I. Istituzione di un punto di ristoro

2452 Words
I. Istituzione di un punto di ristoroNella società moderna, l’incalzarsi delle emozioni, il succedersi delle droghe prese una sull’altra, finiscono col produrre una specie di vuoto pneumatico, e lo scontro d’armi di Fleur con Marjorie Ferrar era, nell’aprile del 1926, già quasi dimenticato. Inoltre, Fleur non dava pascolo alle chiacchiere della società, né contribuiva a mantenere desti i ricordi, poiché dopo il suo viaggio intorno al mondo, era nato in lei un vivo interesse per l’Impero, – gusto tanto fuor di moda, che aveva il vantaggio di offrire tutto il sapore, tutto l’eccitamento delle cose nuove, pur garantendo una specie di impersonalità. Coloniali, americani e studenti indiani, – gente che non era davvero sospetta di troppa galanteria, – si riunivano ora nel “salottino bimetallico”, e Fleur li trovava interessantissimi, specialmente gli studenti indiani, tanto duttili ed enigmatici, che non arrivava mai a capire se fosse lei a servirsi di loro o essi a sfruttar lei. Accorgendosi di quanto arduo fosse il Foggartismo, aveva cercato di arricchire di una seconda corda l’arco parlamentare di Michael e, con la sua conoscenza dell’India dove aveva passato sei settimane durante il suo viaggio, credette di averla trovata nell’idea del libero ingresso degli indiani nel Kenya. Le sue conversazioni con gli studenti le avevano insegnato una cosa: e cioè che era impossibile camminare in una direzione qualunque, senza prima conoscere quale fosse questa direzione. Quei giovani potevano bensì essere chiusi e misteriosi, complicati e poco pratici, ma almeno sembravano convinti che le molecole di un organismo sono meno importanti dell’organismo stesso; che essi, in particolar modo, erano meno importanti dell’India. Fleur aveva, a quanto pare, conosciuta una fede, – esperienza nuova e sconcertante. Ne parlò a Michael. «Va tutto benissimo», rispose questi, «ma i nostri amici indiani non hanno, per amore della loro fede, vissuto quattro anni nelle trincee o nella paura delle medesime, altrimenti non le potrebbero attribuire quell’importanza che credono abbia. Anche se lo volessero, le loro antenne sono ormai smussate, come è accaduto a tutti noi in Europa, che abbiamo fatto la guerra». «Non per questo la fede è meno interessante» disse Fleur seccamente. «Ebbene, cara, i profeti ci rimproverano di non essere d’accordo; ma come si può aver fede in una forza vitale così maledettamente stravagante, che ci riduce in poltiglia a milioni? Credimi: l’epoca Vittoriana ha suscitato molta fede facile e a buon mercato e per i nostri buoni amici indiani si verifica il medesimo caso: la loro India è rimasta a cuccia, dall’ammutinamento in poi, e anche questa è stata una sollevazione solo superficiale. Quindi non bisogna prenderli troppo sul serio». «No, ma mi piace vederli così convinti di servire l’India». E al sorriso di lui si accigliò: egli pensava certo che Fleur non faceva che arricchire la sua collezione. Suo suocero, che aveva studiato sul serio l’Orientalismo, inarcò le sopracciglia al pensiero di queste nuove conoscenze. «Il mio miglior amico», disse, «è giudice in India da quarant’anni. Dopo due anni di permanenza là, scrisse che cominciava a capir qualcosa in fatto di indiani; dopo dieci anni, scrisse che sapeva, ormai, tutto quello che c’era da sapere sul conto loro. Ieri ricevetti una sua lettera in cui mi dice che, dopo quarant’anni, non ne ha ancora capito nulla. E altrettanto poco essi capiscono noi. Così è: Oriente e Occidente; la circolazione del sangue è un’altra». «Quarant’anni non hanno alterato la circolazione del vostro amico?» «Nemmeno per sogno» replicò Sir Lawrence. «Ci vogliono quaranta generazioni. Per piacere, cara, dammi un’altra tazza del tuo eccellente caffè turco. Che dice Michael dello sciopero generale?» «Che il Governo non si muoverà se i sindacati non ritireranno la nota incondizionatamente». «Proprio così. E se non fosse per la circolazione del sangue inglese, sarebbe “un bel pasticcio” come direbbe il vecchio Forsyte». «Michael è per i minatori». «Anch’io, mia bella signora. Bravissima gente, quei minatori – ma disgraziatamente hanno i loro leader. E i proprietari di miniere si trovano nella stessa condizione. Questi famosi leader finiranno col far rompere il naso alla nazione. È un prodotto poco comodo, il carbone; prima ci ha tinto la faccia, e ora c’è il caso che ci procuri qualche occhio pesto! È poco allegra, la faccenda! Bè, arrivederci! Un bacetto a Kit e dì a Michael di tenere la testa a posto». Era proprio quello che Michael stava cercando di fare. Scoppiata la guerra Europea, quantunque già in età da combattere, egli era ancora troppo giovane per apprezzare il fatalismo che all’avvicinarsi della crisi invade l’umana natura. L’apprezzava ora, davanti allo sciopero generale, come pure capiva quanto importante sia per l’uomo il salvare le apparenze. Aveva osservato che ambedue le parti avevano espresso l’intenzione di favorire la parte avversa in tutti i modi, senza fare, s’intende, concessioni di sorta; che i due gridi di guerra: “Più ore di lavoro e salario minore”, “Non un minuto di più e non un centesimo di meno”, si facevano reciprocamente la riverenza e diventavano sempre più distanti l’uno dall’altro man mano che si avvicinavano. E ora, con la malcelata impazienza della sua natura di argento vivo, Michael notava i lenti e cauti approcci di quei tipici britanni nelle cui mani stava ogni possibilità di mediazione. Allorché, quel memorabile lunedì, non solo quei signori del grido di guerra, ma anche gli stessi tipici britanni si trovarono a un tratto nella necessità di esser salvati, egli comprese che tutto era perduto. Tornato a mezzanotte dalla Camera dei Comuni s’indugiò a guardare sua moglie addormentata. Doveva svegliarla per dirle “ci siamo”, oppure no? Ma a che scopo turbarle il primo sonno? Lo avrebbe saputo sempre abbastanza presto. Poi, non lo avrebbe preso sul serio. Passando nel gabinetto di toilette si avvicinò alla finestra che guardava sulla piazza oscura. Sciopero generale fra dodici ore! Ecco una prova per il carattere inglese. Il carattere inglese? Da vari anni Michael cominciava a sospettare che le apparenze fossero fallaci; che deputati, frequentatori di teatri, piccole signore che girellavano con le vesti corte aderenti alle piccole persone, pletorici generali sprofondati nelle loro poltrone, poeti stizzosi e carezzati, predicatori in pulpito, vagabondi della strada, e soprattutto la Stampa, non fossero i rappresentanti della disposizione di spirito nazionale. Il senso di humour col quale il britannico sfida il destino, senso che cresce e si perfeziona man mano che le cose vanno peggio, avrebbe vinto di nuovo, ora: egli lo sentiva. E ritirandosi dalla finestra, si spogliò e rientrò in camera. Fleur era sveglia. «Dunque, Michael?» «Lo sciopero è dichiarato». «Che seccatura!» «Già, avremo da fare». «A che serve aver nominato quella Commissione e pagato tanti sussidi, se non si è potuto neppure evitare questo?» «Figliuola mia, questo sarebbe semplice senso comune, quindi assolutamente inutile». «E perché non possono venire a un accordo?» «Perché devono salvare le apparenze. Salvare le apparenze è il motivo che ha maggior forza al mondo». «Come sarebbe a dire?» «Ebbene, vedi, è stato quello che ha provocato la guerra; e ora provoca lo sciopero. Se non ci fossero le apparenze da salvare, non ci sarebbe ormai più vita sulla terra». «Non dire assurdità». Michael la baciò. «Ora dovrai fare qualche cosa, immagino», disse mezzo addormentata Fleur. «Non potrete andare avanti a forza di chiacchiere, alla Camera, finché durerà lo sciopero». «No, non faremo altro che guardarci in cagnesco e pronunciare la parola “formula” a determinati intervalli. «Vorrei che avessimo anche noi un dittatore». «Io no. Alla lunga lo si sconta. Guarda Diaz e il Messico; o Lenin e la Russia, o Napoleone e la Francia; e anche Cromwell e l’Inghilterra, del resto». «Carlo II» mormorò Fleur affondando la testa nel cuscino, «era piuttosto simpatico». Michael rimase sveglio per un po’ di tempo, turbato dal bacio, poi si addormentò ma per svegliarsi poco dopo. Salvare le apparenze! Nessuno voleva muovere un dito, a causa delle apparenze. Per quasi un’ora stette a pensare a una via di uscita per tutti quanti, poi si addormentò. Si svegliò alle sette con la sensazione di aver perduto il suo tempo. Troppi motivi e sentimenti e pregiudizi personali covavano sotto l’apparente interesse per il paese e il desiderio di trovare una “formula”. Come prima della guerra, anche adesso vi era una bramosia di umiliare il nemico e di atterrarlo; ognuno voleva salvare le proprie apparenze, a spese di quelle degli altri. Subito dopo la colazione uscì. Sul ponte di Westminster vi era un gran traffico di gente e di automobili, ma non si vedevano né tram né autobus. Invece passavano grandi camion, carichi o vuoti. Alcune edizioni speciali erano già uscite e uomini macilenti vendevano un foglio di dimensioni ridotte, intitolato La Gazzetta Britannica. Ognuno aveva un’aria di giovialità forzata, come di sfida. Michael si diresse verso Hyde Park. Possibile che nella nottata fosse sorto tutto questo arruffio di casotti e di tende! Accanto al letargo di pensiero e di fantasia che aveva prodotto questa crisi nazionale, quale spiegamento di meravigliose energie pratiche! “Eppoi diranno che non sappiamo organizzare!” pensò Michael; “venite un po’ a vedere se è vero! Sempre troppo tardi, però”. Proseguì verso una grande stazione ferroviaria; era piantonata, ma i treni giravano già, per opera del personale volontario. Girellando qua e là fra gli operai parlava ora con l’uno, ora con l’altro: “Per Bacco”, pensò, “questa gente ha bisogno di mangiare! Ci vorrebbe un servizio di vettovagliamento”. E ritornò in tutta fretta a South Square. Fleur era in casa. «Mi aiuteresti a organizzare un posto di ristoro alla stazione per il personale volontario?» Notando l’espressione sul viso di lei, si affrettò a proseguire: «Ci vorrà un gran lavoro e bisognerà cercare aiuti dove si può. Credo di poter contare su Nora Curfew e il suo gruppo di Bethnal Green, almeno per cominciare; ma ci vogliono la tua intelligenza e il tuo savoir faire con gli uomini». Fleur sorrise: «Va bene», disse. Presero l’automobile, – un regalo di Soames, al ritorno dal loro giro del mondo – e si misero in giro. Reclutarono Nora Curfew e il suo gruppo a Bethnal Green e durante il primo incontro di Fleur con colei che ella poteva forse considerare una rivale, Michael osservò come dopo cinque minuti l’avesse giudicata “troppo per bene” per ritenerla pericolosa. Le lasciò a South Square in confabulazione su particolari gastronomici e si mise in moto per calmare la naturale opposizione dell’ufficialità. Era come tagliare il filo di ferro spinato nel buio della notte prima di un’azione. Ne tagliò una bella quantità e poi andò alla Camera. L’ambiente, pieno del ronzio di “formule” non formulate, era il meno allegro di tutti quelli che aveva visto durante la giornata. Ognuno parlava di “minaccia per la Costituzione”. Il Governo aveva un muso più lungo che mai e non si poteva far nulla, – dicevano – finché non fosse in salvo. Le espressioni “libertà di stampa” e “a tiro di pistola” venivano usate fino al disgusto. Si imbatté in Mr. Blythe che stava meditando sulla morte del suo diletto Outpost e se lo portò a South Square, per mangiare un boccone, alle nove di sera. Fleur era tornata proprio allora con il medesimo scopo. Secondo Mr. Blythe la soluzione sarebbe stata di formare un gruppo di benpensanti. «Benissimo, Mr. Blythe, ma che cosa vuol dire “benpensante” nell’uso comune dell’idioma di oggi?» «Tutto si riassume, in fondo, nel Foggartismo». «Oh», disse Fleur, «non parliamo di questo; nessuno ne vuol più sapere. Sarebbe come dire alla gente di oggigiorno di vivere come San Francesco d’Assisi». «Mia cara signora, se Francesco d’Assisi avesse parlato così, oggi non udiremmo più parlare di San Francesco». «Ebbene, che risultati pratici ha ottenuto? È una curiosità e niente altro. Tutte queste grandi figure spirituali sono soltanto curiosità. Guardate Tolstoj, per esempio; e magari anche Cristo!» «Mi pare che Fleur non abbia torto, Blythe». «È una bestemmia!» disse Mr. Blythe. «Non so, Blythe; ho osservato ultimamente i bambini dei quartieri poveri, cresciuti nella strada, e sono arrivato alla conclusione che è stato questo ad arrestare il Foggartismo. Osservate i bambini e vedrete quale attrattiva abbia la strada. Finché un bambino potrà avere una strada dove giocare, non la lascerà mai. E badate che i bassifondi hanno una grande influenza civilizzatrice; e noi ne abbiamo in quantità maggiore che gli altri paesi, come anche più bambini che vi vengono allevati, e siamo la nazione più civile del mondo. E lo sciopero lo proverà! Vi sarà meno spargimento di sangue e più buon umore che in qualunque altro paese; e tutto questo lo dobbiamo alla cosiddetta “strada”». «Rinnegato!» esclamò Mr. Blythe. «Ebbene», replicò Michael, «il Foggartismo, come tutte le religioni, non è che la super-espressione di una semplice verità! Siamo stati troppo assoluti, Blythe, e quante conversioni abbiamo fatto?» «Nessuna», ribatté Mr. Blythe. «Ma se non riusciamo a togliere i bambini dalla strada, non c’è più Foggartismo». Michael si agitava e Fleur disse pronta: «Quello che non è mai esistito non può non esserci più. Vieni con me a vedere le cucine, Michael? Le hanno lasciate in uno stato di sporcizia indescrivibile. Sapresti come si distruggono gli scarafaggi, Michael?» «Chiama un omino specializzato in scarafaggi, una specie di pifferaio di Hamelin, che li adeschi e li conduca al loro destino». Giunti sul luogo del futuro posto di ristoro furono raggiunti da Ruth La Fontaine, che era nel gruppo di Nora Curfew e scesero nelle cucine oscure e puzzolenti. Michael accese un fiammifero e cercò la chiavetta della luce. Puah! Sorpreso dalla luce, tutto uno sciame nero e brulicante copriva il pavimento, le pareti, le tavole. Michael aveva abbastanza controllo su se stesso per poter osservare la faccia dei suoi tre compagni, il cipiglio di Fleur, la bocca aperta di Mr. Blythe, il sorriso nervoso della bruna e bella Ruth La Fontaine. Sentì Fleur che gli stringeva il braccio. «Che schifo!» Gli insetti, disturbati, si erano ritirati nei loro buchi o avevano smesso di correre; qua e là qualcuno, isolato, pareva stesse a guardarli. «E pensate un po’», esclamò Fleur «che qui hanno fatto da mangiare per tanti anni! Beh!» «Dopo tutto», disse Ruth La Fontaine sorridendo con raccapriccio, «le cimici sono ancora peggio». Mr. Blythe aspirò una gran boccata di fumo. Fleur mormorò: «Che fare, Michael?» Era pallida e respirava un po’ affannosamente; e Michael stava pensando: “È troppo! bisogna che la porti via di qui!” quando improvvisamente essa afferrò una scopa e si slanciò contro un grosso scarafaggio sulla parete. In un batter d’occhio si misero tutti a spazzare, dar la caccia, ammazzare, spalancando porte e finestre.
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