La sua espressione incredula le fece precisare. “Mi hai detto che, nonostante ciò che ti ha fatto quell’essere ignobile di Darnell, l’hai difeso da Belyal e provi pena per lui.”
Era vero, ma non gli pareva di aver fatto niente di così speciale. “E hai impedito che Zoran lo uccidesse. So che lo hai fatto per tuo zio. Ma sono sicura che, comunque, non volessi che Darnell morisse. Il tuo senso di giustizia non sarebbe così profondo, altrimenti.”
Lui non era del tutto persuaso di quelle asserzioni, ma preferì non obiettare.
Astrea continuò. “Viviamo in tempi difficili e non solo perché Halyster è ricomparso. Non sappiamo, se il suo ritorno sarà veramente tale e come danneggerà Lumenalia, ma sappiamo cosa sta succedendo da quando, a fine maggio, è iniziata la Rivelazione. Le pagine dei quotidiani sono piene di sempre nuove informazioni sul Dominio. E, com’era prevedibile, ai fatti fanno eco valanghe di polemiche, recriminazioni e giudizi sommari e, quel che è peggio, facili soluzioni. Occorre vigilare per evitare che …”
“È stata data qualche notizia?” si accertò, interrompendola, con ovvio riferimento a quanto era accaduto al Limes, esattamente due settimane prima. Lei scosse il capo, suscitando la sua stizza. “Un’altra censura! Ma non hanno imparato proprio niente!!” sbottò, alzandosi di scatto.
Con un gesto gentile lo quietò e lui si rimise a sedere accanto a lei. “Non credo che si tratti di censura, questa volta. Penso, invece, che la mancata comunicazione di ciò che è accaduto al Tabernacolo abbia a che vedere con la massa di notizie del passato, che stanno venendo alla luce. Non ho idea di quante altre ne debbano ancora essere divulgate, ma ho l’impressione che il Dicastro non tarderà ad annunciare l’arresto di pericolosi criminali.”
“Cosa ti fa essere così sicura?”
“Il processo.”
Ares mutò la sua contrarietà in un ghigno soddisfatto. “Giusto! È per questo che mio zio non li ha uccisi, anche quando avrebbe potuto farlo facilmente. Se penso che potrebbe essere ancora vivo se … ” Lei gli strinse la mano, fissandolo con affetto, e in lui prese il sopravvento l’orgoglio di sapere che Zoran non era fatto come quei delinquenti.
“Dopo quello che è successo, sono sicura che Yolhair abbia maggior peso come Decano del Gotha Supremo e sono ragionevolmente convinta che i vertici di tutte le Circoscrizioni, non solo Achileas Graff, agiranno in modo veloce e corretto per scongiurare il pericolo di un nuovo Dominio. Così come sono persuasa che Yolhair stia facendo anche l’impossibile per inchiodare alle loro responsabilità i Satelliti arrestati, senza coinvolgerti.”
Al suo sguardo accigliato, Astrea gli ricordò, con evidente emozione. “Tu sei l’unico testimone … Almeno per … per certi fatti.”
“Non ho paura di espormi.” replicò con decisione.
“Di questo sono certa, ma credo che, così come ha fatto finora, il Praesidens abbia ragione a proteggerti. E non solo per i tuoi natali. Ci sono persone, Ares, e tu lo sai bene, che sono destinate a grandi imprese. La storia di ogni tempo e luogo è, purtroppo, contrassegnata da guerre e conflitti, da tiranni ed eroi. Molti sono solo spettatori, alcuni partecipano, pochi determinano la storia. E, a mio avviso, tu sei tra questi pochi.” Sorrise alla sua occhiata scettica, proseguendo in tono affettuoso. “E, a proposito delle colpe che dici di avere …” Ares fece per intervenire, ma lei lo zittì con un’occhiata amorevole. “Sono d’accordo con ciò che ti ha detto Yolhair. Tu non sei responsabile della … scomparsa di Zoran, né di Herakles.”
“Ma se non avessi trovato la Lacrima non sarebbero stati lì a farsi ammazzare!! Nessuno sarebbe mai arrivato in quel maledetto posto, se non l’avessi cercata e loro sarebbero ancora vivi!!” contestò addolorato. La sua carezza e il tenero bacio che gli diede ebbero il potere di calmare la sua pena.
“Forse.” mormorò lei, allontanandosi. “O forse, pur in circostanze diverse, si sarebbero trovati ad affrontare ugualmente altri pericoli mortali. Zoran è sempre stato un combattente, e anche Herakles.”
“Non starai per caso dicendo che se la sono andata a cercare?!”
“Certo che no! Dico solo che non è tua la colpa se sono … morti, ma di chi li ha uccisi a tradimento.”
Ares scosse determinato la testa, finché lei non gliela prese tra le mani per baciarlo, stemperando la sua angoscia. Di nuovo il peso dei suoi crucci si alleggerì. E ancora una volta sentì il trillo del suo cellulare. Fu lui ad allontanarsi adagio per consentirle di rispondere. I suoi genitori erano al cancello della tenuta. Il tempo era volato via in un attimo e se ne dispiacque. Aveva ancora tante cose da dire, da ascoltare, da sapere. Astrea sembrò intuire il suo rammarico.
“Se vuoi ci vediamo domani.”
Frastornato, si limitò a mormorare vagamente. “Certo, che voglio.” Avrebbe voluto invece trattenerla lì con lui ancora molto, molto a lungo.
Messasi a tracolla la borsetta, Astrea gli prese la mano, lo guardò con grande affetto, ricordandogli. “Lo sai che sono convinta, che non si possa davvero sapere come ci si senta, se non vivendo una data situazione in prima persona. Non so ciò che stai provando veramente. Nessuno lo può sapere. Posso solo immaginare quanto sia profondo il tuo dolore. Ma di una cosa sono certa: ti sono vicina e, se tu lo vorrai, farò di tutto per … aiutarti. Ti meriti il meglio dalla vita.”
Ares l’abbracciò, sussurrando prima di baciarla. “Grazie, Astrea.”
Percorrendo i vialetti del roseto, lei ne ammirò le diverse varietà.
“Sì, sono molto belle. Sono il vanto del Direttore dell’Istituto.” convenne lui, rendendosi poi conto all’improvviso. “Che idiota! Non ti ho offerto niente! Sono un pessimo padrone di casa … Avrai sete …”
“Grazie per il pensiero, ma va bene così.”
Quando giunsero all’entrata principale, i genitori di Astrea erano già arrivati. Lei li presentò. Ares li invitò a entrare, proponendo di bere qualcosa prima di rimettersi in viaggio.
“Ti ringraziamo, caro, ma siamo reduci da un rinfresco simile a un pranzo di nozze!” osservò gaia la signora Elizabeth Laergan, una piacevole quarantenne dalla folta chioma castana.
Notando anche i grandi occhi verdi e il radioso sorriso, Ares seppe a chi Astrea assomigliava di più.
“Già! Se penso che tra poco siamo a cena dai Matthews, mi sento male.” gemette in modo buffo Maximilian Laergan, massaggiandosi lo stomaco.
Quell’espressione gli strappò un fugace sorriso per il forte contrasto con i modi molto professionali, anche se affabili, che il padre dell’amica aveva avuto fino a quel momento. Oltre i quarantacinque, piuttosto alto, acuti occhi scuri, bruno dalle tempie brizzolate e la tipica abbronzatura di chi pratica di sovente sport all’aria aperta, il dottor Laergan trasmetteva un’immediata sensazione di sicurezza. Ricordandosi che era cardiochirurgo, Ares pensò che i suoi pazienti dovessero sentirsi rinfrancati dalla sua sola presenza.
“Be’ … Buona serata, allora. E grazie per essere venuti.”
“Figurati. È stato un piacere incontrarti.” affermò Elizabeth Laergan con un’occhiata che gli lasciò intendere quanto la figlia avesse parlato spesso di lui.
Li salutò con una franca stretta di mano e poi si rivolse ad Astrea, guardandola intensamente. “Alla stessa ora?”
“Sì. Così ti racconto cosa ho pensato.” rispose lei, ricambiando lo sguardo e dandogli un bacio sulla guancia prima di allontanarsi.
Dovette fare uno sforzo per trattenersi dall’abbracciarla. La mano che gli strinse e il sorriso che gli rivolse, gli confermarono che il suo desiderio era condiviso. La lasciò andare a malincuore, continuando a guardarla finché l’auto non scomparve alla sua vista.
Con gli occhi pieni della sua immagine che lo salutava dal lunotto posteriore, s’incamminò senza meta. Aveva il cuore leggero, anche se la testa gli girava da quanti pensieri gli stavano frullando in testa. Gli sembrava ancora di vivere un sogno. Non aveva mai pensato ad Astrea in quel senso. Sebbene, riflettendoci … In quel momento, si rese conto che non era mai stata solo una compagna di scuola. Gli venne in mente di aver già sentito qualcosa di più della semplice amicizia. Aveva però scambiato quel sentimento, più forte e profondo, per gratitudine. Non sapeva di cosa si trattasse realmente. O forse lo sapeva e non voleva ammetterlo neanche con sé stesso. Nell’intento di mettere a fuoco ciò che provava, pensò ai tanti momenti scolastici e, soprattutto, alle volte in cui il suo fare da prima della classe era risultato un po’ troppo pedante anche a lui. Pur sforzandosi, non riuscì a trovarne molte. Alla mente, invece, si affacciarono le innumerevoli occasioni in cui lei aveva mostrato, non solo a lui, comprensione, solidarietà e anche affetto. Le immagini di Astrea si moltiplicavano davanti ai suoi occhi. Si accorse di quanto fosse bella, quanto quei suoi occhi nocciola, che col sole diventavano d’oro, fossero profondi; quanto i suoi lineamenti fini, la sua figura attraente. Arrossì a quel pensiero. Cos’era successo? Solo il giorno prima non voleva neppure vederla. Se non fosse stato per la sua buona educazione e il suo innato rispetto, l’avrebbe fatta mandare via non appena arrivata da un impiegato, adducendo qualche scusa poco credibile in modo da farle capire, che non era il caso di chiamarlo di nuovo. E ora non avrebbe fatto altro che guardarla e, perso nei suoi occhi, ascoltarla all’infinito. Fino a poche ore prima, non ne sentiva affatto la mancanza. Tutt’altro. E adesso non poteva fare a meno di lei. Essere lontani gli era insopportabile. Era come se prima fosse cieco, sordo, senza alcuna percezione. Come se fosse … spento. Improvvisamente, tutto si era acceso. Che cosa era accaduto dentro di lui per provocare quel cambiamento? Ma era davvero cambiato qualcosa? Non riusciva a darsi una risposta. Non gli importava, si disse, scoprirne il motivo. L’unica cosa importante, era che lei sembrava provare il suo stesso sentimento. Si sentiva rinato. Bruscamente, un pensiero sgradevole lo fece accigliare. Forse Astrea era mossa solo da compassione: aveva pietà per quanto fosse stata crudele la vita con lui. Scosse il capo. No, non gli sembrava proprio il tipo. E poi lei aveva detto che le era successa la stessa cosa. Avrebbe fatto in modo di accertarsene, l’indomani o ... D’un tratto, si ricordò di non averle detto che aveva deciso di non tornare più alla Domus, né di voler avere mai più niente a che fare con Lumenalia e tutto ciò che la riguardava. Si incupì. Le mani in tasca, proseguì la sua passeggiata a testa bassa, cercando di non pensare a niente.
“Ares.”
La voce affannata di Perseus Byron, richiamando subito la sua attenzione, lo fece voltare e precipitarsi verso il Direttore, che stava vacillando a causa di una grande quantità di sottili pali appuntiti e molto lunghi – oltre a bacchette, bastoncini e un grosso cesto pieno di roba – che gli ingombravano le braccia e, sfuggendo da tutte le parti, stavano per rovinare su un’aiuola fiorita. Ares ne agguantò buona parte appena in tempo per evitare il disastro.
“Aufff! Gra-grazie!!” ansimò Byron.
“Lasci che l’aiuti. Dove deve portarli?”
“Laggiù, vicino a quel gruppo di magnolie.” indicò, allungando il mento in avanti a destra.
“Cosa ne deve fare?”
“Servono per fornire sostegni adeguati al berceau delle rose antiche.”
“È nuovo?”
“Non proprio. Sono anni che ne sto coltivando diverse varietà …”
“Sì, lo so. Sono le sue preferite, se non sbaglio.”
“Esatto. Questo però è il mio esperimento più ambizioso.” dichiarò il Direttore, fermandosi a pochi passi da un’esile struttura ottagonale, costituita da lunghi rami che si congiungevano a formare un abbozzo di pergolato dalla larga copertura.
Alla base di ogni supporto legnoso crescevano piante di rosa color carminio, intervallate ogni tanto da rosai bianchi. Deposto a terra il suo fardello, Byron guardò la sua opera, sospirando ansioso.