“Geniale!” si complimentò lei, con sincero entusiasmo che lui non raccolse, proseguendo in modo incolore.
“Erano sette. Tutti nel Salone Turchese. Sono andato al Castello. Sapevo che Mira era lì a lavorare fino a tarda notte per la cerimonia di chiusura. L’ho trovata. Le ho spiegato cosa avevo scoperto e, mentre glieli mostravo, ho visto quel … Greenman ucciderla.”
“Oh! Cielo!!”
“Ma non era lei. Era un versipelle che stava per ammazzarmi.”
“Oddio! Ma è terribile!!”
Astrea si alzò di scatto per andarsi a sedere al suo fianco.
“Quel … Greenman che mi aveva salvato la vita era … era mio zio.” Gli appoggiò adagio un braccio sulle spalle. Il suo tocco era leggero e lui, anche se non fece molto caso al gesto, si sentì compreso e proseguì. “Me lo confessò … dopo. Gli chiesi di raccontarmi dei miei e lo costrinsi … Fu lui a mostrarmi la morte dei miei genitori. Mi dispiace averti fatto credere che fosse stato Yolhair, ma non potevo dire a nessuno di lui. Era di lui che parlavano i genitori di Archie a Geohjul. Era stato creduto morto da tutti perché … Anche lui, come i miei genitori, era un Resistente … Un Greenman, effettivamente. Era tornato in incognito per una cosa gravissima. Era convinto che sostenitori di Belyal stessero per riportarlo al potere.” La mano di Astrea ebbe un fremito, la sollevò adagio per sfiorargli delicatamente la nuca. “Pare che, quando fu destituito, il Despota fosse sul punto di realizzare il … Dominio. Quello … vero. Il Dominio su tutte le Forze della Natura.”
La mano di Astrea si fermò e lui ne percepì pienamente l’orrore.
“Sì. È terrificante. Lui l’ha chiamato il Potere degli Dei.”
“Lui?!” ripeté atterrita, temendo di sapere.
Ares si voltò a guardarla e lei capì.
“Quando … Quando vi ho lasciati … non volevo, ma … l’ho fatto.” Astrea riprese ad accarezzargli la testa e lui si sentì rassicurato. “Quando sono arrivato lassù, la piuma era quasi del tutto scolorita. Avrei … se non fosse stato …” Non riuscì a dirle cosa aveva intenzione di fare, né che era stato perché aveva sentito le sue parole che aveva desistito.
Nel suo doloroso disperarsi, ogni volta, aveva maledetto il momento in cui lei gli era venuta in mente, del tutto convinto che, se così non fosse stato, nessuno sarebbe morto a causa sua. Se avesse formulato il suo vero desiderio, non avrebbe perso gli affetti a lui più cari. Era anche per questo motivo che non voleva incontrarla ma, non appena l’aveva vista, la sua certezza era vacillata e si era fatta strada in lui l’idea che era stato, invece, un bene. Quel pensiero, che era un balsamo per il suo cuore straziato, gli era razionalmente intollerabile. Come poteva essere un bene ciò che era successo?! Forse era proprio per quello, che l’aveva trattata così male malgrado lei non avesse alcuna colpa, né responsabilità, considerò più per capire che per giustificare un comportamento che gli era improprio e del quale si era subito sinceramente pentito.
Quella riflessione era durata un breve istante. Inspirò rapido, come per cancellarla, e proseguì con voce malferma. “Grazie al dono di Zizì ho aperto i portali del Tabernacolo e l’ho vista. La Lacrima era lì. Bellissima. Come l’avevo sognata.” Si piegò in avanti, le mani sulla faccia. Gli stava costando moltissimo parlare di quella notte, ma sapeva che doveva continuare. “Al contrario dei miei sogni, la Lacrima non mi mostrò il varco e la piuma aveva ormai esaurito il suo potere. Ero disperato. Quando sentii una voce … Un uomo che mi proponeva di aiutarmi se … e io … io gli ho detto che ero disposto a qualunque cosa pur di far rivivere i miei genitori … Ero così … così … ossessionato. Non credevo ai miei occhi quando è uscito dall’ombra. Era Halyster. Ma ero ancora più sbigottito, quando mi ha ringraziato per avergli permesso di arrivare alla reliquia che gli avrebbe dato il potere supremo.” I gesti di Astrea si fecero più caldi. “Non capii a cosa si riferisse. Mi offrì di unirmi a lui. Sosteneva che avevo un talento straordinario e che sotto la sua guida sarei diventato molto potente, il suo braccio destro. Mi rifiutai … Ovviamente. Anche quando mi disse che solo lui avrebbe potuto farmeli … ritrovare.” Fu scosso da un violento brivido. “Il rifiuto lo fece infuriare e mi … punì … duramente. Molto duramente.”
Prendendolo per le spalle, Astrea lo fece voltare verso di lei. Gli prese il volto tra le mani, fissandolo ansimante, lasciandole scivolare poco dopo.
“Ma poi gli venne in mente, che potevo essergli ancora utile. Mi … mi ha …” Non riuscì a trovare la forza di raccontarle dell’Exhaustio, di come Belyal gli avesse sottratto energie e sangue, ma si portò istintivamente la mano sul cuore che lei subito coprì con la propria. Era sicuro che non potesse sapere cosa gli fosse successo, anche se la sua espressione non lasciava dubbi sulla sua profonda compassione.
Si schiarì la voce, fermamente deciso ad andare fino in fondo in fretta. “Ma quello non era il peggio. La Lacrima non permetteva solo di accedere al Regno delle Ombre, ma anche … soprattutto di avere il pieno dominio sulla Natura.” Astrea gli strinse forte la mano. “Raccogliendo tutte le mie forze, sono riuscito a recuperare il mio Segno e ho … E l’ho distrutta.”
“Sei stato … straordinario.” affermò lei con ammirazione, aggiungendo subito preoccupata. “Si sarà scatenato.”
Ares comprese che non poteva tacerle che il suo Segno era in realtà uno Skeptron, quello di suo padre. Così le disse tutto: dal nome che gli aveva dato a come era volato tra le sue mani, per poi trasformarsi in una spada di cristallo. Le raccontò di Darnell, leggendo nei suoi occhi una profonda indignazione, e di Slay, la cui complicità col Despota non le suscitò alcun stupore. E quindi della sua fuga e l’arrivo di Zoran, finendo per raccontarle tutto dello zio e dei suoi genitori, anche quanto gli aveva detto Yolhair, compresa la natura della ferita inflittagli dal Tiranno. Le disse poi dell’arrivo dei Satelliti, i fedelissimi di Belyal, e dei Greenbeings. La sua voce tremò quando le narrò come Zoran fosse stato ferito alle spalle da Raptor e fu sul punto di spezzarsi quando le riferì le sue ultime parole. Come già era accaduto, gli era venuto naturale parlarle, ma dovette fare appello a tutto il suo coraggio per dirle come lo zio fosse morto tra le sue braccia per poi, pochi istanti dopo, sublimare. In silenzio, Astrea gli aveva comunicato quanto lo comprendesse e gli fosse vicina con sguardi ansiosi e afflitti, trattenendo spesso il respiro e non cessando mai di accarezzargli le spalle e la nuca.
“È colpa mia. Solo colpa mia.” concluse affranto, pur sentendo che aver condiviso con lei ogni cosa, anche il minimo dettaglio, aveva alleggerito il pesante fardello che gravava sul suo animo.
“No! No. Non potevi fare niente! Sei stato così coraggioso. Hai fatto tantissimo! Nessuno avrebbe potuto fare di più!”
Ares scosse la testa. “Se non avessi voluto così tanto trovarla. Se non … Se …”
Si prese il viso tra le mani e cominciò a piangere. Prima in modo flebile e intermittente, poi sempre più liberamente. Astrea continuò a tacere e le era grato per questo. Si sentì stringere le spalle dal suo abbraccio. Le sue carezze diventarono sempre più intense, dandogli quel beneficio di cui tanto aveva bisogno. Dopo un tempo che gli sembrò interminabile, riprese a parlare con voce rotta dal pianto. “È colpa mia. Solo colpa mia. Se non fosse stato per me, Belyal non sarebbe mai arrivato alla Lacrima. I suoi luridi Satelliti non si sarebbero mai mossi tutti insieme per arrivare lì e Zoran non li avrebbe seguiti. Non sarebbe stato costretto a battersi con tutti loro. È sopravvissuto a così tanti pericoli e io … io … È stata solo colpa mia se è morto …”
Ares riprese a singhiozzare più forte, senza accorgersi che Astrea aveva ancora tentato di dissentire. La sua vicinanza però gli fece venire alla mente un altro drammatico pensiero al quale diede lentamente voce, quasi se ne rendesse conto poco alla volta.
“Vi ho messi tutti in pericolo. È colpa mia se vi hanno fatto del male. Se tu … tu … sei stata … ferita. Se tu … Tu hai rischiato di …” Alzò la testa dalle mani, si girò verso di lei, guardandola con un’espressione incredula, la bocca socchiusa. “… morire.” sussurrò adagio, come se stesse riflettendo tra sé e sé, ricordandosi solo in quel momento che era stata ferita tanto seriamente che, quando era partito, era ancora ricoverata in Infermeria.
Si accorse di non averle chiesto quando fosse stata dimessa e come stesse. Notò quanto fosse ancora pallida. E si rese conto che avrebbe potuto perdere anche lei. Spalancò gli occhi, terrorizzato. Occhi che, inondati di lacrime e arrossati dal pianto, erano in quel momento di un marcato grigio brillante. Si sentì invadere da un’emozione irrefrenabile. Lentamente, ma senza esitazione, avvicinò il suo viso a quello di lei. Le diede un bacio sulle labbra. E continuò a baciarla. Prima delicatamente, poi con crescente calore.
A un tratto, si ritrasse, come se fosse stato colpito all’improvviso da una scossa elettrica, e balbettò. “Oddio, Astrea, scusa ... Scusami, non volevo ..... Non so cosa mi sia successo.”
“Quello che è successo a me.” rivelò lei piano con voce calda, abbracciandolo e baciandolo poi con tenerezza.
Ares si sentì pervadere da un progressivo senso di benessere, quasi di felicità. Non osava neanche pensare che fosse reale. Si disse che era un sogno, che si sarebbe risvegliato nel solito letto malconcio per affrontare una nuova giornata di sofferenza. Il calore che si stava diffondendo in lui era come la luce di un mattino radioso che dissipava le tenebre di una furiosa tempesta notturna. Non aveva provato nulla di simile quando Gwendolyn l’aveva baciato. In cuor suo, voleva con tutte le sue forze che quel sogno non finisse mai. In lontananza, sentì un cicalio, una specie di carillon che aumentava di tono, e pensò con rammarico che il suo bel sogno fosse finito, che una sveglia, che non aveva nella sua stanza, stesse interrompendo il suo sonno per riportarlo alla dolorosa realtà.
Astrea si allontanò da lui con garbo, informandolo dolcemente. “Scusa Ares, sono i miei.”
Si alzò, si diresse verso la borsetta che aveva lasciato sulla poltroncina e ne trasse il piccolo oggetto che produceva quel suono. Parlò con qualcuno. “Sì grazie, tutto bene. E voi? Ah! State per finire? Di già? Sì, ehm … No, no. Va bene. Vi aspetto fra un’oretta, allora. Grazie, a dopo. Baci.”
Astrea tornò a sedersi accanto a lui. “Scusami, i miei genitori mi hanno regalato un telefonino e, per stare più tranquilli, hanno insistito perché lo tenessi acceso.” Cambiò espressione. Lo guardò intensamente e gli accarezzò il viso, chiedendo con delicatezza. “Mi hai detto tutto? Posso parlare io?”
Ares annuì, dimenticandosi di non averle neppure accennato la sua decisione.
Lei prese a parlare, accarezzandolo di tanto in tanto. “Ho sempre pensato che tu fossi una persona speciale. E, da quando ti conosco, tutto ciò che hai fatto lo dimostra.”
“Ma …” tentò di obiettare, ma lei gli mise due dita sulle labbra, pregandolo. “Per favore, lasciami dire.” Assentì, dopo averle preso la mano, sulla quale gli venne spontaneo deporre un lieve bacio.
“Poiché ne dubiti, vorrei ricordarti Celestino, la tua adesione al Corso Malerbe e anche come hai aiutato le Spighe, e non per il Trofeo che ci hai fatto vincere. Questi sono solo gli esempi più rilevanti, ma ciò che è davvero importante è che tu sei così di natura. Per te è normale essere generoso, giusto, altruista, coraggioso. Possiedi veramente quella luce che tuo zio ha visto dentro di te. La luce che ti hanno trasmesso i tuoi genitori. Una luce che si chiama amore. Amore senza riserve, incondizionato. Tu non agisci mai per secondi fini, né tanto meno usi le persone o, peggio ancora, sfrutti i loro sentimenti a tuo vantaggio. Anche nei confronti di chi merita solo biasimo, provi comprensione e compassione.”