4.
L’aria era fredda, all’esterno. L’escursione termica era una delle cose più difficili a cui abituarsi, a Habra. Il top di Tony era senza maniche e lei si strinse le braccia attorno al corpo per non disperdere il calore.
«In realtà non ho scoperto n-niente di s-speciale. N-nessuno pensa che P-Perez sia stato u-ucciso» spiegò, i denti che cozzavano gli uni contro gli altri indipendentemente dalla sua volontà. Avrebbe preferito che non lo facessero. Erano poche centinaia di metri, dal bar agli alloggi. Se fosse stata da sola li avrebbe fatti di corsa. Così, invece, sembrava un invito a essere riscaldata e la cosa più antipatica era che Reich probabilmente non l’avrebbe colto.
«Sono sicuri che si sia ammazzato, mh? Come se fosse normale. Come se fosse inevitabile che un ragazzo gay di non ancora vent’anni venga tormentato finché non si toglie la vita».
«G-già. È q-quello che pensano. N-non potremmo a-accelerare un po’, s-signore?».
Lui le lassò un braccio sopra alle spalle.
«Non sono così pavido, Darren. E Reno Wyte? È davvero stupido come un sasso o c’è sotto qualcosa?».
«È davvero stupido come un sasso» confermò lei.
Il corpo di Reich era caldo, contro il suo fianco, e il suo braccio sopra alle spalle era molto gradevole. La punta delle dita le sfiorava involontariamente la pelle nuda delle spalle, trasmettendole una sorta di brivido.
«Stia attenta. Il novanta percento di quelli come lui sono innocui, a conti fatti, ma c’è sempre l’altro dieci percento».
«Quindi ha deciso che il paternalismo è okay, stasera?».
Lui non rispose. Tony si voltò a guardarlo e vide che era pensieroso.
«Va tutto bene, signore? Non ha risposto».
«Mh? Sì, tutto bene. Ci stavo pensando. Al paternalismo e... ad altre cose. Non lo faccia».
«Che cosa?».
«Flirtare. Aveva freddo, questo è tutto. Non flirti con me, per favore».
Di primo acchito le sue parole bruciarono. Avrebbe voluto rispondergli seccata che nessuno stava flirtando e di non darsi troppe arie. Ma la verità era che aveva flirtato, senza neppure rendersene conto e che lui era stato chiaro e diretto, e non aveva alcuna intenzione di offenderla.
«No, signore. Ha ragione» mormorò, quindi.
Ora era piuttosto imbarazzante. Essere lì, sotto il suo braccio, con i capezzoli duri e la consapevolezza che non era solo per il freddo. E una seconda consapevolezza: a lui non interessava. Non era attratto da lei e non la desiderava.
Anche se Tony non ne era del tutto sicura.
La mano di Reich le penzolava dalle spalle, ora, e la punta delle sue dita le sfiorava la sommità di un seno. Casualmente. Certo, lui non se ne accorgeva neppure.
Tony si concentrò sul suo braccio. La leggera tensione dei muscoli. No, Reich stava piegando leggermente più del dovuto il gomito apposta perché le sue dita sfiorassero casualmente il seno di lei.
Rise.
«Che bugiardo».
Si voltò verso di lui e lo baciò sulle labbra.
Lo prese alla sprovvista. Le sue labbra si dischiusero e Reich ricambiò il bacio. La strinse più forte contro di sé.
Tony si voltò, lo spinse contro il muro come poco prima Wyte aveva spinto lei. Reich le strinse la vita con le mani. Continuavano a baciarsi. Le sue labbra la cercavano. La sua lingua guizzava attorno a quella di lei.
Le abbassò il top, scoprendole i seni, per poi coprirli con le mani, palparli, soppesarli, massaggiarli.
Tony si appoggiò al suo corpo, Reich ansimò.
Gli accarezzò le spalle e i fianchi. Lo toccò sul pacco. Come con Wyte, esattamente come con Wyte, ma non aveva nessuna intenzione di strizzargli i testicoli. Invece sentì il suo uccello. Pronto. Grande. Duro.
Senza dire una parola, scivolò ai suoi piedi e gli slacciò la patta dei jeans. I sassolini del ghiaino le si piantavano nelle ginocchia e nel punto in cui si trovavano quello che stavano facendo era... in piena vista. Certo, era notte e in giro non c’era nessuno, ma erano allo scoperto.
Glielo tirò fuori. Lo desiderava fino al dolore. Quel pezzo di carne lì, non solo perché era di Reich. Reich le piaceva, ma in quel momento non aveva davvero importanza. Aveva voglia di lui dalla vita in giù, non dalla vita in su. Aveva voglia di farlo godere una volta e poi di risvegliarlo piano-piano una seconda. Aveva voglia di prenderlo dappertutto.
Glielo strinse con le labbra. Era grosso e caldo nonostante il gelo della notte. Sapeva di sapone e di uccello e lei aveva voglia di strofinarselo in faccia. Un istante dopo lo fece. Era tanto tempo. Era troppo tempo.
Lui le fece scorrere le dita tra i corti capelli scuri, le allargò dolcemente le labbra e glielo mise in bocca. Tony succhiò. Leccò. Lo riempì di saliva e continuò a ciucciarglielo mentre lui si masturbava.
Nessuno dei due disse niente. Reich ansimava e gemeva sottovoce, Tony emetteva un vago mugolio dal naso. Aveva le tette gonfie per l’eccitazione, i capezzoli duri come rocce, la fica sempre più bagnata.
Reich grugnì. Iniziò a venirle in bocca, accelerando mentre concludeva.
Un istante più tardi il suo sperma le schizzò sul palato. Era denso, fin troppo saporito. Reich gemeva e gemeva, liberandosi tra le sue labbra.
Quando il suo orgasmo finì per un attimo lui restò fermo, il cazzo ancora nella sua bocca, sempre più morbido, il torace che si alzava e abbassava.
Tony gli leccò dolcemente via ogni goccia di sperma.
«Dio...» ansimò Reich.
Se lo rimise dentro. Si riabbottonò.
Aveva ancora il respiro troppo veloce ed era sudato. La aiutò a rialzarsi.
Le accarezzò la faccia con mani sudate, pesanti.
«Darren, mi dispiace» disse.
Lei sorrise. «Hai diritto a una rivincita».
Reich scosse la testa.
«No. Scusa... non avrei dovuto. Non è... non è stato professionale, non volevo. Per favore...» Sospirò di nuovo. «Mi dispiace» ripeté. «Tengo sempre separato il lavoro dal resto. Scusa. Non... non voglio continuare, agente Darren. So che è antipatico. So che... forse è persino offensivo, ma la prego di perdonarmi. Non posso».
E Tony lo vide come in un sogno: voltarsi e andarsene a passo veloce.
«Che cazzo di problema hai?» borbottò.
Si rimise le tette dentro al top e si disse che era una stupida.
+++
La sola idea di tornare al suo dormitorio e mettersi a letto come niente fosse le dava il voltastomaco. Era arrabbiata con Reich. Che razza di modo di comportarsi era quello? Le veniva in bocca e poi se la filava. Che cafone. Che bastardo.
Anche se in realtà era stata lei a incollarlo al muro e poi a saltargli addosso. E lui sembrava consapevole che andarsene dopo essersi lasciato fare un pompino fosse antipatico, aveva chiesto scusa.
L’arrabbiatura scemò lievemente, soppiantata da un imbarazzo sempre più profondo. Come cavolo si era comportata lei? Era vero che Reich le stava sfiorando un capezzolo (forse), ma era altrettanto vero che le aveva appena esplicitamente chiesto di non flirtare.
Mentre pensava tutto questo, Tony tornava verso il bar a passo veloce. Non voleva mettersi a letto, non più. Voleva bere e fare qualcosa di stupido, in modo da anestetizzare la vergogna.
Quando entrò vide che l’amico di Reich, Vince, era ancora seduto al bancone.
Nessuno saprebbe resistere, pensò.
Era perfetto. Era anche una stronzata epica, ma era per fare una stronzata epica che Tony era tornata al bar, in ogni caso.
Si sedette accanto a lui.
«Be’, sei tornata?».
Tony sorrise. «Sul serio ero venuta a lavorare. E sul serio dovevo fare rapporto a Reich. Ora però ho staccato».
«Mi ero offerto di pagarti un drink» disse lui, lanciandole un’occhiata sorniona.
«Già. Chissà se è un’offerta ancora valida».
+++
Tony tornò al suo dormitorio a notte fonda. Era ancora piuttosto alticcia e indossava un largo maglione da uomo sopra ai vestiti.
Amy accese la piccola luce di cortesia e le lanciò un’occhiata.
«Oh, wow» disse, sottovoce.
Tony si lasciò cadere sulla brandina.
«Ho fatto una cavolata» borbottò. Si passò una mano sulla faccia. «Dio, scusa... sono stata anche merdosa con te. Non volevo. Cioè, non so che cosa stavo pensando...»
Amy saltò su.
«Quel maglione? Non è di chi penso io, vero?».
Tony emise una risata amara. «Decisamente no. È di un maggiore dei marine da cui, ehm, mi sono fatta sbattere per la delusione, diciamo».
Amy si tranquillizzò all’istante.
«Ci hai provato?».
«Peggio. Dio, è stato imbarazzante...»
«Oh, posso capirti. Io ci ho provato nel modo più imbarazzante del mondo. L’ho baciato. E lui si è... abbassato».
«Eh?».
«Mi ha scansata. Mi ha driblata. Come si dice. Si è abbassato, così il mio bacio non è andato a segno. Poi si è messo a ridere e ha detto qualcosa come: “Suvvia, LeRoy”. Avrei voluto morire. La cosa positiva è che dopo ha continuato come nulla fosse successo».
«Nulla?».
«Già. Quindi rasserenati. Domani non sarà imbarazzante. Sarà come al solito».
Tony sospirò. «Cristo».
Anche se in fondo... Reich il suo bacio non l’aveva schivato, vero? Quindi forse, tutto considerato, qualcosa di imbarazzante poteva pure esserci.
+++
Per prima cosa Reich rilesse il documento che aveva scritto Diaz. Non c’erano evidenti lapsus, quindi forse era riuscito a correggerli da solo. O forse aveva finalmente interrotto il suo periodo di astinenza.
«Come dicevamo ieri, è improbabile che sia stato Cahill a uccidere Perez. È un comportamento troppo grave persino per un pallone gonfiato come lui. Penso che le cose possano essere andate in due modi. Potrebbe essere un episodio di nonnismo finito male. Un commilitone di Perez decide di spaventarlo, minacciarlo o chissà cosa, ma la situazione gli sfugge di mano e Perez muore. Cerca di sganciarlo mentre si dibatte prendendolo per le gambe... per questo non ci sono segni sulle pareti del cubicolo».
L’espressione ammirata di Amy era quasi imbarazzante, ma per una volta Tony si sentiva più imbarazzata di lei. Imbarazzata e anche un po’ incazzata per non aver ricevuto mezzo cenno da parte di Reich.
«La seconda ipotesi è che sia un omicidio premeditato. In questo caso la prima cosa da fare è capire con chi avesse una relazione Perez e partire di lì».
Ci furono vari cenni d’assenso, ma Amy alzò una mano.
«Parli pure, agente LeRoy».
«Potrebbe anche essere un’asfissia autoerotica finita male. Cioè, non “auto”, magari. Ha capito».
Diaz ridacchiò, Reich sembrò confuso. Si grattò la nuca.
«Oddio... sembra un po’ scomodo» borbottò.
«Potrebbe essere stato Perez a buttare la cintura oltre quel tubo. A soffocarsi apposta, mentre qualcuno... come dire, in piedi davanti a lui... gli praticava una fellatio».
Alla parola “fellatio” Tony si sentì morire. Probabilmente diventò rossa, ma nessuno sembrò farci caso.
Reich quasi si strozzò. Diede un colpo di tosse e abbassò lo sguardo sulle sue carte.
«Be’, è possibile, anche se non mi sembra così probabile. Anche in quel caso è possibile che il partner abbia cercato di sollevarlo prendendolo per le gambe. Suppongo che la scientifica ci aiuterà, in questo. Se hanno trovato della saliva o degli altri indicatori che non fosse da solo. Sarebbe un ulteriore motivo per capire con chi avesse una relazione».
«Mi scusi» intervenne Tony. Era riuscita a superare l’imbarazzo. «L’ha già detto più volte: capire con chi avesse una relazione. Come fa a essere sicuro che ne avesse una?».
Reich le restituì uno sguardo tranquillo.
«Tutti ne hanno una, Darren. Con qualcuno presente o assente, consenziente o indifferente, vivo o morto».
Le sue ultime parole avevano avuto un accento particolare, come se la sua voce avesse fatto fatica ad articolarle, ma subito dopo dalla placida superficie che offriva al mondo scomparve qualsiasi perturbazione.
«Magari la relazione di Perez è nelle Svetlands. In questo caso è improbabile che abbia qualcosa a che vedere con la sua morte, almeno in modo diretto. Ma potrebbe essere qua. Potrebbe essere venuta con lui in Harbat, o averlo preceduto. Perché un ragazzo... uhm... morbido, come Perez si sarebbe arruolato? Perché venire in un posto come questo?».
Tony annuì, un po’ turbata.
«Calogero, ha scoperto qualcosa?».
Lui scosse la testa. «Mi dispiace, signore. Era qua da troppo poco».
Reich sospirò.
«Lo scopriremo in un altro modo».
+++
Tony non conosceva ancora bene le procedure, ma aveva delle idee. Le aveva sempre avute, cosa che ai suoi vecchi superiori non piaceva un granché. Le rimproveravano di avere troppa iniziativa personale.
E per quanto riguardava la sua precedente posizione in fanteria avevano perfettamente ragione. Ora che era nella polizia militare, però...
«Amy? Scusa, mi potresti aiutare con una ricerca?».
Dopo la riunione mattutina Amy era sembrata ansiosa di dedicarsi ai suoi compiti, ma Tony non sapeva a chi altro chiedere.
Tentò di convincerla con un sorriso grato. «Per favore?».
Amy sbuffò e si sedette accanto a lei.
«Va bene, però sbrighiamoci».
«Grazie. In realtà basta che mi spieghi come usare questo programma. Noi abbiamo l’accesso alle informazioni sensibili sul personale, giusto? Sui fascicoli?».
«Con delle limitazioni dovute alla privacy» spiegò lei.
«Cioè?».
«Non possiamo fare ricerche per nome, a meno di non avere il nullaosta dei superiori. Ma possiamo fare delle ricerche a partire da uno o più parametri, fino ad ottenere uno o più numeri di matricola. A quel punto chiedere l’autorizzazione è più semplice».
Tony voltò verso di lei lo schermo del suo computer, che mostrava già l’interfaccia del programma sull’anagrafica.
«Capito. Come faccio ad avere tutte le matricole dei soldati presenti nella base nati a Clogen?».
Amy le rivolse uno sguardo ammirato.
«La cittadina di Perez?».
Lei si strinse nelle spalle. «Se dobbiamo cercare una relazione...»
«Pensi che sia questo il problema? Che la sua donna è morta? L’ha detto in un tono, no? Voglio dire...»
Anche Tony aveva percepito qualcosa nelle parole del loro capo, e anche lei aveva pensato a qualcosa del genere. Ma la verità era che non aveva abbastanza dati per fare ipotesi.
«Non lo so. Concentriamoci su Perez, per il momento» replicò.
Perché se anche Reich aveva perso qualcuno... non era una cosa di cui parlava, e non parlarne era una sua scelta. Una scelta che Tony avrebbe cercato di rispettare, invece di fregarsene come la sera prima.
Amy sembrò un po’ delusa. Poi le tornò in mente che aveva qualcosa da fare.
Le spiegò in fretta come usare il programma e la lasciò da sola in ufficio.
+++
Reich stava pranzando da solo quando fu raggiunto da Vince Dewitt e da George Carroll. Di solito a mezzogiorno si accontentava di un tramezzino, ma quel giorno la temperatura rovente dell’Harbat era calata di qualche grado e lui aveva scoperto di avere una fame da leoni.
«Ecco lì il tuo benefattore» esordì Carroll, posando il suo vassoio sul tavolo.
Reich aveva sperato di usare il pranzo per riflettere un po’ sul caso, ma era chiaro che non era possibile. Il suo vecchio reparto era una famiglia che non ti lasciava andare facilmente. Né Reich lo avrebbe voluto, in fondo.
«Benefattore?» chiese, quindi, con espressione bonaria.
Dewitt scivolò a sedere davanti a lui.
«Hiram, vecchio mio... non puoi sapere...»
Caroll ridacchiò.
«Ma che cosa?» fece Reich. «Che cosa avrei fatto?».
«Ma come, ti sei fatto mandare dalla madrepatria quella cosina bellissima di nome Tony».
Reich sbatté le palpebre un paio di volte.
«Antonia Darren?».
«Eh» confermò Dewitt. «Lo so che tu te ne accorgi a stento, ma è materiale di primissima scelta».
Lui si passò una mano sulla faccia. «Non me ne accorgo a stento. Ma sono il suo superiore».
«Sì, sì. Sappiamo tutti che è per via dei gradi» lo prese in giro Carroll. Ma non in modo cattivo, bensì come avrebbe potuto farlo un amico.
«È passato un sacco di tempo. Non ci penso più. Ma ho anche una specie di etica professionale, sì, mi dispiace se la cosa vi turba così tanto».
«A me non frega niente, in realtà. Finché la applichi solo a te stesso, puoi fare quello che vuoi. Io non la applico e la piccola Tony mi ha fatto passare una nottata molto, molto interessante».
Carroll rise di nuovo.
«È completamente entusiasta».
Reich guardò dall’uno all’altro.
«Non voglio saperne niente» provò a dire, già sapendo di non avere speranza.
Quindi dopo... l’episodio, Darren era tornata al bar o comunque aveva incrociato di nuovo Vince da qualche parte e...
«Ha un culo, Hiram. Un culo...»
«No, scusa, racconta dall’inizio».
«Veramente io preferirei non saperlo» provò di nuovo a difendersi Reich.
Ma quei due sembravano irrefrenabili.
«Dunque... sarebbe quando è tornata al bar. Mi ha chiesto se era ancora valida l’offerta di un drink e ho capito che ne cercava. Abbiamo bevuto un po’, ci siamo raccontati cose... ma comunque che ci stava era chiaro, quindi siamo usciti. L’ho baciata e ho iniziato a toccarla. Si è lasciata toccare. Ora – lo spiego per George – ha due tettine piccole... sode, tonde, morbide... le ho messo le mani dappertutto, sotto il top, pure dentro le mutande. Lì fuori dal bar... insomma, le dico: senti, andiamo nella mia stanza».
Reich prese il vassoio e fece per alzarsi.
«E no, dai» lo trattenne George. «Ora viene il bello».
«Per prima cosa mi ha fatto una pompa. Una gran pompa, con quelle labbra che sembrano fatte apposta. Vedevo il mio cazzo entrarle in bocca e lei, con un’espressione vogliosa... ci manca poco che vengo, così decido di sdraiarla. È una che non fa storie, è fantastico. Si è lasciata spogliare tutta, leccare... ha un corpo... wow. Un bel corpo. Gambe lunghe, gran bel culo, piccolo, polposo... e la figa. Una fighetta stretta, piccolina, tutta rapata. Ci vedi entrare il tuo cazzo e pensi che si spacchi in due. Invece no. Lo prende tutto. Gode forte. Le piace farsi guardare».
«Cristo, ci lavoro insieme» protestò debolmente Reich.
In realtà stava male. Stava sempre peggio e non sapeva nemmeno perché. Sentire Vince parlare di Darren come parlava regolarmente di ogni sua conquista quella volta lo nauseava.
«Insomma, le vengo sulle tette facendo finta di non sapere dove finire. Oddio, magari l’ha anche capito che volevo sborrarle addosso, ma per lei era okay. Ho pensato: ora mi riposo un attimo e le faccio anche il culo».
Reich si alzò.
«Il finale me lo racconti un altro giorno» disse, in tono irritato.
Vince ridacchiò. «Dai, non prendertela. Sei tu che non vuoi inzuppare. Guarda che Tony te la dà di sicuro. Le piace il cazzo, capito? È una delle quattro donne soldato a cui non piace leccare passere e basta. Le piace prenderlo dappertutto e quando hai finito ti ringrazia anche».
Reich li mollò lì.
Si chiese se Darren lo sapesse. Se sapesse di essere andata a letto con un simile zoticone, che avrebbe raccontato ogni minuzia della loro nottata in giro, probabilmente inventandosi anche qualche dettaglio.
E Reich gli voleva bene – in realtà una volta gli aveva salvato la buccia – ma quando faceva così non lo sopportava. Sporcava tutto. Rendeva tutto una sequenza di mani, di bocche, di organi sessuali, di penetrazioni e orgasmi. Reich non era un romantico; a volte il sesso era proprio così. Ma anche in quei casi c’era qualcosa di privato che passava tra due persone, qualcosa che meritava un minimo di rispetto.
Inoltre, ora, le parole di Vince erano riuscite a rendere ancora peggiore il ricordo che aveva della sera prima. Gli avevano fatto venire il sospetto che Darren non avesse voluto baciare lui, per qualche motivo futile o importante, ma volesse solo baciare qualcuno, farsi sbattere da qualcuno, e che lui non contava più o meno di qualsiasi altro essere umano con un uccello tra le gambe.
Si stava giusto dicendo che non aveva importanza quando arrivò al proprio ufficio.
Davanti, in posizione di riposo, c’era Darren.