Lei sorrise, accarezzandogli rasserenata una guancia, e propose. “Facciamo due passi? Ieri ho intravvisto molte zone fiorite.”
“Vieni, ti mostro le più belle.” Le cinse la vita sottile col braccio e si incamminarono.
Per primi, le fece vedere gli arbusti che costeggiavano la grande costruzione in stile elisabettiano, dalla tipica pianta a ‘E’, dell’Istituto e quindi le aree adiacenti, ricche di cespugli fioriti e aiuole variopinte. Le riferì puntualmente ciò che aveva appreso da Byron, riscuotendo compiaciuti sorrisi di ammirazione.
Lasciò volutamente per ultimo il giardino delle rose antiche.
“In questa aiuola, ci sono degli esemplari di Bourbon – anche la Souvenir de la Malmaison, la rosa cara all’Imperatrice Giuseppina – e di Portland, come la Jacques Cartier del 1868. In questa, invece …”
Passando in rassegna le numerose varietà, giunsero alla pergola di roselline dalle delicate sfumature rosa e giallo, dove sostarono per una pausa e per dissetarsi, approfittando delle bevande fresche che Ares aveva chiesto alla signora Pearl di far portare a metà pomeriggio.
“Sono tutte bellissime. Queste, poi, hanno un colore così insolito.” osservò Astrea, riferendosi a un cespuglio nell’aiuola dedicata alle rose rare, che si trovava di fianco al berceau.
“È la Blue Moon, un ibrido di Tea. È considerata la rosa più blu esistente, anche se è in realtà di una sfumatura lilla malva.”
“A essere sincera, preferisco le rose di colore deciso. Sarò banale, ma per me il rosso è il vero colore della rosa. Mi piacciono soprattutto le tonalità scure. E adoro le rose più fragranti. A mio avviso, una rosa senza profumo, non è una rosa. Certo, però, che sarebbe bello se esistesse una rosa blu vero. Me la immagino di un bel blu zaffiro, come la pietra del mio Segno, e vellutata. Secondo te, riusciranno mai a crearla?”
“Non saprei. La rosa azzurra, dopo tutto, simboleggia l’impossibile. Comunque, sono d’accordo con te su tutto: profumo e colore. E, a proposito, vieni a vedere da vicino questa cultivar cremisi-porpora.” Conducendola, le riferì. “Sai? Secondo alcuni, il nome rosa deriverebbe dalla parola celtica rhood o rhuud, che significa per l’appunto rosso.”
“Che meraviglia! Non ho mai viste rose maculate!” si stupì Astrea, non appena le mostrò il ricco cespuglio. “Non pensavo esistessero. E che nome splendido! Song of the Stars.” esclamò affascinata e, chinatasi a odorarla, aggiunse. “E che profumo … particolare … Sa di spezie e di … di … uhm non saprei come definirlo.”
“Affumicato.”
“Sì!” concordò entusiasta.
“È una Gallica ed è molto rara. Il Professor Byron ha ricevuto da poco questa pianta da un suo amico che l’ha creata da una Alain Blanchard, la celebre rosa creata da Vibert nel 1839: la prima ad avere una caratteristica puntinatura, ma meno marcata.”
“Sei un vero esperto!” si complimentò lei, ammirata. “Non sapevo … Te ne occupi da molto, immagino.”
“Veramente … da ieri.” ammise, quasi vergognandosi.
Astrea emise un rapido sospiro. “Non so cosa darei per avere le tue capacità d’apprendimento.”
Ares l’abbracciò, affermando con enfasi. “Ma le hai! Anzi, ne hai di più!! Sei bravissima e non solo perché hai buona memoria. Tu … Tu riesci a cogliere la sostanza delle cose in modo così … così naturale.” Terminò con un bacio, che lei ricambiò riempiendolo di gioia. Rassicurato dal suo affetto, decise di affrontare la spinosa questione che lo preoccupava.
“Penso di aver trovato la mia strada … Mi voglio occupare di fiori, anzi di rose. Voglio riuscire a creare anch’io una nuova varietà.” comunicò, simulando una disinvolta noncuranza, mentre il battito si faceva sempre più accelerato.
“Ah! Pensavo che le tue aspirazioni fossero … altre.” commentò lei, perplessa. “Be’ l’importante è che tu faccia qualcosa, che ami veramente. Farai felice la Magistra Lur.” concluse con un sorriso radioso che, invece di confortarlo, lo mise in difficoltà.
Si schiarì la voce e prese un profondo respiro, prima di dichiarare rapido. “Non sarà lei a insegnarmi.”
Astrea lo guardò sbigottita. “Non credo di aver capito.”
“Non tornerò.”
“Co-cosa?!” si sbigottì, sbarrando gli occhi e aspettando a bocca socchiusa che lui le confermasse di aver capito male.
“Non ritornerò alla Domus.” chiarì, in un tono più duro di quanto avrebbe voluto
“Va-vai … vai in un’altra scuola?” appurò lei con voce tremante. Poi deglutì e, sforzandosi di apparire contenta, verificò. “Ysbleue o la Thorskole?”
“Nessuna. Ho chiuso con Lumenalia. Puoi immaginare da te, i motivi.” precisò laconico, accigliandosi.
Astrea rimase senza fiato per lunghi istanti, ansimante. “No … Non puoi dirlo per davvero!” obiettò incredula. Al suo silenzio, incalzò sgomenta. “Non … puoi … Non pensi a tutti quelli che ti vogliono bene? Che soffriranno per la tua mancanza?”
La guardò torvo. “Non credo proprio che … Se ne faranno una ragione, comunque … presto. Molto presto. D’altronde, neanche un anno fa, non sapevano nemmeno che esistessi.”
“Ma adesso lo sanno!! Ora ti conoscono! Adesso fai parte della loro vita! Non pensi a tutti i tuoi amici? Ai compagni di squadra? A tutti quelli che contano su di te? A Celestino? A … a …” rinunciò a specificare, ribadendo invece. “Sei importante per … loro!” Ares alzò le spalle. “Non t’importa del dolore che proveranno?”
“M’importa di più di quello che risparmierò a tutti quanti!” sbottò astioso. “O ti sei dimenticata che ho sulla coscienza la morte di due innocenti?! Senza contare la catastrofe, che poteva accadere a causa mia!!”
Le voltò le spalle, per non vedere più l’espressione accorata del suo viso. Con i pugni stretti nelle tasche, la mascella pulsante, si allontanò di qualche passo, tornando al gazebo. Si fermò davanti al canapé di ferro battuto, lasciando scorrere lo sguardo sulla distesa erbosa, qua e là costellata di rigogliosi alberi ad alto fusto, che si apriva oltre la cortina di rose. Per diverso tempo, sembrò che anche la natura si fosse ammutolita.
“E quindi è così che la vedi?”
Non rispose alla sua voce scossa.
“Non torni al tuo mondo perché hai paura …”
“Non ho paura!!” la interruppe, girandosi di scatto e trovandosela di fronte. “E non è il mio mondo!” specificò a denti stretti, sentendo il dolore invadergli il petto, come se con quella affermazione, che intimamente sapeva essere falsa, stesse tradendo i suoi genitori, e anche Zoran e Herakles, e tutti coloro che si erano prodigati per lui in quegli ultimi undici mesi. Nel disperato tentativo di persuadere più sé stesso che lei, ribadì con rabbia. “È come se li avessi uccisi io! Come fai a non capirlo?! Sono morti per i miei sbagli!”
“E va bene!! Hai fatto degli errori! E chi non ne fa?! Chi pensi di essere per pretendere di essere infallibile! Ma allora, se davvero ti senti colpevole, se vuoi espiare sul serio, non è qui che devi stare. Loro non lo vorrebbero. È Lumenalia il tuo posto. Cosa ci fai qui? È così che intendi onorare la loro memoria? Tradendo tutto ciò per cui si sono battuti?! Nascondendoti?!” replicò lei con veemenza, di proposito provocatoria.
“NON MI NASCONDO AFFATTO!! Come osi darmi del vigliacco?! Proprio tu che dovresti sapere che …” Si bloccò di colpo, comprendendo il suo gioco. Fissò per lunghi istanti i suoi occhi ansiosi. Emise un rapido sbuffo e, distogliendo lo sguardo, rivelò ironico. “Bel tentativo, ma non attacca.”
Lei parve non sentire e ripeté, pacata. “Hai paura … di causare altro dolore … altri lutti.”
Lui emise un lungo sospiro d’assenso. Si lasciò cadere sul divanetto di fronte a lei e, chinandosi subito in avanti, assentì adagio, prendendosi poi la testa tra le mani.
“Ebbene, è quello che farai se non torni.”
“Cosa?!” la interrogò allibito, alzandosi bruscamente e puntandole addosso uno sguardo folgorante.
“Horus.” disse lei piano, guardandolo dolente.
Non comprendendo, si corrucciò maggiormente.
“Morirà.” gli ricordò, angustiata.
Ares sentì il dolore piombare nel suo animo, greve come la promessa che aveva fatto a Zoran in punto di morte e alla quale non aveva più pensato. Pur avendo sempre molto chiari in mente gli ultimi momenti di vita di suo zio e sebbene le sue ultime parole fossero scolpite a fuoco nella sua mente in modo indelebile, aveva completamente rimosso quella faccenda.
Le voltò le spalle, rivolgendo di nuovo gli occhi al paesaggio antistante. Respirò più lentamente che poteva per scacciare la sofferenza che si era impossessata di lui.
“Posso occuparmene anche qui.” stabilì accigliato, senza guardarla dopo un lungo silenzio. “Dopo tutto, i Volucres vivono bene anche nel Mondo Opaco.” Precisò, per convincere sé stesso.
“Ma non i Famigli.” obiettò Astrea. “Non … bene, almeno. Ma forse è solo Nostradamus a essere … esigente. Non sai come è inquieto da quando è qui.”
Ares sospirò, abbassando la testa e piegandola di lato, verso un copioso arbusto di rose carminio dal quale promanava un’intensa fragranza.
“Se pensi che questa sia la cosa migliore …”
La cosa migliore … Respirò a fondo, inalando profumo di ciliegia con una nota di limone. E se fosse stato lui ad affidare Herakles ad altri perché se ne prendessero cura? Non avrebbe sopportato neppure l’idea che potesse soffrire, o peggio … D’altra parte …
“Allora …”
Sentì la mano di lei posarsi leggera sulla sua spalla, mentre conveniva con voce emozionata. “… va bene.”
Prese un altro lungo respiro. L’aroma che gli riempì i polmoni, gli schiarì la mente.
Si voltò e gli si strinse il cuore nel vedere il suo dispiacere. Le accarezzò il viso, sorridendo prima debolmente poi in modo aperto, mentre le prendeva la mano.
“Vieni.”
Disorientata, Astrea si lasciò condurre all’odoroso rosaio bordeaux.
Istintivamente, Ares portò la destra dietro la schiena. Represse l’esclamazione di disappunto che gli era salita spontanea alle labbra e, invece, disse in tono deciso e allegro. “Aspetta qui! Faccio in un attimo” Lei, smarrita, abbozzò un assenso. “Non ti muovere! Torno subitissimo!” le gridò, girandosi mentre correva via veloce.
Come promesso, tornò pochi minuti dopo con in mano un paio di cesoie, di cui subito si servì per spiccare dal cespuglio la rosa più bella.
“È una Louis XIV.” la informò con un sorriso, porgendogliela.
Astrea ebbe una breve esitazione, prima di accettarla. Lo guardò leggermente inquieta. Letta nei suoi occhi la sperata conferma, i suoi lineamenti si distesero. Rivolse gli occhi alla rosa.
Ne accarezzò delicatamente gli spessi petali vellutati con la punta delle dita sottili, mormorando. “Lo so.”
Prima di mostrarle le rose antiche, le aveva fatto vedere la creazione di Byron, riferendole per filo e per segno quanto gli aveva detto il Direttore. Lei non solo si era trovata d’accordo, ma aveva anche avuto parole di elogio per lui, sostenendo che si era sempre assunto le sue responsabilità – fin in modo eccessivo, lo aveva benevolmente rimproverato – dicendosi poi sicura che uno coraggioso come lui non sarebbe mai stato tormentato dal rimpianto o prigioniero del rimorso. Ares le aveva espresso la sua gratitudine per il generoso e, secondo lui, immeritato giudizio in modo alquanto espansivo, che lei aveva ricambiato con prodigalità facendogli dimenticare il fardello che gravava sul suo animo.
L’inconfondibile fragranza della Louis XIV gli aveva rammentato il discorso di Byron e, soprattutto, l’opinione che Astrea aveva di lui. Le sue parole, il sentimento che gli dimostrava, la fiducia che aveva in lui erano diventate un tutt’uno con l’aroma del fiore, facendogli capire qual era la cosa giusta da fare.