Allungo il collo dietro a Don José, scrutando il passaggio debolmente illuminato.
“Vedrai.” Gli occhi scuri di José mostrano una luce subdola mentre ordina a una guardia di aprire la porta della cella.
Il problema è che io non ho un beta. Ho José come parte del Consejo, il Consiglio degli anziani. Potrei facilmente avere la meglio su ciascuno dei membri, presi singolarmente, ma tutti insieme sono più forti di me. L’unico motivo per cui mi tengono come capo fantoccio è che la legge del branco usa la regalità di sangue per determinare l’alfa. Un membro della linea alfa originale detiene il titolo di alfa anche se non sa governare.
La porta della cella si apre e resto impietrito.
Su un letto c’è una donna bellissima, nuda, con mani e piedi ammanettati. I folti capelli lunghi e castani sono aperti a ventaglio attorno alla testa, su un materasso privo di cuscino. Seni floridi, pancia piatta, gambe lunghe un chilometro. E lì in mezzo – ah, carajo – un monticello perfettamente depilato e dal tenero bocciolo rosa in bella vista.
Che cazzo… Uno slancio di eccitazione mi pervade e arriva a indurirmi l’uccello. Stringo le mani a pugno. Il mio lupo sta ululando, l’adrenalina pompa nelle vene, ma non so se in preparazione a fare mio questo meraviglioso esemplare di femmina o a combattere per liberarlo.
La donna tira le catene che la legano e il bianco dei suoi grandi occhi azzurri quasi si illumina nel buio. Le sue labbra piene sono screpolate e sanguinanti. Quando la sento gemere, una furia cieca si impossessa di me. Il bisogno di proteggerla, di salvarla da questo destino, sale in superficie, cancellando ogni traccia di inopportuna lussuria.
“Che diavolo è questa roba?” Avanzo a grandi passi e afferro uno dei polsi ammanettati, tirando la catena. “Slegatela,” dico con voce tonante.
Più tardi rivedrò più e più volte la scena, biasimandomi per la mia stupidità. Un riso sinistro è tutto ciò che sento prima di ruotare su me stesso e vedere la pesante porta di metallo chiudersi con un tonfo sonante.
La rabbia mi fa tramutare in un lampo, strappando a mezz’aria gli abiti di sartoria fatti su misura. Mi lancio contro alla porta, il mio grosso corpo da lupo che vi sbatte contro a tutta forza ma senza smuoverla di un millimetro. Ringhio, corro per la stanza, la furia è troppo grande per concedermi un pensiero razionale. Ringhio e faccio schioccare la mandibola, setacciando tutto il perimetro in cerca di una via di fuga. Ovviamente non ce n’è neanche mezza. Conosco bene queste celle.
Merda.
Mi volto verso la ragazza. Stranamente, nonostante la mia feroce dimostrazione di furia, i suoi occhi azzurri non mostrano alcun segno di panico. Mi guarda invece con avido interesse. Forse perché siamo nella stessa barca: due prigionieri lasciati a… maledizione.
So cosa vogliono.
Hanno trovato una lupa di un altro branco e l’hanno rapita per usarla per la riproduzione. Sapevo che volevano che mi accoppiassi, ma non avevo idea che sarebbero arrivati a tanto.
Li ammazzerò tutti: squarcerò la gola a ogni singolo pinche membro del Consiglio. Tenere me in prigionia – il loro alfa – contro la mia volontà per usarmi come maledetto stallone?
Eh no, cazzo.
Ruggisco e mi lancio ancora una volta contro alla porta, anche se so che è inutile. Ricordando che dovrebbe esserci una videocamera nell’angolo, ci salto sopra, serro le zanne sulla plastica liscia e sbriciolo la lente di vetro.
Fanculo.
Giro ancora in cerchio nella piccola cella e torno verso il letto, dove stringo tra i denti le catene che tengono immobilizzati i polsi della ragazza.
Lei chiude la sua mano delicata a pugno, tenendo le dita lontane dalla mia bocca.
Santo cielo, il suo odore.
Sa di… paradiso. Biscotti allo zucchero e mandorle, con un tocco di agrumi. E lupo. Questa femmina non è per niente defectuosa. Chissà com’è fatta la sua lupa. Nera come il mio? Grigia? Marrone?
Scuoto la testa. Non ha importanza. Non mi accoppierò con lei. La porterò fuori di qui, diamine.
Ringhio e tiro con tutte le mie forze, tiro quella maledetta catena per staccarla dalla parete.
La meravigliosa femmina fa come me; i suoi giovani muscoli si gonfiano in una dimostrazione di spettacolare forma atletica. Uniamo le forze, ma la catena non si stacca.
Crollo seduto.
“Grazie di averci provato.” Il suo accento è una dolce melodia.
No. Questa attraente americana non mi interessa. Non importa quanto possa essere affascinante e bella. È quello che vogliono loro.
Pensano che gettandomi qua dentro con lei, riscuoterò il premio che hanno catturato per me. Che affonderò i denti nella sua carne e la marchierò per sempre. Stanno facendo affidamento sul mio istinto alfa, che dovrebbe portarmi ad accoppiarmi con un’altra alfa per riprodurmi.
Pensano che perdonerò o dimenticherò la manipolazione? Credono seriamente che li lascerò vivere dopo questo scherzetto?
Mi ritramuto in forma umana.
Carajo. Ora sono nudo pure io: gli abiti li ho distrutti nella mutazione.
E questa imperversante erezione non farà sentire molto più sicura la bellezza incatenata.
Ruoto per dare la schiena al letto. Bene. Cavolo. Ovviamente ho l’uccello più duro della pietra. Per quanto sia incazzato o voglia salvarla, la bellezza incatenata è innegabilmente la cosa più erotica a cui abbia mai assistito.
“Cazzo.” Raccolgo i resti lacerati dei pantaloni e trovo all’interno i boxer. Sono strappati ma potrebbero starmi su, se li tengo con le mani. Me li infilo.
“Mi capisci.” C’è una nota di sollievo nella sua voce.
Mi acciglio. Non dovrebbe fidarsi di me. Perché se sapesse quello che voglio fare a quel suo corpo sensuale, nudo e completamente disponibile, griderebbe.
La camicia è poco più in là. La afferro e mi preparo alla sua inebriante presenza prima di girarmi.
Non mi è di aiuto. È bellissima come pensavo. No. Di più. Riesco a portarmi a lato del letto e uso la camicia per coprire per quello che posso la sua pelle, che ha una tinta oro bruciato, con le strisce più chiare di quello che deve essere stato un bikini davvero minuscolo. Mi viene l’acquolina nell’immaginarmela sulla spiaggia, dove si è procurata quell’abbronzatura. So che deve aver riempito il costume in modo tale da far gemere ogni singolo maschio nei paraggi.
Stendo la stoffa sopra al suo sesso e tiro l’altra estremità verso i seni.
Lei squittisce, le cosce tirano contro le manette di ferro attaccate alle caviglie. Inalo l’odore della sua eccitazione.
Cielo, basta così poco? Un leggero tocco con la stoffa contro le sue parti più sensibili ed è già pronta a essere posseduta?
Sul serio, non sopravvivrò questa prova.
Sistemare la camicia diventa una tortura bella e buona, perché quando l’odore mi arriva alle narici tiro la stoffa con troppo vigore e le scopro la passera, poi la faccio scivolare via dai seni tirando con impazienza dalla parte opposta.
L’alzarsi e l’abbassarsi dei capezzoli per effetto del respiro accelerato non mi è di aiuto, e non lo sono neanche quei grandi occhi azzurri fissi su di me.
“Cazzo,” mormoro, tirando entrambe le estremità contemporaneamente. Le mie dita sfiorano la sua pelle e riesco a malapena a trattenere un ringhio di eccitazione. È morbida come quella di un neonato. Liscia. Ho il cazzo che spinge aitante verso di lei e, come un idiota, inspiro profondamente. L’odore dei suoi feromoni e della sua eccitazione mi fa girare la testa. A giudicare dall’odore, è vicina all’ovulazione. Devono saperlo. E devono anche sapere che nessun mutante purosangue può sopravvivere rinchiuso con una lupa alfa nuda, in calore, durante la luna piena senza farla sua e marchiarla per sempre.
Riesco a coprirle il sesso e un seno con la mia camicia prima di lasciare il pezzo di stoffa e fare un passo indietro. Se sfioro ancora una volta quella pelle, giuro che mi lancio a palparne ogni singolo centimetro.
In qualche modo distolgo gli occhi dal seno ancora scoperto, con il capezzolo color pesca gonfio e turgido. Mi chiedo quale aspetto di questo scenario la ecciti: essere legata, la nudità o la mia attenzione sul suo corpo fottutamente meraviglioso. No, non voglio saperlo.
Il mio respiro si fa più affannoso quando mi pervade una nuova spinta di desiderio. Mi schiarisco la gola. “Sei americana?”
Lei annuisce. “E tu?” La sua voce esce un po’ roca e un po’ sussurrata mentre se la schiarisce e si passa la lingua rosa sulle labbra secche.
Reprimo un gemito.
Sa il cielo come vorrei mentire e dire sì. Fingere di essere stato rapito in America, come lei. Portato sul Monte Lobo e gettato in una cella. La rabbia per la situazione quasi mi induce a tramutarmi di nuovo.
“No.” Allungo una mano per sistemare ancora il pezzo di stoffa, ma riesco solo a farlo scivolare giù da entrambi i seni.
Cazzo, quei capezzoli. Mi stanno implorando di prenderli in bocca, che la mia lingua dia loro l’avventura della vita.
Chiudo gli occhi e mi allontano di qualche passo per dominare il desiderio. “Sei ferita?” La domanda mi esce di bocca più brusca di quanto vorrei.
“Ho sete.”
Vado alla porta e la batto con il palmo, facendo riecheggiare il rimbombo dell’acciaio contro alle pareti della cella.
Non sono sorpreso di non sentire risposta. “Ha bisogno di acqua,” grido in spagnolo. Non riesco a vedere fuori dalla finestrella, perché all’interno è un vetro satinato che permette di guardare solo da fuori. Questa volta sento una voce sommessa. Figli di puttana. Sono là dietro che ascoltano. Almeno ho disabilitato la videocamera di merda.
“Mi chiamo Carlos. Carlos Montelobo.” Mi preparo ancora una volta per voltarmi a guardarla. “Mi spiace moltissimo che ti abbiano trattata in questo modo.”
Lei si lecca le labbra di nuovo. Deve smetterla. “Non è colpa tua.”
Ecco dove sbaglia, e io sono uno stronzo se non glielo dico.
I suoi occhi scendono dal mio volto al mio torso nudo, e arrivando alla vita prima di scattare nuovamente sul mio viso. Arrossisce.
Oh, cielo. Che dolce. Che dolce, cazzo.
Mi passo le dita tra i capelli. “Purtroppo è colpa mia.”
Lei socchiude gli occhi.
Alzo le mani. “Cioè, non sapevo che avessero intenzione di fare questo, ma quello lì è il mio branco. Dovrei essere il loro maledetto alfa. Solo che il Consiglio degli anziani mi ha fatto rinchiudere qui con te.”
“Perché?”
Lo sa il perché. Lo capisco dal modo in cui il suo sguardo scatta sulla mia erezione.
Deglutisco e mi siedo sul letto, la concentrazione ancora fissa sulle catene, come se potessi scoprire un altro modo di liberarla. “Il branco soffre per eccessiva consanguineità. È diminuito di numero e molti dei nostri non sono in grado di tramutarsi. Li chiamiamo defectuosos. La maggior parte delle femmine sono sterili e non possono riprodursi. Sapevo che il Consejo stava lavorando a un piano per introdurre nuovi accoppiamenti, ma non avevo idea che sarebbero arrivati a tanto.” Agito una mano in aria per indicare la cella.
“Vogliono che ti accoppi con me?”
“Sì.” Il senso di colpa mi cala nel petto come un’ancora, trascinandomi nel profondo.
Le sue guance arrossiscono e la vedo tirare le catene.
“Shh.” La tocco prima di rendermi conto di aver deciso di farlo, accarezzandole la guancia con il pollice. “Non ti preoccupare, bellezza. Non intendo prenderti con la forza, te lo giuro.” Vedendola continuare a tirare le catene, le afferro entrambi i polsi sotto alle manette. “Ferma.” La mia voce si fa più dura e autoritaria.
Lei si immobilizza. È la sua lupa che reagisce istintivamente al dominio di un maschio alfa, ma lo sguardo non corrisponde a tanta obbedienza.
E la reazione del corpo agli occhi.
Sì, il mio corpo è proprio qui con il suo. La sto trattenendo mentre l’uccello mi sventola come una bandiera. I suoi seni squisiti sono a pochi centimetri dal mio petto. Posso sentire il calore del suo corpo, il soffio del suo fiato contro al collo.
“Non voglio farti del male più di quanto già ti abbiano fatto.” Sollevo il mio peso da lei e lascio andare i polsi.
La vedo avvampare e vorrei lacerare la mia stessa gola quando le lacrime salgono in quegli occhi incredibilmente azzurri. Una scivola giù e le scorre sulla guancia. Allungo una mano e gliela asciugo con il pollice. “Non piangere, muñeca. Non ti farò mia e non permetterò loro di farti del male. Hai la mia parola.”
Lei scosta di colpo il volto dalla mia mano. “Perché dovrei fidarmi di te?”
È furba. “Non dovresti.”
Non sono neanche sicuro di poter onorare la parola, ma so che morirei pur di provarci. “Esatto.” La risata che le esce dalle labbra è amara.