— Vedete, capitano. Alla sola idea che quel sospiratore affannato ci spia, tutto il mio sangue bolle e quello dei miei compagni fuma. Quando l’incontreremo, il sangue diverrà fuoco, e voi sapete ciò che vuol dire. Succederà un massacro e nella macchina getteremo a bruciare cadaveri anziché carbone.
— Lo so, Patau, che un dì o l’altro, ne ho la certezza, ci capiterà alle spalle. Ci spia, ma freme al mio nome, e trema dinanzi alla mia potenza. Guarda: forse ha gettato dei liquori fra gli indigeni di Mompracem, forse sa che io ho abbandonato il mio covo, e forse non ignora su quale terra io muova, ma non ardisce inseguirmi. Quaranta uomini, quaranta tigrotti gli fan paura e si tace!
— È roba vecchia, capitano. Quelle giacche rosse non sono forti che coi deboli. Non avete udito dire come siano sbarcati a Labuan? Tiravano cannonate per misurarsi con quei miserabili selvaggi, che non avevano mai fiutato polvere di cannone.
— Lo so — disse la Tigre sordamente. — Ma vorrei essere stato io laggiù coi miei prahos. L’Iris non sarebbe più tornato su queste coste, e il suo comandante Rodney Mundy sarebbe andato a trovare le madrepore appeso al suo ponte di comando.
— Ah! — esclamò il Malese con tono di rimpianto. — Bisognerebbe andare un dì o l’altro a Labuan. Sarebbe il mio sogno.
— E chi dice, Patau, che io non vi andrò? Uno strano capriccio mi ha preso, Malese mio: voglio andar a vedere la Perla.
Il Malese fece un salto indietro.
— Per Allah! — esclamò egli sorpreso. — Vi avrebbe toccato il cuore questa Perla?
Una nube oscurò la fronte della Tigre della Malesia.
— Ah! — ghignò Sandokan. — Credi tu che il mio cuore, inaccessibile a ogni passione, abbia perduto la sua invulnerabilità?
— No, capitano. Ma dicesi che questa Perla sia così bella!...
— Le mie bellezze, Patau, se tu nol sai, non sono che le pugne, i fiumi di sangue, e i monti di cadaveri. La Tigre della Malesia non conosce altre bellezze.
La fronte di Sandokan s’aggrottò e la sua faccia prese una truce espressione. Volse bruscamente le spalle al Malese, e si mise a guardare attentamente il mare, senza aggiungere altra parola.
I prahos continuarono la loro caccia, veleggiando sempre verso le Romades, accelerando la corsa pel vento che andava prendendo forza, guizzando come pesci, tagliando nettamente a prua le spumeggianti onde, che spruzzavano fino alla Tigre.
Man mano che la distanza scemava, tutti gli occhi dei marinai prendevano maggior potenza visiva. Le pupille si allargavano scrutando il meridionale orizzonte, e le mani si avvicinavano insensibilmente alle carabine, alle scuri e alle sciabole d’arrembaggio, quasi indovinassero prossima la presenza dei legni mercantili, mentre quelle fiere figure d’uomini parevano acquistare novella forza, novella ferocia, cento volte raddoppiata dal magnetico sguardo della Tigre.
E infatti i prahos mercantili, segnalati il giorno precedente, non dovevano essere gran fatto lontani. Se si erano arrestati alle Romades, il che poteva essere facile, dovevano apparire fra breve tempo, calcolando la loro destinazione per Labuan o Varauni.
A ogni modo, sia in pieno mare o sotto costa, fossero pure sotto quella di Borneo, non potevano sfuggire. Avrebbe bastato una parola di Sandokan per decidere i pirati ad assalirli anche in mezzo a un porto, sotto i cannoni dei forti.
— Guarda sottovento! — gridò d’un tratto un Dayasso che erasi arrampicato fino alla banderuola della maistra.
Sandokan, a quel grido, si rizzò. Gettò uno sguardo sul ponte del suo prahos e uno su quello che veniva dietro a venti soli passi lontano, e parve che fremesse. Attraversò la coperta e andò a mettersi egli stesso al timone. Non bisogna scherzare negli arrembaggi, dove il più piccolo fallo può causare un urto e una catastrofe. Egli respinse Patau.
— Il cannone di prua non domanda che di ruggire — gli disse. — Fa in modo che possa mordere.
— Bene, capitano, morderà — rispose il Malese.
A un suo fischio sei dei più risoluti pirati si misero ai lati dell’abbronzato pezzo che pareva volesse rizzar da solo la fumigante bocca verso gli orizzonti del mezzodì.
I due prahos parvero accelerassero la corsa. In due bordate si spinsero innanzi di quattrocento metri, scuotendo di dosso la spuma delle onde. I quaranta pirati balzarono in piedi come un uomo solo colle armi di già in mano, l’occhio sanguinoso fisso al sud ove scorgevasi un punto giallastro che sembrava radere l’orizzonte a tratti, ora scomparendo come se fosse colato a picco e ora rialzandosi impercettibilmente, ma tanto da poterlo scorgere nuovamente e riconoscerlo non già per la bianca spuma di un’onda ma per la vela di un prahos che veleggiava verso l’est.
— È una vela! — esclamò un Battiasso dalla statura colossale, dalla tinta color ferro.
— E chi dice di no? — domandò un Tagalo delle Filippine dalla carnagione rossastra e col viso tagliato a rombo. — Ma non vedi tu, che è sola?
— Eh! eh! — esclamò un Malese dall’incedere furbesco. — Che sieno fuggiti gli altri due adunque?
— Bisognerà crederlo, Ragno di Mare — rispose Patau volgendosi verso il suo compatriota. — Vi ha da scommettere che gli altri due hanno volto la prua al sud o che hanno naufragato durante la notte. Buon per loro, che avrei voluto veder l’equipaggio danzare sotto il ferro del mio cannone.
— Silenzio là! — esclamò Sandokan. — Ai vostri pezzi voi; alle carabine i moschettieri.
La conversazione fu tagliata nettamente. Gli artiglieri si precipitarono ai loro pezzi e tutti gli altri, eccetto quattro uomini destinati alla manovra del prahos, si affollarono a prua e alle murate, pronti ad avventarsi all’assalto al primo abbordaggio. In un minuto il più profondo silenzio regnò sui due legni pirateschi che veleggiavano l’un accanto all’altro; tutti gli occhi fissavano la bianca vela che lenta lenta ingrandiva, gareggiando nel riconoscere prima la portata, gli uomini e le armi.
Passò mezz’ora senza che la minima parola fosse pronunciata a bordo, tanta era l’autorità di Sandokan su quegli uomini di solito così turbolenti e durante questa mezz’ora la vela si accostò ai due rapidi prahos che manovravano in maniera da tagliare la ritirata dell’est e dell’ovest. Lasciato il varco al sud e al nord, sgombri per un gran tratto d’ogni terra, un inseguimento diventava su quelle due vie un nunnulla e l’abbordaggio sicuro. Con un uomo come Sandokan non vi era da sperare nella fuga; bisognava dare o accettare battaglia, pugnare finché restava sangue nelle vene e poi soccombere.
Man mano che si avvicinavano i due rapidi legni dei pirati, la vela ingigantiva lasciando vedere a poco a poco le murate del vascello, che fu in breve riconosciuto per un gran prahos mercantile, uno di quei legni che esercitano il lucroso traffico fra le isole della Malesia, e che uno dei pirati, benché fosse abbastanza distante, asserì essere uno dei tre scorti il giorno precedente.
— Yanez mi aveva parlato di tre navigli — mormorò Sandokan. — Dove si sono cacciati gli altri due?
Si morse le labbra quasi con collera, poi diresse il suo prahos sul legno mercantile, in maniera da poterlo abbordare a prua, mentre l’altro prendeva il largo tagliando la ritirata sulla via dell’ovest e abbordarlo, se occorreva, a poppa.
A due miglia di distanza il mercantile, un po’ affogato per l’eccessivo carico e cattivo camminatore, si arrestò correndo piccole bordate come indeciso sulla via da prendere.
Certamente era stato messo in sospetto dalla presenza di quei due prahos, che eseguivano una manovra non troppo rassicurante.
Bordeggiò così per tre o quattro minuti, come volesse assicurarsi delle intenzioni dei due legni da preda, poi cangiò bruscamente rotta, e virando di bordo batté prudentemente in ritirata.
— Tanto ci voleva a riconoscerci? — mormorò Sandokan, poi alzando la voce: — ehi, Patau, prepara il tuo cannone, e voi, tigrotti, prendete i moschetti. La danza non durerà molto, ma a ogni modo ci divertiremo.
Il povero legno mercantile doveva ben comprendere che la fuga sarebbe stata quasi impossibile e un combattimento, fra due fuochi, disastroso. Senza dubbio la sinistra fama della Tigre della Malesia era giunta all’orecchio dell’equipaggio per quanto da lungi venisse e la vicinanza di Mompracem doveva accertare i timori.
Sandokan, che non perdeva d’occhio il mercantile, poté assicurarsi coi propri occhi che l’equipaggio preparavasi a una disperata resistenza. Venti minuti dopo, i due prahos erano seicento metri dal fuggiasco. La rossa bandiera dei pirati, in mezzo alla quale campeggiava una tigre, salì maestosamente sull’albero di sinistra.
— Patau — disse Sandokan, — fa cantare il tuo cannone.
Patau non aspettava che questo comando, accese la miccia e si avvicinò al cannone.
Di repente una detonazione fortissima scoppiò al largo e una nube di fumo si alzò a poppa del prahos mercantile. Due tavole della murata di tribordo del legno da prenda saltarono sotto la palla.
Né Sandokan, né l’equipaggio si mossero. Patau diede fuoco al suo pezzo. L’effetto fu pronto. La palla del calibro da sei sfondò la murata poppiera del mercantile e investì il cannone ancor fumante sollevandolo dall’affusto. Le grandi vele un istante dopo vennero ammainate sul ponte, e una scialuppa venne calata in mare. Sei o sette uomini vi presero posto coll’evidente intenzione di fuggire prima che arrivassero i pirati. Il rimanente dell’equipaggio si radunò invece a poppa smascherando un secondo cannone deciso a difendersi.
— Ah! — esclamò Sandokan, saltando in piedi col volto abbuiato. — Vi sono dei vigliacchi a bordo di quel legno come vi sono dei coraggiosi. Patau, affondami quella scialuppa! I codardi non meritano la mia generosità!...
— Bene capitano — rispose il Malese con un satanico sogghigno. — Se al primo colpo non li mando all’inferno, non sono più Patau!
Il cannone era stato caricato e Patau non mancò alla parola. La scialuppa fu spaccata a metà e un nembo di mitraglia lanciato dall’altro prahos spazzando il mare istecchì i nuotatori.
— Bravo Patau! — esclamò Sandokan. — E ora, amico mio, rasa come un pontone quel legno. Andrà a farsi raddobbare di poi a Varauni a nostre spese. I coraggiosi sono degni di noi. Fa in modo che le tue palle non abbiano a mordere che del legno.
I due prahos correvano sopra al povero legno mercantile colla rapidità delle aquile, manovrando in maniera di poterlo abbordare da due lati. I cannoni ripigliarono la infernale musica fracassando gli attrezzi, alternando violente scariche di mitraglia che laceravano vele e recidevano corde. Il legno mercantile rispondeva vigorosamente col suo unico pezzo cercando, se non di vincere, almeno di vendere caramente la vita.
— Tira! Tira che sei un coraggioso! — gridava Sandokan entusiasmato. — Tu sei degno di combattere contro di me!...
I due prahos avvolti fra fitte nubi di fumo dalle quali scattavano lampi e uscivano detonazioni volteggiavano attorno al legno mercantile che virava a furia di remi, di bordo, presentando la prua sulla quale si affollavano i difensori.
— Barra sottovento! — gridò d’un tratto Sandokan che aveva impugnata la scimitarra.
Il suo prahos abbordò il mercantile sotto l’anca di tribordo ad onta della sua moschetteria e delle precipitose manovre dell’equipaggio nemico. Sandokan, benché i grappini d’arrembaggio non fossero ancora stati lanciati, si raccolse su sé stesso col kriss fra i denti, come una tigre che sta per avventarsi, quando una mano robusta lo trasse indietro. Il Ragno di Mare gli si rizzò accanto coprendolo col suo petto d’atleta, e bestemmiando tentò saltare sul prahos mercantile dove un marinaio toglieva di mira la Tigre della Malesia.
Non ebbe il tempo, ma si gettò dinanzi a Sandokan e ricevette in sua vece la fucilata in pieno volto. Il povero Ragno cadde in mare colla testa fracassata.
Sandokan gettò un muggito da toro ferito, e aggrappandosi alla bocca di un cannone, si issò in meno che se lo dica sulla coperta del legno mercantile. L’intero equipaggio annerito dal fumo e insanguinato si avventò contro di lui cercando respingerlo.
— A me, miei prodi! — urlò il pirata spaccando la testa al primo venuto. Dieci o dodici pirati risposero all’appello. Si arrampicarono come scimie lungo i bordi e aiutandosi coi paterazzi saltarono sul ponte circondando l’equipaggio. Nel medesimo tempo l’altro prahos abbordava il legno a poppa. I suoi uomini irruppero colle scuri alzate vociferando spaventosamente.
— Che nessuno li tocchi! — tuonò la voce della Tigre. — Sono degli eroi!
Fu compreso. I pirati circondarono l’equipaggio, lo disarmarono e lo legarono senza spargere goccia di sangue. La Tigre si avvicinò al capitano del prahos.
— Tu sei un brav’uomo — disse. — I tuoi uomini sono degni del loro comandante. Io ti lascio la vita!
Il capitano del prahos lo guardò come trasognato. Sandokan poggiò le mani sulle spalle di lui e guardandolo fisso:
— Dove vai? — gli chiese.
— A Labuan — rispose macchinalmente il capitano.
— Tu conosci quell’isola?
— Sì.
— Parlami della Perla di Labuan. Chi è?
— Una donna.
— Di qual razza?
— Inglese.
Le labbra di Sandokan si contrassero mostrando i denti.
— Dove ha la sua casa? — domandò egli con voce sorda.
— Nelle foreste della costa occidentale.
— Grazie, mio prode — disse Sandokan.— Olà! Gettate un barile d’oro a questi giovinotti!
Nessuno dei pirati aprì bocca, per opporsi a un sì strano comando. Del resto non era la prima volta che la Tigre della Malesia agiva in tal modo. Fu ubbidito, e il barile d’oro, con sorpresa dei marinai del prahos mercantile, che si chiedevano se sognassero o avessero da fare con qualche deità marittima, passò a bordo del legno.
Sandokan tornò ad avvicinarsi al capitano.
— Guardami in volto! — esclamò bruscamente egli.
— Chi sei? — chiesero i marinai ad una voce.
— La Tigre della Malesia!...
Prima ancora che l’equipaggio tornasse in sé dalla sorpresa e dalla paura, Sandokan era già a bordo del suo legno circondato dai pirati.
La Tigre stese la mano verso l’est, ve la tenne per qualche tratto così orizzontalmente, poi con voce metallica, stridente, collerica:
— Tigrotti, a Labuan! a Labuan!...
1 La treccia
2 Inglesi così chiamati per le giacche rosse che portano i soldati di infanteria di marina