioni. Tutto». «Va bene». Poi i suoi occhi brillanti si volsero verso la CraisRobots. «Quegli uomini nell’ascensore… quelli dell’ufficio contabile… loro erano intimiditi, è vero? Da lei?» «Suppongo di sì». «E perché?» «Perché sono il grande capo, credo» rispose lei, con calma. Haim socchiuse gli occhi. «Penso di non capire. Lei è il capo, certo. Li può licenziare – si riferiva a questo, immagino – ma loro si trovavano nell’ascensore. Non stavano facendo niente che l’avrebbe potuta convincere che meritavano il licenziamento». Lei annuì gravemente. «Fa parte dei rapporti sociali. Il fatto che io sia più ricca, più potente e forse più intelligente di loro li mette in imbarazzo. Si sentono in una posizione di inferiorità, indifesi. Per questo erano intimiditi». Haim fece scorrere tra due dita un filo d’erba, senza strapparlo né danneggiarlo. «Sembra incredibile» mormorò. «Lei ha un aspetto così gentile». Crais rise. «Gentile? E che cosa ne sai tu?» L’androide la guardò con espressione seria, i suoi occhi grigi e limpidi, incredibilmente espressivi se pensavi che erano sintetici, nient’altro che due telecamere. «La dottoressa Bergman mi ha insegnato a distinguere le persone gentili. Il tono di voce, i contenuti delle frasi, la posizione delle sopracciglia e molti altri segni non-verbali periferici». «E sei anche in grado di stabilire se qualcuno mente?» L’androide sorrise appena. «Dipende. Ma ho alcune delle funzioni di un poligrafo, se è questo che intende. Se il suo battito arterioso aumentasse al di sopra di un certo valor soglia chiamerei subito un’ambulanza». Crais rise ancora. «Molto confortante». L’aveva accompagnato a zonzo per il parco, facendogli annusare gli odori delle piante e, più vicino al bordo, dei gas di scarico (li aveva trovati interessanti, non particolarmente sgradevoli). Aveva preso un gelato al chiosco e gli aveva permesso di assaggiarlo. D’altronde di sicuro non era antigenico. HM-link7 aveva una sorta di laboratorio chimico nello stomaco, che analizzava i gusti per lui. Più tardi si sarebbe disfatto di tutto. Avevano passeggiato nel piccolo parco giochi aziendale, con i figli dei dipendenti che si rincorrevano sui pontili di plastica e scivolavano giù dagli scivoli. Haim era rimasto molto colpito dall’agilità dei bambini, e anche dall’apparente casualità con cui si spostavano. Trovava, inoltre, affascinante il concetto di “crescita”. Lui che era “venuto al mondo” già intero e funzionante, non riusciva a immedesimarsi in alcun modo. Dopo più di due ore di passeggiata l’aveva riaccompagnato all’interno. Aveva parlato con il suo staff, registrato alcune impressioni sul portatile, poi l’aveva portato a casa sua. Gli aveva fornito tutti i numeri identificativi utili per accedere alla sezione super-protetta che ospitava l’appartamento. L’attico in cui viveva era un luogo piuttosto sobrio, per quanto di una sobrietà lussuosa. Il pavimento era di parquet, coperto da preziosi tappeti orientali, la mobilia moderna, quasi tutta di alluminio anodizzato, il divano di morbida pelle naturale, pareti e pareti coperte da funzionali librerie di alluminio, dal design sottile ed elegante. La verità era che niente di quel che c’era nell’enorme appartamento era stato scelto da lei, a parte, ovviamente, i computer in rete del laboratorio privato, le apparecchiature tecniche e tutto quello che le serviva per lavorare. Crais, da sola, si considerava praticamente priva di buon gusto. Anche se vestiva abiti di marca le mancava l’estro per abbinarli in modo originale. Ne risultava che era sempre vestita in modo alquanto insignificante, con jeans, maglioncini neri o grigi, camicie di colori sobri, scarpe comode e nessun gioiello. Ovviamente Vanity Fair non gliel’aveva perdonato. Haim si aggirò per l’appartamento silenzioso come un ladro. Era incredibile come quei centodieci chili di leghe metalliche e plastiche (oltre che a una modesta quantità di materia biologica nel suo cervello) potessero muoversi in perfetto silenzio e con grande eleganza. Sfiorò la superficie impolverata del suo grande tavolo di vetro del salotto e si sedette con grande cautela sul divano. Le disse che quella casa gli piaceva molto, specialmente la stanza da bagno. «La stanza da bagno?» chiese Crais, incuriosita. «Sì. Mi piacciono i suoi flaconi di shampoo e doccia schiuma, e tutte quelle altre cose profumate». Crais non riuscì a evitare di sorridere. Mi sa che hanno costruito il primo androide gay, rifletté, tra sé e sé. «Se vuoi puoi usarli tutti» gli disse. Haim sembrò stupito e contento insieme. «Davvero? Ma a me non serve fare la doccia. Cioè, finché non mi impolvero». Crais sorrise ancora. «Mi sembra che oggi pomeriggio tu ti sia un po’ impolverato, in effetti. Vieni, ti consiglio di iniziare con questo: shampoo alla mela verde. Poi un po’ di bagnoschiuma al sandalo. Il balsamo alla frutta, la maschera al coriandolo…» «Questa è una crema per il corpo al ginseng…» fece Haim, dubbioso, annusando il tubetto aperto. «M-mh. Fornisce vigore. O così dicono. Senti, stai solo attento a sciacquarti bene, okay?» Haim annuì con enfasi. Crais gli lasciò alcuni asciugamani, un phon e gli diede altre istruzioni. Sapeva che non si sarebbe danneggiato. Il suo senso di autodifesa era molto più forte di quello di qualsiasi robot comune. L’avevano giudicato indispensabile, visto che la sua realizzazione era costata più dell’acquisto di un’isola tropicale. L’unico problema era che avrebbe potuto distruggerle il bagno per sbaglio. Sperava proprio di no. Andò a sedersi sul divano con una rivista di robotica in mano e cercò di rilassarsi. Le sue giornate erano sempre molto impegnative. Si svegliava presto, passava molte ore nel suo laboratorio, si muoveva troppo poco e mangiava anche troppo poco. Era piuttosto stressata, come attestavano le condizioni disastrose dei suoi cervicali. Dopo circa un’ora iniziò a preoccuparsi. Si avvicinò furtivamente alla porta del bagno e ascoltò. Non si sentiva niente. Si schiarì la gola. «Haim?» «Sì?» «Cosa stai combinando?» Silenzio. «Sto finendo di asciugare». Crais sbatté lentamente le palpebre. «Asciugare che cosa?» «La vasca…» sembrava un po’ incerto. «Ah» fece lei, sempre più perplessa. «Senti, ti dispiacerebbe molto se entrassi?» Silenzio. «No, si figuri» dopo un po’. Crais, piuttosto titubante, entrò. Si aspettava come minimo un enorme lago per terra, invece era tutto perfettamente in ordine. Haim se ne stava tranquillamente in piedi, con un asciugamano avvolto attorno al corpo, un altro asciugamano in testa, tutto profumato, e con una spugnetta in mano. «La vasca» spiegò, indicando. «È bagnata. La stavo asciugando». Il sorriso di Crais si allargò. «Oh, Haim… non ce n’è bisogno. Si asciugherà da sola». «Ma il calcare…» «Non ti preoccupare del calcare. Ci penserò il robot che fa le pulizie». «Oh» fece lui, un po’ deluso, appoggiando la spugnetta. «Hai un buonissimo odore». «Grazie». «Adesso asciugati i capelli, okay?» «Okay». Detto questo Crais lo lasciò di nuovo solo. Tornò a sedersi sul divano, ancora sorridente: la vasca era bagnata… Santi Numi… Riprese la rivista e tornò a leggere le specifiche tecniche del nuovo modello della Marshal Robotics. Non sembrava niente di eccezionale. I suoi RB14 erano sempre migliori. Dopo un’altra decina di minuti sentì un gemito provenire dal bagno. Si alzò un po’ allarmata, chiedendosi che cosa potesse essere successo. Non aveva fatto nemmeno due passi che un Haim con espressione infelice le andò incontro. Aveva ancora l’asciugamano attorno al corpo, ma i suoi capelli erano asciutti e tutti dritti in testa. «Non riesco a farli tornare come prima…» disse, sconsolato, indicandosi la testa. Crais rise, ma l’androide sembrava davvero angosciato. «È terribile. Chissà che cosa dirà il dottor Wai. Ho rovinato i suoi capelli…» Crais continuò a ridere, mentre lui la fissava sempre più confuso. Alla fine gli batté una mano sulla schiena. «Non preoccuparti, Haim. Non è niente di irreparabile. Vieni con me, te li aggiusto io». «Sono così spiacente… con tutti i suoi impegni io le faccio perdere tempo… non so come sia successo, davvero…» «Shh. Non è successo niente. E poi tu sei i miei impegni». Tornarono in bagno e Crais staccò il telefono della doccia dal muro. «Ecco chinati un pochino, devo ribagnarti i capelli». Haim, con espressione addoloratissima, si chinò di circa trenta gradi (posizione impossibile da tenere per più di cinque secondi per qualsiasi essere umano) e rimase fermo, con gli occhi chiusi. Crais gli sciacquò i capelli, lo avvolse di nuovo in un asciugamano, gli strofinò un po’ la testa e poi disse: «Adesso siediti qua». Haim, sempre piuttosto abbattuto, si sedette sul bordo della vasca come gli era stato detto. A quel punto Crais, con pettine e phon, si diede all’asciugatura. Infilare le mani tra i capelli di quell’essere incredibile dava una sensazione meravigliosa. Erano morbidi, serici, folti, magnifici. Erano innestati sullo scalpo in modo perfetto… e ora profumavano anche di mela. Rimetterli in piega fu piuttosto facile anche per una non-professionista come lei. Tendevano a tornarci da soli. «Ecco fatto» disse alla fine. «Guardati nello specchio». Haim si alzò lentamente e si guardò con una certa apprensione. Sgranò gli occhi. «Ma è fantastico! Lei è stata bravissima, dottoressa!» Crais strizzò gli occhi per non ridere. Gay, gay, gay… Gli diede un paio di pacche sulla schiena. «Non ci pensare Haim. È stato davvero divertente. Ora mi faccio mandare dei vestiti puliti dal laboratorio, così puoi tornare ad essere presentabile». «Oh, grazie. È molto gentile». «Prego» rispose lei, sempre ridacchiando. Poi andò a fare quel che aveva detto.
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