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Cerca il target. Non perdere di vista il target.
Non era difficile. Snow, dalla sua postazione, lo vedeva benissimo. Impossibile sbagliarsi. Primo, era alto. Poco meno di un metro e novanta, se i suoi calcoli erano esatti. Secondo, era solo. Certo, ogni tanto scambiava due parole con qualcuno, ma non era accompagnato. Terzo, si muoveva in un modo del tutto peculiare, come se invece di camminare stesse sorvolando l’area.
Snow prese distrattamente un involtino di natura non specificata con la sinistra e riprese la sua osservazione.
Il rinfresco faceva davvero pena, decise, dopo il primo morso. Ci si sarebbe aspettati qualcosa di meglio dal ricevimento di inaugurazione di una nuova linea assicurativa. Persino a New York.
Snow, interiormente, non poteva fare a meno di disprezzare la cosiddetta Grande Mela. La città dei servizi. Non c’era praticamente niente che un consumatore non potesse consumare da quelle parti, no? C’era gente che ti organizzava il matrimonio, se volevi sposarti, e gente che ti aiutava a scegliere che cosa indossare per le riunioni di lavoro.
Esistevano società specializzate nella compravendita di software, hardware, azioni, bevande, sottaceti e cavalli da corsa.
Naturalmente Snow era perfettamente d’accordo nel dire che non esisteva un posto migliore al mondo per svolgere il suo lavoro, ma questo non significava che quella città puzzolente dovesse anche piacerle.
Inghiottì definitivamente l’involtino al polistirolo che si era incautamente infilata in bocca e riprese a scansionare la sala per non perdere di vista il suo target.
Lo ri-inquadrò quasi subito. Era vestito di nero e terribilmente magro, ma questo non era un buon marker di discriminazione. A quella festa erano tutti magri e vestiti di nero, Snow compresa.
New York, pensò di nuovo, con una smorfia.
Controllò l’orario sull’orologio argentato che aveva al polso e decise che era il momento di mettersi in moto.
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Il novanta per cento dell’imprevisto era pianificato, naturalmente. Ron, nel suo completo da cameriere virtualmente identico a quello di ogni altro cameriere in sala, aveva spinto
“involontariamente” il suo bersaglio addosso a lei, proprio mentre aveva in mano una tartina coperta di qualcosa di bianco e molliccio.
Buffo come fin dal primo momento le cose non fossero andate come avrebbero dovuto.
“Bowie” Noyle, dimostrando involontariamente tutta la propria abilità, aveva spostato il peso del proprio corpo da un piede all’altro, senza nemmeno andare vicino al perdere l’equilibrio.
Anche Snow, però, era una professionista e, fingendosi presa alla sprovvista dai suoi movimenti bruschi, aveva fatto un passo indietro, incespicando.
Stava quasi per cadere quando aveva sentito una mano chiudersi sul suo avambraccio. Molto bene, aveva pensato, prima ancora di alzare lo sguardo, non può essere che lui, come previsto. Chi altri sarebbe riuscito ad afferrarla in una frazione di secondo?
Snow era confortata dal fatto che avesse deciso di intervenire per aiutarla. Per prima cosa aveva evitato di dover cadere per terra, che sarebbe stato l’ultimo approccio possibile per quella serata.
Secondariamente dimostrava che nemmeno lui era completamente insensibile alle difficoltà altrui, almeno a livello di riflesso automatico.
Sollevò lo sguardo e lo puntò dritto negli occhi blu oltremare che si aspettava di trovare. Sottili, allungati, e con una certa piega dura, questi le restituirono lo sguardo senza sospetto, ma anche senza interesse.
«Bei riflessi» mormorò Snow, lasciando che le vocali le scivolassero sul palato con il suo miglior accento della Louisiana francese. «Grazie».
« Pas de quoi» fu la risposta, inaspettata.
Snow fece scivolare via il proprio polso dalle dita di lui e sorrise vagamente.
«Mi procurerebbe un bicchiere di champagne?» si lisciò con un tocco minimo i capelli sul lato della testa. Ron era scomparso. Ottimo.
“Bowie” Noyle allungò distrattamente una mano verso il vassoio di un altro cameriere, curandosi appena di nascondere che era seccato.
«Quello non è champagne, signor Noyle» disse lei, avvicinandosi di un passo e protendendo la bocca verso il suo orecchio. Lo vide irrigidirsi leggermente nel sentire pronunciare il suo cognome.
«Intendevo un calice di vero champagne, se non le dispiace».
Questa volta l’occhiata fu meno superficiale. Snow si sentì scansionare da capo a piedi in un’unica soluzione. Finì per ricevere un impercettibile cenno di assenso e un altrettanto minimale invito ad essere seguito.
Evidentemente era riuscita a interessarlo almeno vagamente, e senza attirare l’attenzione.
Si era preparata apposta per quello. Innanzitutto aveva deciso di occultare qualsiasi particolare voluttuoso del proprio aspetto. Indossava un abito che anziché esaltare la curva del suo seno la minimizzava, che nascondeva l’incavo delicato del suo collo e non metteva affatto in risalto il suo didietro piccolo e rotondo. Era stata attenta a nascondere ogni sfumatura di colore dalle guance e a far passare inosservate le labbra provocanti.
In realtà questa era una Snow talmente vicina a quella originale che lei stessa non si era mai fidata di farsi vedere in giro in questo modo.
Di solito nel suo tempo libero indossava vestitini campagnoli con fantasie floreali, o adottava un look da marine in libera uscita. Ma così vestita si sentiva a suo agio.
Seguì Bowie fuori dalla sala dell’inaugurazione, fino ad arrivare all’area non riservata dell’hotel.
I pavimenti erano coperti da una spessa moquette a disegni orientaleggianti che iniziava a essere consumata nei punti di maggior passaggio, le pareti erano rosa pallido, illuminate da pretenziosi lampadari a muro in vetro soffiato.
Bowie si avvicinò al bancone del piccolo bar in cui erano approdati e chiese due bicchieri di Dom Perignon. Poi si andò a incastrare dietro a un tavolino trasparente, in un angolo. La luce soffusa conferiva al suo volto scarno un sospetto di calore.
Snow si accomodò di fronte a lui, in modo da precludergli una parte della visuale.
«Si tratta di lavoro, suppongo» entrò in argomento Bowie, la faccia imperscrutabile. Non aveva assolutamente niente in comune con il cantante, quindi Snow immaginava che il nomignolo fosse dovuto al coltello.
Finse di guardarsi intorno con aria ansiosa. Negli anni aveva raffinato le proprie capacità di recitazione fino a riuscire a fingere di essere una persona in ansia che cerca di non dimostrarsi ansiosa. Si esibì nel suo piccolo numero proprio in quel momento.
I bicchieri di champagne arrivarono.
Snow ne prese un sorso e fissò il suo interlocutore da sopra il bordo del calice.
«Lavoro, ma il mio lavoro, signor Bowie».
Lo sguardo dell’altro si fece ancora più duro, e quasi circospetto.
«Si spieghi meglio».
«Sono una reporter».
La bocca dell’altro si increspò in un piccolo sorriso di scherno. «Non sia sciocca».
«Allora diciamo che mi è stato commissionato un reportage».
Di nuovo uno sguardo circospetto. «Su che cosa? Tanto per curiosità, come fa a conoscere il mio nome?».
Snow si strinse nelle spalle, mentre teneva stretti i manici della borsetta con entrambe le mani.
Ansia, malamente celata. «Lei è quello che ho trovato, signor Noyle. Il reportage è sulla sua...
professione».
«Non posso negare che stuzzica il mio ego. Ma lei conosce anche il mio nome… credo che arriveremo a una soluzione soddisfacente per tutti».
Dopo aver pronunciato queste criptiche parole Bowie si alzò in piedi e, abbandonando il suo drink sul tavolino, si avviò verso l’uscita.
Snow, appoggiando a sua volta il bicchiere, si concesse un sorrisetto di soddisfazione.
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Doveva stare molto attenta a non far loro veramente male. Tenere sotto controllo i propri riflessi era sempre un’impresa estenuante.
Non era credibile che una donna accerchiata da cinque uomini in un vicolo non provasse a fare qualcosa. Scappare, difendersi.
Però non sarebbe nemmeno stato credibile che una donna fratturasse cinque setti nasali in cinque secondi. La donna media non lo fa, non lo sa fare.
Magari la classica investigatrice privata con contatti equivoci e pronta ad accettare qualsiasi lavoro (lei, la sua copertura) avrebbe potuto saperne un po’ di arti marziali.
Mise in atto un esitante tentativo in questo senso, facendo ben attenzione a non caricare il peso nei punti giusti. Come immaginava venne afferrata per braccia e gambe e portata via a forza. Provò a urlare, o meglio, provò a far vedere che voleva urlare, e qualcuno le tappo’ la bocca. Cercò di liberare braccia e gambe. Ovviamente ci provò in modo da non riuscirci.
In poco meno di un minuto si trovò chiusa in uno spazioso bagagliaio, polsi e caviglie legati con il nastro adesivo, rannicchiata su un fianco.
Davvero, non era la posizione più scomoda che fosse mai stata costretta ad assumere. Anzi, rispetto ad alcune esperienze passate, questa era moderatamente buona.
Quando rivide il mondo esterno, se così si poteva dire, si trovava in un parcheggio sotterraneo un po’ più a nord di Borough Park, secondo i suoi calcoli. Snow si chiedeva perché qualcuno dovesse buttare via litri di benzina cercando di confondere le idee a un passeggero nel bagagliaio. O uno era in grado di orientarsi con le svolte e con l’asfalto, o non ne era in grado.
Lei naturalmente ne era in grado, non importava quanti giri le facessero fare. Blanche, invece, l’investigatrice tuttofare che interpretava, non ne era in grado. Che idiozia… se le volevano far perdere l’orientamento, avrebbero dovuto portarla elicottero.
Dal parcheggio fu trascinata dentro un ascensore. La manutenzione era affidata a una ditta di South Brooklin, naturalmente, ma Snow non ritenne necessario impararne indirizzo e numero di telefono a memoria. Era solo un’ulteriore conferma di dove si trovasse.
Il piano a cui l’ascensore si fermò (il decimo) era candido e completamente privo di arredamento.
Snow si lasciò spingere attraverso stanze e stanze illuminate al neon, vuote e polverose.
Alla fine venne fatta entrare in un piccolo ambiente quadrato, munito di una porta di sicurezza in acciaio. La porta aveva una finestrella (niente vetro, solo sbarre) per guardare dentro e un piccolo passavivande a una trentina di centimetri d’altezza.
Tre dei cinque uomini la seguirono all’interno, mentre due aspettavano fuori.
Quello alto e biondo che in precedenza l’aveva spinta lungo i corridoio tagliò via il nastro adesivo che le bloccava i polsi e le liberò la bocca, mentre gli altri due la tenevano sotto tiro con le pistole.
Poco dopo uscirono anche loro e la porta si chiuse.
Snow sapeva perfettamente che cosa sarebbe successo adesso e non ne aveva nessuna paura.
Blanche però, probabilmente doveva avere le idee molto meno chiare al riguardo.
Quindi Snow pensò bene di rincantucciarsi in un angolo, le ginocchia strette al petto e lo sguardo a metà strada tra la furia e il terrore.
«Signorina Detour?». La voce proveniva da fuori della stanza, ma nella feritoia non si vedeva nessuno. «Si tolga i vestiti e li metta nel passavivande, per favore».
Snow detestava la perdita di tempo a cui la sottoponeva il fatto di essere Blanche, ma decise comunque di farsi ripetere l’ordine una seconda volta prima di eseguirlo.
Poi si sfilò tutti i vestiti e li infilò nel passavivande.
In fondo, decise, lei e Blanche non avevano un carattere molto diverso. A Blanche, mancava l’esperienza, l’addestramento e un paio di gocce di sangue freddo, ma per il resto era una ragazza intelligente e dai nervi saldi.
«Allarghi le braccia e ruoti lentamente su se stessa».
Snow e Blanche eseguirono gli ordini senza discutere.
«Sta per entrare una persona per perquisirla. Appoggi le mani al muro, per piacere».
La persona si rivelò essere il medesimo uomo alto e biondo che l’aveva slegata. Aveva con sé una valigetta di tipo medico e indossava un paio di guanti in lattice.
Appoggiò la valigetta a terra e la aprì. Snow si sentì frugare attentamente tra i capelli. L’uomo era almeno venti centimetri più alto di lei e riusciva a guardarle tranquillamente lo scalpo. L’uomo esaminò con attenzione ogni centimetro della sua testa e delle sue orecchie, poi le raccolse i capelli in uno chignon e li legò con un elastico.
«Si volti. Apra la bocca per favore».
Aveva una voce morbida, affettata, l’intonazione di qualche paese dell’Est euoropeo.
Snow aprì la bocca e vide l’uomo che controllava con uno specchietto e un martelletto che non avesse niente nascosto sotto la lingua o nei denti.
«Perfetto. Riappoggi le mani sul muro, prego, e metta un piede qua…» le diede un colpetto gentile con la scarpa per farle spostare un piede «…l’altro qua…».
Una volta che l’ebbe fatta mettere in posizione iniziò a farle scorrere le mani sulla pelle, partendo dalle braccia e andando a scendere. Snow aveva un paio di cicatrici su un fianco. L’uomo si accovacciò accanto e lei e scrutò attentamente la zona, schiacciandola delicatamente con le mani guantate. Snow sapeva che stava cercando innesti sottocutanei.
«Si rilassi; prego» disse l’uomo, una volta finito di esaminare la sua pelle. Si spalmò sui guanti un po’ di gel e le infilò un dito nella v****a, entrando lentamente. Tastò delicatamente intorno e lo sfilò. Mise un altro po’ di gel sul dito e ne spalmò un po’ anche sul suo ano. Lo infilò molto cautamente, toccandone le pareti interne. Ovviamente a nessuno piacciono le perquisizioni corporali, ma Snow doveva riconoscergli un certo professionismo.
Alle fine l’uomo fece due passi indietro, si sfilò i guanti e li buttò dentro la valigetta. Uscì senza dire altro.
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Le avevano ridato i vestiti e l’avevano accompagnata di nuovo all’ascensore. Erano saliti di due piani. Adesso gli uomini che la scortavano si erano ridotti a due e l’avevano guidata verso una porta di legno scuro, blindata.
L’avevano aperta e l’avevano lasciata sull’uscio. L’avevano chiusa di nuovo dentro.
Snow si era guardata intorno. Si trovava in un piccolo appartamento ammobiliato, privo di finestre.
L’ingresso dava su un salotto dalle pareti chiare, dal pavimento coperto di moquette blu. C’era un divano di stoffa e vimini, un tavolino di plastica e due poltrone di stoffa.
La stanza accanto era una camera da letto altrettanto essenziale, munita di bagno.
Snow notò una certa carenza di oggetti appuntiti e utilizzabili come armi e telecamere a circuito chiuso su tutte le pareti. Iniziava a provare una certa ammirazione per come gestivano la sua presenza, o la presenza di prigionieri vivi in generale.
Si lasciò cadere sul letto e scoprì che il materasso era morbido e le lenzuola pulite. Su una piccola scrivania di plastica, stampata in un blocco unico come quelle per i bambini piccoli, era appoggiato un computer portatile. Giusto: doveva scrivere dei reportage.
Aveva appena chiuso gli occhi quando aveva sentito aprirsi la porta.
«Signorina Detour?» l’aveva chiamata la voce gelida di Bowie.
Snow si alzò dal letto e tornò nel salottino. Bowie era seduto sul divano di vimini, le gambe accavallate. Indossava un maglione nero con il collo alto e dei pantaloni dello stesso colore di cotone. La guardò spassionatamente e le fece cenno di accomodarsi.
Snow obbedì, accavallando le gambe a sua volta.
«Lasci che le descriva nel dettaglio la sua posizione…» iniziò Bowie.
«Ha mai pensato che potrei anche non essere stupida?» lo interruppe lei. Un pizzico di grinta alla Blanche. «Resterò vostra ospite…» un smorfia a quest’ultima parola «…per tutto il tempo necessario a scrivere e spedire i miei reportage, in modo che la polizia non possa rintracciarmi e interrogarmi. Dopo di che farete in modo di rendermi complice di qualcosa, in modo che non mi convenga denunciarvi. Se queste condizioni non mi piacciono posso anche andarmene… o meglio, questo è quello che dirà lei. Invece qualcuno mi aspetterà fuori dal palazzo e mi toglierà dalla circolazione».
Gratificò Bowie di un sorrisetto velenoso.
«Bene. Mi pare che abbia capito perfettamente la sua situazione» ricambiò il gelo lui. «È inutile aggiungere che tutto questo sarà a sue spese, quindi».
«Del giornale che mi ha commissionato il lavoro, per essere precisi».
«Landscapes».
«Esatto. Telefonerò alla redazione. Ovviamente telefonerò anche ad altre persone, per giustificare la mia assenza. Non è assolutamente il caso che qualcuno si metta a cercarmi, giusto?».
Bowie inclinò la testa da una parte, seccato.
«Perché, c’è qualcuno che potrebbe chiedersi che fine ha fatto?» chiese, con l’intento di offendere.
La cosa positiva di essere Blanche era che difficilmente Snow si sarebbe potuta offendere al posto suo. La cosa positiva di essere Snow, invece, era che lavorava troppo seriamente per offendersi in generale.
«Il mio portiere» rispose (il portiere di Blanche). «I miei due dipendenti part-time, George Twain…».
L’altro sorrise vagamente. «Ah, il fidanzato… avete intenzione di sposarvi se non sbaglio?».
Snow inarcò un sopracciglio. Quello non era nella copertura. Nella copertura George Twain (in realtà Ron) era solo un tizio con cui Blanche filava. Che l’altro la credesse impegnata poteva essere un problema. Ma Blanche si sarebbe mai fatta scappare l’opportunità di confondere un po’ le acque?
«Potrebbe anche darsi» decise per una mediazione, alla fine.
Snow conosceva e rispettava il concetto che se devi mentire su qualcosa ti conviene essere onesto su tutto il resto, ma sapeva anche che spesso le cose diventavano molto più complicate del previsto, e quindi avere quattro strati di menzogna come cintura di sicurezza poteva non essere una cattiva idea.
«Se è tutto chiaro…» disse Bowie, alzandosi. Visto così, in un ambiente al limite dello squallore, sembrava decisamente stravagante. Era ricco come un Creso, eppure vestiva come uno stipendiato da duemila dollari al mese. Aveva capelli neri e lucidi e (secondo il parere spassionato di Snow) veramente incantevoli, ma li portava tagliati a ciuffi come un ragazzino nelle mani di un parrucchiere di provincia. Aveva la pelle del viso sciupata, spenta, come se avesse bisogno di un trattamento con una crema ristrutturante. E nel complesso era veramente sottopeso.
Si alzò a sua volta e gli tagliò la strada. Al suo contrario, per quanto nascosta in abiti che non la valorizzavano, Snow era decisamente nel suo peso forma, con pelle, capelli e unghie perfettamente curati e con una muscolatura scattante che non toglieva niente alle sue curve di donna. Non era casuale. Essere almeno un po’ attraente le serviva di mestiere.
«Non è tutto chiaro. Lei mi ha detto che cosa vuole, ma io non ho ancora elencato le mie condizioni. Primo: nessuna censura su quello che scrivo. Cambierò nomi, luoghi, descrizioni ecc, ma se a qualcuno non sta bene come parlo di qualcosa… bè, sono affari suoi. Secondo: se devo restare chiusa qua dentro per lunghi periodi mi servono molti più oggetti di quelli che ci sono.
Scriverò un elenco e qualcuno me li procurerà, prendendoli dal mio appartamento o acquistandoli.
In fondo, con i miei articoli indirettamente vi farò pubblicità Terzo: devo avere il permesso di intervistare chi mi pare, su qualsiasi argomento. E devo essere presente al vostro prossimo lavoro».
Bowie incrociò le braccia ed emise una risata sprezzante. «Qualcos’altro?».
«O così o me ne vado all’istante. Voi dovete prendere le vostre precauzioni, io le mie».
«Ha detto lei stessa che non arriverebbe viva al piano terra».
«Ho detto che questo è quello che avrebbe voluto lei. Tutto quello che desidera si avvera, signor Bowie?».
«Di solito sì».
Snow lo guardò dritto negli occhi. Non uno sguardo alla Blanche, questa volta, ma uno sguardo alla Snow. Convincente.
«Ma le piacerebbe un po’ di pubblicità. L’omicidio-fai-da-te dilaga, non è vero? Le cose non devono andare benissimo, se ha deciso di accettare la mia presenza. Anzi, devono andare piuttosto male. Quindi forse le converrebbe accettare le mie condizioni e non rendere necessario verificare se davvero tutti i suoi desideri si avverano. In questo modo, anzi, la sua teoria sarebbe confermata.
Vuole pubblicità, ottiene pubblicità».
Prima il bastone, poi la carota, pensò Snow. Il bastone l’aveva usato, adesso era il momento di compiacerlo un po’. Gli si avvicinò di un passo e gli rivolse un sorriso smagliante, sfiorandogli appena, con la punta delle dita, il maglione.
«Andiamo, signor Bowie… siamo entrambi liberi professionisti. Lei gestisce un’attività molto delicata, naturalmente, e capisco le precauzioni che ha ritenuto necessario prendere… come vede non mi sono lamentata…» Ancora un po’ più vicina, ma non più di un centimetro, leggermente tesa verso di lui. Annusami, mentre pensi alle dita del tuo dipendente che mi perquisiscono. E poi via indietro, prima che ti arrabbi per l’eccesso di confidenza. «…Ma anche anch’io ho degli obbiettivi da raggiungere. Se pensa alla situazione attuale come a lei che tiene prigioniera me non può funzionare. Inizi a considerarla una libera collaborazione…»
Snow finì per incrociare le braccia a sua volta, rispecchiandolo. Nella sua postura, però, c’era qualcosa di più morbido, arrendevole. Qualcosa che gli trasmettesse l’idea di essere comunque nella posizione di comando.
Bowie sbuffò e fece un gesto vago nell’aria.
«Lei faccia quella lista, poi si vedrà. Se ha bisogno di qualcosa può premere il pulsante che è sul muro».
Si sfilò un mazzo di chiavi da una tasca e aprì la serratura dell’appartamento.
«Ci vedremo domattina, se avrò tempo. Per oggi ha già avuto le sue esperienze da raccontare, no?».
Snow fissò la porta che si chiudeva alle sue spalle e iniziò a pensare che Bowie fosse più elastico di quel che lasciava immaginare. Più elastico e più pericoloso.