L’incrociatore-1

2020 Words
L’incrociatore Abbandonato il disalberato e sdruscito legno mercantile, i due prahos pirateschi, con due uomini di meno, ripresero la corsa verso Labuan, l’isola della Perla, che Sandokan ormai voleva ad ogni costo vedere. Il vento dell’ovest era inoltre propizio per portarsi al nord-est e giungere all’indomani allo spuntar del sole e forse la stessa notte all’isola. Bisognava però agire con estrema prudenza poiché, per quanto fossero forti e risoluti, potevano incontrare più di un incrociatore che sbarrasse la via o almeno inceppasse la spedizione. Tutti sapevano che il regno di Borneo, la cui capitale non distava gran tratto, benché si prestasse volentieri alla pirateria e mantenesse prahos pirateschi per proprio conto, poteva, fosse solo per attirarsi le simpatie della nuova colonia, armare la sua flotta e lanciarla contro Sandokan. Tutti sapevano che quelli di Borneo erano gelosi di quelli di Mompracem che si erano fatti una sì formidabile nomea. I due prahos presero arditamente la pericolosa via senza esitare. Sandokan, fatti ripulire i ponti, raggiustare gli attrezzi, tappare i fori delle bombe, fatto dispensare il pranzo del mezzodì, accese la pipa che somigliava a un narghilé turco e andò a sedersi sul medesimo cannone, dove il povero Ragno di Mare si era così generosamente sacrificato per lui. Egli rimase mezz’ora senza dir parola, immobile, concentrato, assaporando la calma dopo la pugna, seguendo con occhio distratto le mosse del suo equipaggio che terminava di raggiustare le ultime gomene danneggiate dalla mitraglia. D’improvviso si scosse e piantando gli occhi su Patau, gli fe’ cenno d’avvicinarsi. Una profonda ruga solcava l’ampia sua fronte e fumava con maggior furia di prima. Egli guardò per alcuni minuti e in silenzio il Malese, che non ardiva fiatare sospettando qualche rabbuffo. — Dov’eri nel momento dell’abbordaggio? — chiese egli alfine con voce calma e grave ma che tradiva un lampo di collera. — Al vostro fianco — rispose il Malese. — Hai veduto cadere il Ragno di Mare? Pensa bene e parla meglio. Chi l’uccise? Il Malese rabbrividì fino alla punta dei capelli e se fosse stato bianco sarebbe diventato pallido come un morto. Se si fosse trattato di precipitarsi all’abbordaggio dove la mitraglia mordeva e sibilava se ne sarebbe infischiato della paura, fosse pure stato sicuro di lasciarvi la pelle, ma dinanzi a Sandokan, cui bastava uno sguardo per inchiodare su due piedi i più ricalcitranti, egli sì, tremava. — Ebbene? — domandò qualche istante dopo Sandokan senza abbandonare il suo posto, né la canna della gran pipa e senza nemmeno guardare in volto il Malese che tremava come avesse la febbre. — Una palla di cannone — arrischiò Patau e dette indietro mentre l’equipaggio sogghignava contento che quel Malese del diavolo fosse stato innalzato fino a un grado così invidiato per essere precipitato chi sa dove da una sola parola del terribile padrone. Non si amava a bordo Patau perché derubava silenziosamente i camerati valendosi della sua autorità, e senza che alcuno osasse farne parola al capitano. Si aveva paura di entrambi, ma ben differentemente. Sandokan alla risposta del Malese aveva fatto un legger movimento, ma fu tutto. Egli continuò: — Il tuo posto era accanto a me giacché non ti avevo affidato il timone. Quando noi giungeremo a Mompracem, ti farai fucilare! Vattene! Non si poteva scherzare con un simile uomo, né arrischiare parola. Commettere una vigliaccheria a bordo sarebbe stato un far ruggire la Tigre. Il Malese senza batter ciglio, conservando quella fierezza in lui abituale, si allontanò come se si trattasse di un nonnulla. Sandokan lo richiamò. — Potrebbe darsi che si avesse a incontrare l’incrociatore — diss’egli. — Mi occorre un uomo: tu puoi essere quello giacché ti ho spacciato per Mompracem; morire combattendo è un favore che io solo accordo ai coraggiosi. Alla prima cannonata, arresterai la palla col tuo petto. — Grazie, capitano! — esclamò il Malese e contento della sentenza del suo formidabile capo, di cui nessuno avrebbe osato mettere in dubbio l’infallibilità, se ne andò al timone. — Sabau! — gridò egli guardando sempre il mare e come parlasse a sé stesso. Un altro Malese di bassa statura, ma di membra gagliarde, dalla faccia quadra anziché no, ossuta, dal naso schiacciato e grosso, dagli occhi piccoli ma brillanti, dalla bocca grande con le labbra grosse, la tinta fosca e vestito con un solo paio di corti calzoni rossi, si fece innanzi dondolandosi comicamente. — Tu non sei stato il primo a saltare sul prahos dopo di me? — domandò Sandokan. — Infatti, mi sono trovato sul ponte alle prese con uno di quei mascalzoni — rispose egli. — Bene, quando la palla di cannone sfonderà il petto del tuo compatriota, subentrerai nel comando. La giustizia era finita per quell’uomo singolare che si faceva chiamare la Tigre. Egli abbandonò il cannone, diede uno sguardo alle due grandi vele gonfie sotto il vento dell’ovest, un altro all’altro prahos che seguiva la via del primo rigorosamente dritta e si mise a passeggiare da prua a poppa colla fronte serena ed un sorriso bonario. Durante la giornata i due legni pirateschi continuarono a veleggiare in quella parte di mare compresa fra Mompracem e le Romades all’ovest, la costa di Borneo all’est e nord-est, e Labuan colle Tre Isole al nord, senza trovare il minimo impaccio e senza scorgere alcuna di quelle vele che di solito si mostrano sì numerose in quei paraggi, recandosi o partendo dalla capitale del regno di Varauni. Già da parecchi anni la fama di Sandokan si era sparsa su quei ristretti mari, e solamente i grossi vascelli con numerosi equipaggi o prahos armati da guerra arrischiavano la traversata diretta. I più si tenevano sotto la costa, sicuri di poter sbarcare e di salvare almeno le vite se non il carico o approfittando di qualche giornata burrascosa o di qualche notte oscura per prendere il largo. Sandokan non ignorava più quelle astuzie, diventate ormai tanto vecchie da essere conosciute anche sulle spiaggie di Mompracem, e sarebbe bastato passare una notte in vista della costa per essere sicuri al mattino di far ritorno con un carico completo delle più preziose merci del paese, cosa che non mancava mai però di fare a rischio di cadere in un’imboscata, quando trattavasi di spedizioni di minerale giallo. La notte cadde con quella rapidità che è propria delle regioni equatoriali dove il sole, anziché tramontare, si tuffa. Tutti i lumi vennero spenti a bordo dopo la cena, non amando essere scoperti e di vedere a loro agio, le vele in parte terzarolate per premunirsi dagli improvvisi colpi di vento che non mancano in quei capricciosi mari, e le sentinelle scelte fra gli uomini più intrepidi e dalla vista più acuta, che sapevano scorgere, per quanto le tenebre fossero fitte, una nave due miglia lontano. Alle otto i due equipaggi si ritirarono in massa e senza far rumore guadagnando le loro amache oscillanti, senza perdere tempo a spogliarsi delle poche vesti, pronti a prendere posto ai cannoni e ai moschetti al primo all’arme, la qual cosa non di rado avveniva, sia per respingere un attacco di qualche notturno leone che spingeva la sua audacia fino a irritare la Tigre, sia per piombare su qualche inoffensivo legno e rischiararlo a colpi di cannone. Sandokan rimase sul ponte assieme agli uomini di guardia, assiso a poppa tenendo una delle ribolle, collo sguardo che balzava dalla bussola al mare, porgendo ascolto al lieve russar degli addormentati e al frangersi dell’onda sulla prua del legno. Si avrebbe detto che quell’uomo cercasse di raccogliere qualche rumore estraneo a quello del mare. Chi sa? un lontano colpo di cannone, che poteva tuonare in direzione di Mompracem, o che cercasse colla potenza del suo occhio da tigre di attirare la preda fuggente e di scoprirla; chi sa? forse il fumante cacciatore. Gli uomini di guardia confusi fra gli attrezzi, seduti o ritti, parevano condividere i pensieri del loro capo. Gli occhi loro, che rilucevano come carboni nella profonda oscurità, balzavano dalle vele al mare scrutandolo nei più lontani orizzonti, cercando avidamente una preda sempre sospirata o un pericolo. Poco montava che si dovesse sfidare colpi di cannone e colpi di scure, con gran pericolo della pelle; bastava loro veder della preda, menar le mani insanguinate su cento e cento vittime, tuffarle in nuovo sangue, ubbriacarsi al fumo della polvere e veder morti e morti mutilati, guazzar sui bagnati ponti. Ma nessuna vela si mostrava nel cerchio abbracciato da quei potenti occhi, fuorché le tenebre sovrastanti ai flutti color di inchiostro che rimuggivano sordamente come uscissero da un abisso e che venivano a cozzare sulla prua del prahos frangendovisi sopra e lasciando solo allor intravveder un leggero scintillio, che si cangiava sulla scia in un gorgogliamento luminoso perfettamente visibile in quella oscurità. Alla mezzanotte il vento, sino allora debole, sembrò svegliarsi colla comparsa della luna, che faceva capolino fra le nubi. I due prahos parvero rialzarsi sotto quella nuova spinta e accelerarono la corsa verso l’est poggiando di qualche quarto al nord, dirigendosi verso le Tre Isole, che non dovevano esser gran fatto distanti. E invero poco dopo, rischiarate dalla luna, che tornava a mostrarsi in uno squarcio dei negri vapori, furono vedute tutte e tre benché vi sia fra loro una rispettabile distanza. Parevano uscire dal mare come improvvisamente, di un color fosco, di una struttura più bizzarra che pittoresca in quell’ora, vere sentinelle avanzate di Labuan e di Borneo, che potrebbero far solida barriera alla baia di Varauni dalla quale non distano molto. Sandokan appena che poté vederle abbandonò la ribolla a uno de’ suoi uomini e discese nella sua piccola cabina. La vista di quelle isole faceva quasi a lui credere di esser a Labuan che voleva dire lontano dal fumante incrociatore che alla mattina navigava presso le coste meridionali di Mompracem, e quindi libero da un improvviso attacco da parte sua che avrebbe potuto riuscire disastroso. La cabina di Sandokan era ben ristretta a bordo di quel prahos; non mancava però di una certa eleganza non dissimile da quella della sua abitazione, e che non toglieva che vi dormisse a suo agio. Era un caos di piccoli mobili gli uni più graziosi degli altri, ma gli uni più avariati degli altri, un miscuglio di sete e di tappeti che l’ingombravano, che la soffocavano addirittura sotto le pesanti pieghe e in mezzo alle quali vedevansi armi mescolate a bottiglie e tazze con bombe. Sandokan, senza levarsi un nulla del vestito, si stese in mezzo ai tappeti e non tardò ad addormentarsi come un uomo della sua tempra, cui un cuor di ferro soffoca le urla delle vittime cadute sotto l’acciaio dell’assassino e i cui occhi non vedono né le ombre né il sangue. Tutta la notte i due prahos veleggiarono in pieno mare, sempre in vista delle Tre Isole, correndo bordate per la lenta raffica, che a poco a poco collo spuntar del giorno girava all’est. Ma per quanto il vento divenisse contrario non impediva che i due rapidi legni guadagnassero via, aiutati di tratto in tratto dai remi manovrati da robuste braccia che li avean conosciuti fin dalla più tenera età. Al primo raggio di sole, che invase bruscamente il mare scacciandone la cupa tenebra, sette od otto miglia lontano fu veduta Labuan. Quasi nel medesimo istante Sandokan comparve sul ponte. — Patau! — esclamò egli con quel tono che non ammetteva replica né ritardo per quanto minimi fossero. Il Malese abbandonando il remo in un sol salto gli fu vicino, sempre col medesimo volto fra l’ilare e il furbesco, come un uomo che ha ormai dimenticato la palla di cannone. — Comandante! — rispose egli facendosi innanzi francamente. — La tua palla? — domandò Sandokan con strano sogghigno. — È sul petto — rispose il Malese, — la prima che parte sarà mia. — Bene, conosci tu una baia dove non si possa essere molestati da quei cani dell’Australia? — La conosco. — Bene, dirigi i prahos. Ad un ordine del Malese i due legni da preda virarono di bordo dirigendosi verso il sud dell’isola. Labuan è un lembo di terra che dista appena otto leghe da Borneo e che ha una circonferenza di circa venticinque miglia.
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD