“Sono molto belle queste rose rosso scuro. Mi sembra di conoscerle. Cosa sono?” chiese lui, dopo averlo imitato.
“Sono Louis XIV!” rivelò l’altro, con malcelato orgoglio.
“Ah! Ecco perché …” assentì, ricordandosi che era una varietà tra quelle che più amava per il suo profumo insolito, che sapeva di limone e ciliegia, e così potente da inebriarlo. Anche il fiore carnoso gli piaceva molto per la sua forma perfetta e, soprattutto, per i petali così consistenti e vellutati da sembrare fatti di prezioso tessuto. “Non sapevo che fossero rampicanti.”
“Infatti!” affermò Byron, gongolante.
Gli sorrise stupefatto. “Sono una sua invenzione?”
“Sì! È una mia creazione.” precisò l’uomo, ricambiando il sorriso e proponendo speranzoso. “Se ti va, ti racconto.”
“Volentieri.” acconsentì lui, sinceramente interessato.
“Ti dispiace, però, se intanto lavoro?”
“Tutt’altro. Se mi dice cosa devo fare, le do una mano.”
“Ti faccio vedere.”
Il Direttore infisse nel terreno un palo tra due supporti esistenti, collocandovi in orizzontale un bastoncino che legò saldamente, mentre spiegava. “Da molti anni volevo realizzare un climber con una purpurea antica. Ho iniziato con le galliche Tuscany Superb, Cardinal Richelieu, Ombrée Parfaite e Belle Sultane. Era soprattutto quest’ultima a interessarmi perché era la più profumata.”
“Perché proprio la rosa gallica?” s’informò lui, dandosi da fare a fissare le bacchette più basse per evitargli la fatica di chinarsi.
“Tra tutte le antiche, le ho sempre considerate le più affascinanti. Ma ci pensi, Ares? Hanno fiorito nei giardini greci e della Roma antica, nei castelli e conventi medievali, nei palazzi rinascimentali. Hanno fatto parte delle grandi collezioni dell’Ottocento. I risultati sono stati soddisfacenti, ma non ero contento.”
“Come mai? Se ben ricordo, quelle varietà sono molto belle.”
“È vero. Il punto è che il mio obiettivo era un altro.”
“La Louis XIV?” ipotizzò con facilità.
“Esatto. È una Cinese. È sempre un’antica, ma del secondo gruppo, che non è il mio prediletto.”
“Ma allora? Non capisco …”
“È una questione … personale.” ammise Byron con un’ombra di disagio. Si schiarì la voce, prima di continuare. “Ci tenevo così tanto che, temendo di non riuscire, non osavo nemmeno tentare, così … divagavo. Capisci? Il timore di fallire mi impediva di affrontare il problema, ma c’era di peggio: la paura di soffrire per la delusione, mi stava facendo perdere una grande gioia.”
“Be’ certo, vista la riuscita.” osservò Ares, ammirando da vicino un magnifico fiore che odorò a pieni polmoni.
“Ammetto che quando ho visto i primi boccioli, il mio cuore ha esultato. Non è a quella gioia che mi riferivo, però.” L’uomo lo interrogò con lo sguardo e quindi chiarì. “Ci vuole forza, spesso coraggio, per fronteggiare la realtà, lo sai, ma è solo così che si diventa grandi. È quello che vi ho sempre insegnato. E io, invece, stavo rinunciando alla preziosa opportunità di cimentarmi e superare i miei limiti, di migliorare. Mi stavo comportando da vigliacco. T’immagini? Proprio io, che non so quante volte ho esortato tutti voi – E ancora lo faccio, credimi! – che è importante, per sé stessi in primo luogo, non solo assumersi le proprie responsabilità, ma anche vivere la vita al meglio, senza angustiarsi per gli eventuali esiti negativi, e mai nel rimpianto di non averci nemmeno provato, nel rimorso di essersi arresi.”
Ares si accigliò. Byron non parve notarlo e proseguì. “È una grande soddisfazione! Certo, non posso paragonarmi ai Pernet, il cui capostipite creò gli Ibridi di Lutea, o ai Vibert, maestri delle Galliche, o a David Austin, al quale dobbiamo molte rose moderne che hanno profumo e forma delle antiche, o ai Meilland … Sai? È stata proprio la loro rosa più famosa, la Papa Meilland, a ispirarmi. È molto simile alla Louis XIV: bellissima, di una splendida sfumatura bordeaux vellutato, e ha una fragranza inconfondibile, tanto intensa che si sente da lontano. Ne hanno fatto un rampicante di un’eleganza superba! È quello che abbellisce i muri che fiancheggiano le vetrate della biblioteca.”
“La sua creazione non è da meno. Pensa di presentarla a qualche concorso?”
Il Direttore si illuminò. “Come hai fatto a indovinare? La Federazione Mondiale delle Società delle Rose sceglie la rosa più bella ogni tre anni. Sottoporrò al loro giudizio la mia Louis XIV climber per la selezione dell’anno prossimo.”
“Vincerà senz’altro!” dichiarò lui deciso.
Byron gonfiò il petto d’orgoglio.
“Ha creato anche le bianche?”
“No. È una Banksiae Alba. Ne ho valutate tante, scegliendo infine questa varietà. Era quella che faceva risaltare meglio la mia … creatura. È una rambler della famiglia Alba …”
“Rambler? Alba? Ma quanti tipi di rosa ci sono?!” si stupì.
“Un bel po’ … Le cultivar sono migliaia. Le specie principali sono almeno centocinquanta. Le antiche sono divise in due gruppi. Il primo oltre alla Gallica, contempla l’Alba, la Damascena, la Centifolia e la Muscosa, mentre il secondo, oltre alla Cinese …”
Nel tempo che occorse per sistemare il gazebo, Ares apprese i primi rudimenti delle rose antiche delle quali ammirò diversi esemplari nel breve giro botanico, proposto da Byron a fine lavoro e che lui fece con piacere. Così come fu contento di continuare a parlare dell’argomento a cena. Quel gran conversare di rose, fiori e piante ornamentali tenne lontano per tutto il tempo il pensiero che lo crucciava e che si riaffacciò prepotentemente non appena tornò ai suoi alloggi.
Sul ripiano della scrivania attendeva pazientemente, chissà da quanto tempo, un colombaccio. Non fece a tempo a chiudere la porta alle sue spalle che il pennuto gli volò incontro, girandogli poi intorno in continuazione, tubando garrulo.
“Sì, sì. Ho capito.” sospirò rassegnato, mentre andava al cucinino, sempre tallonato d’appresso dal Volucer. Prese una manciata di ciliegie che mise sul tavolo, dove subito si posò il volatile che gli porse la zampetta. Liberato dalla missiva, il colombo prese a cibarsi avidamente. Ares aspettò che finisse e quindi lo ringraziò con qualche leggera carezza sul capino.
Rigirò tra le dita per parecchio il rotolino sul quale spiccava il sigillo della Domus. Sapeva di cosa si trattava: erano i risultati degli esami. Sapeva anche quali sarebbero stati. Se li vide davanti ed ebbe una stretta al cuore. Alzò le spalle. In fondo, cosa gli importava? Dopo tutto, aveva deciso di non tornare più là. O no? Con passo deciso andò in camera, aprì il primo cassetto del comò, buttandovi dentro la missiva del Lyceum senza guardare e richiudendo di scatto.
La lunga doccia, che si fece subito dopo, non servì a lavare la sua mente dalle preoccupazioni che lo attanagliavano da quella tragica notte. Infilatosi il pigiama, si buttò sul letto con i capelli ancora bagnati, piombando in un sonno pesante.
Si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, madido di sudore e angosciato per l’incubo che si era presentato di nuovo. Impiegò diversi minuti per ricordarsi dov’era. Si alzò col fiato corto e la gola riarsa dalla sete. Prese la brocca del tè freddo dal frigorifero e se ne versò un grande bicchiere che vuotò d’un fiato, riempiendone subito un altro. Faceva caldo, anche con le finestre spalancate. Uscì sul balcone. Si appoggiò alla larga balaustra. L’aria era ferma e non si udiva alcun rumore. Si rinfrescò appoggiando la superficie gelida del bicchiere su fronte e guance, mentre lasciava distrattamente vagare lo sguardo sul panorama antistante, reso misterioso dalla luce lunare del primo quarto. Oltre la macchia di latifoglie, ai limiti dell’alto muro di cinta delle Esperidi, scorse in lontananza lunghe pennellate di luci verdi e rosse moltiplicarsi in sprazzi colorati che subito svanirono. Era in direzione nord-ovest. Forse, in uno dei paesi vicini c’era una festa e ciò che aveva visto erano i bagliori degli ultimi fuochi d’artificio. Improvvisamente, gli venne in mente Belyal, ma scacciò subito quel pensiero assurdo. Certamente il Despota era ben lontano da centri abitati e di sicuro non stava facendo niente per attirare l’attenzione. Era molto probabile, anzi, che fosse fuggito da LumenBritania, dove tutti gli davano la caccia. Pensò a Zoran e Herakles. Un’ondata di dolore lo invase. Ingollò il resto della bevanda e rientrò. Nonostante la calura, chiuse la portafinestra nella speranza di lasciare fuori il suo tormento. Si coricò. Lentamente si rese conto di non essere più preda della cupa disperazione che lo attanagliava da quella notte terribile. Era come se, nel buio più totale, fosse apparsa in lontananza una flebile luce, una tenue speranza. Nella sua testa, si era fatto strada un altro pensiero. Zoran e Herakles si allontanarono a poco a poco, come dei vecchi amici che partivano per un lungo viaggio che li portava lontano, ma che avrebbero sempre occupato un posto importante nel suo cuore. Sdraiato nel suo letto a occhi aperti, vide l’immagine di Astrea farsi sempre più nitida.
Si svegliò di buonora e di buon umore. Fece colazione nella sala grande con gli altri giovani ospiti, raggiungendo poi Perseus Byron nel giardino delle rose antiche, come concordato la cena avanti. Non si era mai occupato di floricoltura prima di allora, ma trovando l’argomento intrigante, aveva accettato volentieri la sua proposta del Direttore di fargli ancora compagnia. Trascorse quasi l’intera mattinata a conoscere diverse varietà floreali e tutte le rose del parco, ammirandone moltissimi esemplari. Ne imparò quindi le cure basilari e anche come fare una talea. Fin da quando si era alzato, era ansioso che arrivasse il pomeriggio: non vedeva l’ora di rivederla, di parlarle. Grazie ai fiori, mezzogiorno giunse prima del previsto e, dopo aver pranzato assieme a Byron con grande appetito, salì nel suo appartamentino, si lavò e preparò con cura.
Uscendo dalla stanza da letto, gettò un lungo sguardo al cassettone, indeciso sul da farsi. Alla fine, concluse che sarebbe stato inevitabile parlare degli esami e quindi prese il rotolino ricevuto la notte prima, mettendoselo velocemente in tasca.
L’auto dei Laergan apparve puntuale in fondo al lungo viale d’accesso, che Ares scrutava da un po’. Scese rapido la scalinata. Non appena la vettura si fu arrestata, aprì la portiera alla madre di Astrea, porgendole la mano con una cortesia, che lei dimostrò di apprezzare sorridendogli compiaciuta. Salutò quindi il dottor Laergan e infine Astrea con innaturale distacco, palesemente imbarazzato.
In netto contrasto col giorno precedente, i genitori di Astrea erano vestiti in modo decisamente sportivo, mentre l’amica era più elegante: un abito di cotone, dall’attillato corpetto scollato e ampia gonna a corolla, la cui fantasia fiorata dai colori pastello sembrava una stampa antica. Sulle spalle, portava un grazioso golfino traforato di lino rosa tenue lavorato ai ferri. Della medesima tonalità, erano i fiori di vetro satinato che ornavano il décolleté e che facevano capolino alle orecchie tra la spumeggiante chioma, trattenuta sulla testa da una stretta fascia, realizzata con lo stesso tessuto del vestito.
“Bene. Noi andiamo. Ci vediamo verso sera. Ti chiamiamo quando ci muoviamo.”
“Divertitevi, ma cercate di non stancarvi troppo.” si raccomandò lei, baciando entrambi i genitori.
“Stai tranquilla, tesoro.” “Siamo in forma e ben preparati.” risposero insieme la madre in tono rassicurante e il padre che abbozzò scherzosamente una corsetta. Quindi li salutarono allegri e risalirono in macchina, allontanandosi rapidamente.
“Dove vanno?” sondò Ares, incuriosito anche a causa del loro abbigliamento.
“Alla New Forest. Ufficialmente, vogliono fare solo una passeggiata ma, conoscendo mio padre, temo esagerino nella smania di voler vedere il più possibile. Spero solo che seguano il mio consiglio di andare a cavallo e non a piedi.”
“Sei sempre così saggia.” si complimentò, fissandola negli occhi mentre portava alle labbra la sua mano.
“Non prendermi in giro. Non sai di cosa è capace papà.” si schermì lei, arrossendo.
“Ma io dico sul serio.” ribatté lui, atteggiandosi per un attimo a offeso. Quindi la informò da competente, ma con fare rincuorante. “Dato che è tanto vicino, vengono organizzate frequenti gite al Parco Nazionale. Io ne ho fatte diverse in tutti i modi, anche pernottando, ma è impossibile vederlo per intero. Dopo tutto, è grande novantatre mila acri. Il modo migliore per apprezzare la New Forest, comunque, è a cavallo. Te lo assicuro. Vedrai che faranno così.”