Arrivati al loro Soggiorno del quinto piano, furono sollevati nel vederlo deserto. Rimasero qualche minuto abbracciati sul divano davanti al camino e poi, stanchi anche per la tensione, si diedero la buonanotte.
Dopo essersi fatto una lunga doccia, che non alleviò la sua preoccupazione, giunto alla sua camera, trovò i compagni che già sonnecchiavano. Si mise il pigiama, compiendo il rito di sempre. Quella sera, però, trattenne più a lungo le labbra sul Talismano, quasi volesse trarne energia. Lo ripose nella tasca invisibile della giacca e, aperto il suo armadio, tolse il coperchio della grande scatola nera dove conservava il suo tesoro. Si sorprese nel non sentire subito la confezione che teneva in fondo, sotto gli accessori da sera. Prese quindi l’intero contenitore e lo posò sul suo letto, cercando con maggiore cura. Nulla. Sconcertato, prese a tirar fuori tutto.
“Che c’è?” farfugliò assonnato Archie.
Ares aveva messo tutto il contenuto sul letto, svuotando completamente la scatola senza trovare la preziosa memoria. Impensierito, si passò una mano tra i capelli. “Non c’è.”
“Cosa, non c’è?” verificò l’amico che, svegliatosi, aveva sollevato il busto per guardare meglio cosa stesse facendo.
Emise un lungo sospiro. Nessuno tranne Astrea, e ovviamente Yolhair che glielo aveva consegnato, era al corrente dell’unico ritratto che possedeva dei suoi genitori e Zoran.
“Un ricordo ... Un ricordo di famiglia. È sparito.” rivelò accigliato.
“AhAhAh!” “Foxy ha colpito ancora!” “Castigare addirittura un Dapifer!” “Non lo facevo così audace.” “Già! Klepty è impagabile!” si rallegrarono tra di loro Tib&Tuc, briosi.
Quando si voltarono verso di lui, la loro ilarità si spense all’istante. Si alzarono lesti e, facendosi vicini, si rammaricano. “Scusa. Non volevamo ...” “Era ... È qualcosa di valore?”
Il dispiacere dipinto sul suo viso, rafforzò il loro rincrescimento.
“Ma ne hai altri, vero? Puoi rimpiazzarlo?” si accertò ansioso Horatio, che si era subito unito agli altri.
Lui scosse la testa, afflitto. “Era un ... oggetto unico ... insostituibile.”
Gli amici rimasero ammutoliti per qualche istante. Poi, riscuotendosi, Archie rammentò. “Spesso Pestifer cambia solo posto alle cose.” Andò spedito al suo armadio e lo aprì energico. “Che aspetto ha la cosa che ti ha sottratto?”
“È un pacchetto rettangolare, grande come un libro.”
“È un quadretto?” verificò Sean, mentre guardava nel suo cassettone.
“Una specie ... Sì.”
In silenzio, si misero a guardare dappertutto. Via via che cercavano, ansia e preoccupazione aumentavano. Per più di un’ora misero sotto sopra la loro stanza senza alcun esito. Si sedettero sui rispettivi letti, sconsolati.
Dopo un lungo silenzio, Ares si alzò e dichiarò. “Vado dalla Van Soren.”
“Sì, giusto.” concordò Archie, che subito aggiunse, notando che lui si guardava intorno. “Non ti preoccupare. Mettiamo a posto noi.”
Dopo averlo ascoltato in silenzio, sempre più corrucciata, Gertrude Van Soren si accertò. “Ti manca altro?”
Lui negò con la testa. Oltre a controllare ogni suo avere, trovandolo in perfetto ordine esattamente dove l’aveva riposto, senza farsi notare dai compagni, aveva verificato ciò che teneva in fondo a un armadio. C’era tutto. Quando Yolhair gli aveva consegnato la piccola cassettiera in noce con i Segni del Comando della sua famiglia, si era fatto spiegare da Drystan come realizzare uno scomparto occulto e, dopo aver riposto nel contenitore il ciondolo di sua madre e lo Skeptron di Zoran, lo aveva conservato lì, assieme al Domino e al Manjusha. Per maggiore sicurezza aveva reso tutto invisibile. Non appena era stato certo della definitiva scomparsa della foto di famiglia, si era duramente biasimato per non aver conservato nel nascondiglio anche quella. Non era stato perché non la ritenesse altrettanto importante. Tutt’altro. Era da quando gli era stato regalato lo smoking di Armani, che la teneva nella scatola nera che lo conteneva e non aveva mai pensato a spostarla. La realtà era che non avrebbe mai creduto possibile, che qualcuno potesse rubare nelle loro stanze. Non aveva celato gli altri suoi beni per quel timore, ma per evitare di parlarne con i suoi compagni di stanza, se li avessero per sbaglio visti. Gli era bastata l’ironica curiosità con la quale lo avevano tormentato per un pezzo Tib&Tuc, quando avevano visto il Manjusha una sera che l’aveva preso in loro presenza, per desiderare di fare a meno di un altro trattamento simile. Da allora teneva nascosto anche il suo Portasegreti.
La Sovraintendente Generale si informò asciutta. “Quando hai visto per l’ultima volta quell’oggetto?”
Lui sospirò, scrollando il capo. Era la domanda che si era subito posto. Aveva guardato il ritratto dei suoi dopo la Pausa di Primavera. Di questo era più che certo. Ma dopo? Erano già passati due mesi. Possibile che non l’avesse più fatto? Neanche al rientro da LumenFrance? E sì, che aveva riposto il Trepas fatto dalla sua bisnonna nella cassettiera dei Segni. E nemmeno dopo quello che era successo nella stanzina? Eppure, sarebbe stato logico rivolgersi a loro ... O forse no. Nonostante la sua formidabile memoria, pur sforzandosi, non riusciva a rammentare.
“Di sicuro a metà aprile, poi ... Poi, non so. Penso di averlo fatto anche in seguito, ma non saprei dire quando. Mi dispiace.”
La donna emise un rapido sospiro. Dal primo cassetto della scrivania prese un foglio, che scorse velocemente, e sospirò di nuovo più a lungo. “Quel briccone matricolato è stato segregato diverse volte, e per periodi differenti, da Earrach. Quando è libero ne combina sempre di tutti i colori e se non fosse per la grande generosità del Praesidens ... Lo interrogherò subito e poi ti farò sapere, Ares. Capisco che tu sia dispiaciuto ... molto e, con quanto è accaduto ai tuoi compagni, che tu sia anche scosso. Ora, però, è meglio che tu vada a dormire. Ne parleremo domattina, dopo colazione.”
D’accordo con lei, la ringraziò e tornò alla sua Casa. Arrivato alla sua stanza, ragguagliò i compagni che, alquanto delusi, spensero le luci dei rispettivi comodini. Si spogliò, indossò il pigiama e si mise a letto. Fece subito buio. Benché fosse convinto che avrebbe stentato ad addormentarsi, piombò in un sonno pesante privo di sogni.
Il mattino dopo, scese nel Soggiorno prestissimo, prima del solito. La gioia di Astrea nel vederlo si mutò in profondo rammarico, non appena la informò del furto che aveva subito. Premurosa e dolcissima, lei lo rincuorò, assicurandogli che il piccolo furfante avrebbe sicuramente restituito il ritratto, se glielo avesse chiesto Yolhair. Convenne che aveva ragione e, per distrarsi, accettò volentieri il suo invito di accompagnarla da Nut.
Era ancora buonora quando, mentre facevano colazione nell’Auditorium, Gertrude Van Soren li informò di recarsi dal Praesidens dopo aver terminato.
Inaspettatamente, nello studio del loro Mentore trovarono anche la loro Rector e Drystan.
“Non è stato il Ciribil a sottrarti quel ricordo.” dichiarò il Magister Magnus serio, non appena si furono accomodati.
“No?!” si sbigottirono all’unisono. “Ma se non è stato uno scherzo di Pestifer, cosa ...” “Chi può essere stato?” “E come ...” “Ma perché?” si interrogarono uno dopo l’altra, esterrefatti.
Il Sire emise un lungo respiro, domandando poi con aria grave. “Chi sapeva della sua esistenza e dove lo conservavi.”
Ares rimase un istante attonito, prima di confermare deciso. “Nessuno, tranne ...” Si fermò e, girandosi verso la sua amata, completò lentamente. “... Astrea.” Poi, fissandosi come folgorati, socchiusero la bocca. “Ma sì ... Certo!” “Deve essere stato allora che ...” “Hai ragione.” “Non ha dovuto cercare. Sapeva dov’era.”
Yolhair si schiarì la voce, attirando la loro attenzione e Ares spiegò. “Al rientro da Ysbleue ... La prima volta, il ventisette marzo, subito dopo pranzo Astrea e io siamo andati a fare una passeggiata nel Parco e ci siamo fermati al boschetto di faggi sulla riva destra del lago. Lei naturalmente sapeva già da molto tempo della foto, ma è stato allora che le ho detto dove la tenevo.”
“Perché?” chiese rapido Drystan.
“Perché era troppo grande per il Manjusha. Lo so che ...”
“Perché ti è venuta in mente?” precisò l’amico di famiglia, evitandogli di rammaricarsi per non averla conservata nel nascondiglio che gli aveva insegnato a realizzare.
Lui si sentì arrossire e, imbarazzato, chiarì. “Mentre stavo ... Ecco, li avevo visti ...”
“Visti?” si stupì la Douglass, alla quale fece eco il Praesidens. “In che senso ... visti?”
“Io ... ehm ... Ecco, stavo guardando Astrea e, a un certo punto, accanto al suo viso, ho visto loro ... i loro volti sorridenti. È durato pochi istanti e poi sono svaniti. E, allora, mi è venuto in mente che era da tempo che non guardavo il loro ritratto. E gliel’ho detto, spiegandole anche dove lo tenevo.”
Lei assentì, proseguendo il racconto al suo cenno. “Dopo qualche tempo, ho sentito un rumore strano, come di qualcuno che si allontanava in fretta tra gli alberi alle nostre spalle. Abbiamo subito controllato, ma non c’erano tracce. Così ho creduto di essermi sbagliata e poi non ci abbiamo più pensato.”
I tre adulti si guardarono in faccia pensierosi, quindi Yolhair rilevò. “La Signora Van Soren mi ha detto, che non ricordi quando l’hai visto per l’ultima volta dopo metà aprile.”
“Sì, è vero. È da ieri sera che mi scervello. Non escludo di averlo preso anche in seguito. Mi sembra strano non averlo fatto, ma non saprei con esattezza ... Dopo quel giorno al boschetto, l’ho subito preso. Avevo ancora così vivida la loro ... visione, che volevo rivederli. Mi ero ripromesso di guardali regolarmente, ma poi ... Non che non ci abbia più pensato, né che li avessi dimenticati, questo no, mai. Ma ...”
“Sì. Capisco. È una di quelle cose che, benché ci diano gioia, ci procurano anche un sottile dispiacere. Inoltre, è normale non memorizzare con precisione i gesti che ci risultano naturali.” osservò l’anziano docente. “Non ti dare pensiero, comunque. Non ha grande importanza stabilire con esattezza il lasso temporale in cui può essere stato sottratto.”
Gli parve che la sua espressione si fosse rabbuiata. Anche quelle di Brune e della Douglass sembravano più preoccupate. Chi poteva essere stato ad aver ascoltato lui e Astrea tra i faggi? E perché si era dileguato? Come aveva fatto a entrare nella sua Casa? Addirittura nella sua stanza? E perché rubargli proprio quell’unico oggetto che aveva valore solo per lui? Perché quel furto? Chi poteva esserne il responsabile? Chi era quel ladro che osava ... Umbra. Quel pensiero folgorante gli tolse il respiro. Si voltò verso Astrea, che gli sorrise fiduciosa. Certo che lei avesse intuito il suo proposito, le strinse la mano. Lei ricambiò la stretta, posando poi l’altra sopra la sua e incoraggiandolo con un altro sorriso.
“Comprendi da solo la gravità di questo fatto, vero?” si accertò Drystan, prima che potesse aprire bocca. Preso in contropiede, lui lo guardò smarrito e l’uomo rammentò a mezza voce, scuro in volto. “La tua identità ... La tua vera identità.”
Si passò una mano tra i capelli. Sì, gli era venuto in mente che il possesso di quella foto lo collegava a chi aveva decretato la fine del Dominio. “Ma perché? È davvero così importante conoscere il mio nome? Per chi, poi?” esternò senza riflettere. Era stanco di quella precauzione, di doversi nascondere come se fosse lui il criminale. Dopo un lungo sospiro, annuì rassegnato.
“Scherzi?” si stupì perplesso Brune in contemporanea, affrettandosi a dettagliare. “Fin dal vostro primo incontro, Halyster ha voluto la tua fine. E per motivi di crescente importanza. Ti sei rifiutato di allearti a lui. Hai distrutto la reliquia che gli avrebbe aperto le porte del Dominio Supremo. Gli sei sfuggito per ben due volte. Eri, e sei, in possesso non solo di uno Skeptron – il che è già un aspetto di grande rilievo, dato che un Segno del Comando così potente e versatile, rispetto a quelli convenzionali, è solitamente di proprietà di Lumen con poteri superlativi – ma, addirittura, di Solaris: l’invincibile spada di quarzo appartenente al Bellator Ensis Fulgens, che ha sconfitto numerose volte Jene e Satelliti e del quale, siamo persuasi, il Despota ignori tuttora vero volto e identità.”