Capitolo 2-1

2025 Words
2 Le cicatrici mostrano che siamo sopravvissuti, che abbiamo attraversato l’inferno ma siamo ancora fra i vivi Emily Le ore di sonno erano state salutari, la mente si era schiarita e adesso sentiva di poter fare ancora meglio del giorno prima. Connor era stato intransigente: Keres le avrebbe accompagnate e vegliato su di loro. Così, lei e Sofia stavano avanzando fra i vari reparti accompagnate dalla loro guardia personale. I suoi occhi vagavano sui vari pazienti che piano piano si stavano risvegliando dal loro sonno indotto: sembrava che tutto si stesse svolgendo bene, i medici che li assistevano avevano espressioni rilassate e fiduciose. Ne era felice. Doveva abituarsi al fatto che su Proxima tutti indossavano capi di abbigliamento decisamente appariscenti e comodi all’apparenza, nulla a che vedere con le divise bianche che venivano usate sulla Terra negli ambienti ospedalieri; i suoi occhi continuavano a posarsi su divise dal verde brillante, e lei e Sofia stonavano decisamente con la loro tenuta blu notte aderente, ideata per la comodità dei movimenti. Nei loro colletti erano nascosti i chip per la traduzione simultanea e, in caso di necessità, sistemi di irrigidimento per la protezione di zone ad alto rischio come il cuore. Emily si sentiva decisamente protetta nella sua divisa. C’era un paziente in particolare, però, che voleva vedere, l’unico che aveva avuto bisogno di una cura differente dai cloni, il primo a cui avevano cambiato la programmazione dei nanorobot per la riparazione del codice genetico. I vetri trasparenti le mostrarono il letto di Naglfar: era sveglio e stava parlando con una femmina della loro specie. Nel momento in cui i suoi occhi verdi la videro, si zittì, le labbra si tesero mentre il suo sguardo seguiva la sua avanzata verso il laboratorio; anche la donna accanto a lui si voltò ad osservarla. In quel momento Emily si sentì in difficoltà e abbassò lo sguardo verso terra; fu di conforto sentire la grande mano di Keres posarsi sulla spalla. Non era sola, doveva ricordarlo a se stessa. Con decisione alzò la testa e proseguì oltre. Quel giorno aveva una riunione con i vari medici dei diversi reparti, per discutere dei dati richiesti sui DNA danneggiati. Doveva lavorare, avrebbe pensato dopo a Naglfar. La riunione si sarebbe svolta al terzo piano, così da poter avere la possibilità di vedere con i loro occhi i vari problemi che affliggevano i diversi pazienti che avrebbero ricevuto la cura quello stesso giorno. Ancora una volta si domandò come fosse possibile una cosa del genere. Fu felice di vedere Khal unirsi a loro e, dopo un cenno di saluto, mettersi accanto a Sofia. «Come procede il risveglio?» chiese, trattenendo un piccolo sorriso. «Bene, Helios ha tutto sotto controllo, per ora stiamo prelevando i DNA dell’equipaggio risvegliato ieri, dopo mi unirò a lui per risvegliare gli altri previsti per oggi.» Lo sguardo del titano si posava spesso su Sofia ed Emily sorrise gentilmente: anche con l’evoluzione, certe cose non sarebbero mai cambiate e segretamente ne era felice. «Bene, quindi potresti rimanere con noi in laboratorio e aiutarci per sistemare la programmazione dei nuovi sieri da usare. Ci farebbe comodo una mano in più per velocizzare il procedimento.» Era un accenno di ringraziamento quello che vedeva nello sguardo del titano? Probabilmente. Il sopracciglio arcuato di Sofia e il suo sorriso nascosto a stento le confermarono qualche idea. «Sarebbe un piacevole cambiamento, ne sarei felice.» «Allora è deciso. Sofia, sei d’accordo?» Si stava divertendo, una sensazione che non provava più da molto tempo. «Ovviamente, un aiuto è sempre comodo.» Molto professionale, se non fosse per il lieve rossore sul collo. Arrivarono a destinazione e, quando tutti furono dentro la riunione cominciò. I dati erano allarmanti e le immagini proiettate sulle grandi vetrate ritraevano i diversi codici nei punti di rottura. Che fossero maschi o femmine, i tipi di disgregazione non sembravano avere un tassello comune. Dopo quasi tre ore, Emily si strofinò le tempie con le dita. Solo i cloni avevano lo stesso problema, gli altri erano tutti completamente diversi. «Non riesco a capire. Quando vi siete resi conto di quello che stava accadendo? Cosa stavate facendo? Sulla Terra abbiamo avuto comportamenti simili quando, centinaia di anni fa, furono sganciate delle bombe nucleari. Il DNA, con il passare del tempo, a causa delle radiazioni assorbite, è arrivato a livelli simili al vostro… ma qui non credo che abbiate fatto una cosa simile.» La sua voce aveva zittito tutti. Era già brutto essere in una stanza piena di esseri che, oltre ad avere la pelle blu, erano giganteschi, ma che tutti non volessero parlare era assurdo! I loro occhi che variavano dall’azzurro ghiaccio come quelli di Keres, al verde, al marrone, si osservarono attenti e titubanti. «Noi non possiamo dire cosa sia successo, non ci è permesso. Abbiamo visto che potete aiutarci e vi ringraziamo, ma non possiamo aggiungere altro.» Stavano scherzando? Le sembrava di essere di nuovo sulla Terra. Dio, era così stanca di tutto questo modo stupido di vivere. Sospirò e lasciò che la delusione permeasse le sue parole. «Bene. Vi aiuteremo fin dove possiamo. I miracoli non siamo ancora in grado di farli.» Si sollevò stancamente dalla sedia, lo sguardo di Keres era preoccupato. «Torno in laboratorio, vi lascio finire la riunione. Quando saranno pronti, i miei colleghi mi raggiungeranno con i dati che renderete disponibili. Spero vi rendiate conto che quello che state facendo è profondamente deludente verso la vostra gente.» Non rimase lì a sentire le loro risposte, uscì dalla porta a vetri e camminò con calma lungo il corridoio. Sentì i passi di Keres e si fermò ad aspettarlo. «So che Connor vuole che tu mi protegga, ma qui non c’è niente che possa farmi del male. Torna dentro e vedi se riesci a mettere un po’ di sale in quelle teste blu.» Lo disse con stanchezza. Aveva creduto davvero che almeno qui le cose fossero diverse ma si era sbagliata. «Un po’ di sale?» Sorrise per la sua ingenuità. «Sì, è un modo di dire. Cerca di farli ragionare, non è per rubare notizie top secret che siamo qui, sarebbe una cosa altamente stupida da fare in questo momento. Dobbiamo aiutarli a sopravvivere e, se non collaborano, non so cosa potremmo fare.» Gli afferrò gentilmente il braccio spingendolo a voltarsi. «Starò bene, davvero, devo solo scendere qualche piano e sarò nel laboratorio.» Fu felice di vederlo rientrare, aveva bisogno di stare da sola, e con la delusione nell’animo rincominciò a camminare verso il laboratorio. Le loro parole avevano smorzato la felicità che aveva provato poche ore prima nel vedere i primi progressi. Senza quasi pensare, entrò nella stanza di Naglfar: era solo e sembrava dormire. Era stato trasferito lì poco dopo essere stato sottoposto al siero, vicino ma non troppo al laboratorio. Notò come sembrasse meno stanco e come i suoi tessuti sembrassero decisamente più rimpolpati. Si avvicinò al letto e con delicatezza gli afferrò il braccio scoperto. La pesantezza dell’arto era aumentata dal giorno prima. Le due flebo contenenti le soluzioni di nanorobot e DNA erano state rimosse. «Bene, sembra che ti stia prendendo,» sussurrò piano, saltando di sorpresa quando la mano di lui le afferrò il braccio. Fu una voce arrabbiata e fredda quella che udì provenire dall’ingresso della stanza, decisamente acuta e femminile, e ancora prima che potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo venne spinta contro la parete di vetro con una potenza talmente esagerata da mandarla in frantumi. La sua tuta si attivò rinforzando i punti strategici degli organi, ma nulla poté evitare alle moltitudini di schegge di graffiarla e ferirla. Sentiva il suo cuore battere furioso e lo stordimento impedirle di capire in che posizione fosse caduta. Avvertì chiaramente il sangue scivolare sulla pelle del viso, sentendo gli occhi pizzicare. Doveva avere fratture ovunque, provava dolore nella parte superiore del corpo. Ci furono movimenti veloci, qualcuno che correva verso di lei afferrandola, sollevandola e tenendola stretta. «Che cosa avete fatto?» ruggì la voce di Keres. «Sofia, Khal, sulla nave, veloci!» «Deimos, attiva una capsula medica, abbiamo un problema, hanno ferito Emily.» La voce di Khal era tesa mentre usava il comunicatore con l’altro titano. «Possiamo curarla qui,» provò a suggerire qualcuno, voci che non conosceva affatto ma che in quel momento non avevano importanza. Aprì appena gli occhi e osservò la figura di Naglfar in piedi, tesa mentre si reggeva al letto come supporto. Era orrore quello che rifletteva il suo sguardo? Non le importava: era stanca e la testa cominciava a pulsare in maniera decisamente pesante. «Emily, rimani cosciente.» La voce di Sofia non ammetteva repliche, era un ordine. Sorrise stancamente: poteva essere la sua occasione per lasciare che finalmente il nero oblio la prendesse? Ovviamente no, sarebbe stato troppo bello e semplice. Keres continuava a parlarle obbligandola a rispondere per ogni singola cosa, e questo supplizio durò finché avvertì il proprio corpo venire adagiato sul lettino metallico e i macchinari adoperarsi per disinfettare e curare le sue ferite. La porta si chiuse e finalmente poté rilasciare un sospiro: sapeva che, quando la procedura medica era in funzione, a nessuno era permesso rimanere lì dentro. Il ronzio dello scanner robotico riempiva l’ambiente, la testa le pulsava ancora, sentiva la pelle pizzicare dove sapeva esserci i tagli causati dal vetro, segno che lo spray cicatrizzante stava facendo effetto. Chissà che razza di lividi aveva sotto l’uniforme. Sospirò sconsolata ponendosi un appunto mentale: non avvicinarsi più a Naglfar. Dopo quasi un’ora, la prima persona che varcò l’ala medica e che la trovò seduta sul lettino fu un Connor molto arrabbiato, seguito da un Keres altrettanto dispiaciuto. «Come stai?» «Bene, sono stata rattoppata a dovere.» Gli mostrò le mani e il volto completamente sano, a parte i residui di sangue secco. «Non credo che rimarranno cicatrici.» Scese dal letto e avanzò verso di loro. «Emily, Keres non ha idea di cosa sia successo e quindi vorrei che fossi tu a dirmelo, perché se è stata un’aggressione, dobbiamo agire in maniera diversa.» Capiva perfettamente le parole di Connor e intuiva che ci sarebbero state delle modifiche nella loro sicurezza. Arricciò il naso: i cambiamenti improvvisi non erano mai stati di suo gradimento, ma sapeva di non dover omettere niente, aveva anche dei colleghi che avrebbero potuto rischiare la vita ed era una cosa che non poteva permettere. Prese un respiro profondo e spiegò nei minimi dettagli cosa era successo, cercando di non tralasciare nulla e fidandosi di Connor. Quando finì, senti un peso addosso come un macigno. «Non è stato un attacco voluto, sembra più un incidente.» Le parole di Keres cercarono di abbattere il muro di silenzio dietro al quale Connor si stava trincerando. «Anche se così fosse, perché avrebbe dovuto agire in quel modo? C’è qualche usanza di cui non siamo al corrente? Era la sua compagna? Perché ha avuto quella reazione?» Gli occhi del soldato erano freddi e calcolatori, Emily sapeva che stava vagliando tutte le possibilità. Sofia entrò nella stanza con il volto teso. «Fuori chiedono di voi, cosa dobbiamo fare?» «Fuori?» Emily aggrottò le sopracciglia, non capendo. Gli occhi di Connor furono su di lei. «Abbiamo chiuso la nave, nessuno può avere accesso. È una misura di sicurezza.» «Ma dobbiamo continuare la cura, loro possono…» Si aggrappò al lettino quando una scossa di dolore la colse impreparata. Decisamente le lesioni si stavano facendo sentire. Le braccia di Keres l’aiutarono. «A lei posso pensare io, voi cercate di risolvere la situazione.» Le mani gentili di Sofia l’aiutarono a sedersi nuovamente e con fermezza la fecero sdraiare. I due uomini si avviarono verso l’ingresso della nave, e le ultime parole di Connor che Emily sentì furono che avrebbe chiamato Deimos. Il silenzio tornò sovrano nell’ala medica. «Ci siamo presi un bello spavento.» Le mani abili di Sofia la spogliarono lentamente cercando di non farle male, mentre i suoi occhi valutavano le ecchimosi che si stavano mostrando. Attivò il video posto lì accanto e valutò le registrazioni che lo scanner aveva fatto poco prima durante la sua cura. «Non hai nulla di rotto, per fortuna.» Con precisione e attenzione la ripulì dal sangue secco e attivò una nuova procedura medica per il trattamento dei lividi.
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