3.
Che lo volesse oppure no, il suo addestramento iniziò quel pomeriggio. Mrs. Stout era il tipo di persona ansiosa che crede nelle cose sotto controllo. Lasciava il lavoro per via di sua figlia e del nipotino, ma non era tranquilla. Per lei il signor Wright era a metà strada tra un dio e un bambino bisognoso di cure.
«La sua agenda... in realtà è la tua, va bene? Devi essere coscienziosa. Lasciargli sempre abbastanza tempo per pranzo, anche se lui dice aggiungi questo o aggiungi quello. E devi filtrare, filtrare moltissimo... sei tra lui e una folla di barbari».
Candace annuiva, sorridendo tra sé e sé dell’atteggiamento protettivo dell’altra.
«Devi conoscere tutti i suoi contatti. Ci sono persone che gli devi passare in fretta, altre...» sospirò. «Prima eri la prima linea, ora sei la seconda linea. Devi essere più diplomatica. Ma irremovibile, se necessario. Capisci?»
Candace le assicurò che capiva.
«Il signor Wright è molto formale. Indipendentemente da quanto ti possa sembrare di essere in confidenza con lui, non trattarlo mai come un amico».
«Non lo farei mai» la rassicurò.
Continuò così per tutto il resto del pomeriggio, tessendo le lodi dell’uomo che ogni giorno trattava come un emerito ritardato bisognoso di protezione e guida.
Alle cinque la portò con sé nel suo abituale ultimo giro di ispezione. Tutto doveva essere perfetto, quando chiudeva l’ufficio.
«Se ne vada a casa, Mrs. Stout. Ha ancora quindici giorni per insegnarle tutto il necessario» commentò Wright, vedendole passare, mentre controllava qualcosa sul computer.
«Non mi basterebbero quindi anni. Lei, piuttosto. Stasera ha la cena assicuratori».
Wright le lanciò un’occhiataccia. «Alle sette. Se ne vada».
Mrs. Stout ridacchiò come una ragazzina e spinse via Candace. «Forza, andiamo». La segretaria personale continuò a parlare fitto alla futura segretaria personale finché la seconda non si infilò nella metropolitana.
Tornò indietro una ventina di minuti più tardi. Wright era ancora dietro al computer e davvero stava guardando qualcosa. A Candace sembrarono dei listini.
«I fattori che possono influire sul rischio sono diversi» borbottò lui, a mo’ di spiegazione. Poi puntò su di lei i suoi occhi da alligatore, distaccati e impersonali. «Ho voglia di farle il culo. Oggi ho... deviato dalla routine, quindi...»
Candace si mordicchiò il labbro inferiore. «Non l’ho mai fatto».
Lui sbatté le palpebre. «Sul serio? Be’, allora non importa. Perché non mi aspetta sul divano, signorina Temple?»
«Non ho detto “no”. Ho detto solo di non averlo mai fatto. Si fermerebbe, se glielo chiedessi?»
«È ovvio».
«Bene, allora» concluse lei.
Wright spense il computer, Candace andò verso il divano. Il sangue le correva veloce nelle vene per l’eccitazione e la paura. Si mise a quattro zampe, pensando che comunque la posizione giusta era sempre quella.
«No, no».
Wright si sedette sul divano e le tirò giù la zip della gonna. Gliela sfilò completamente e Candace la scalciò via. Anche quella era una novità.
«E si deve voltare a pancia in su» disse lui.
Quando fu stesa sulla schiena Candace si rese conto di essere imbarazzata. Di solito non si guardavano, durante l’atto. Prima, quando gli aveva fatto un pompino, ogni tanto i loro sguardi si erano incrociati, ma raramente. Ora, invece...
Wright le slacciò con calma la camicia. Candace chiuse gli occhi, scossa da un brivido piacevole. Prima di rendersene conto gli aveva guidato una mano sui propri seni, sopra al reggipetto. Wright strinse leggermente, poi infilò una mano dentro alla coppa, palpandole il seno nudo e accarezzandole il capezzolo.
Candace gemette di piacere. Si sfilò del tutto la camicia e lo guardò come a chiedere indicazioni sul resto.
«A questo punto, si spogli del tutto» convenne lui. Candace si liberò del pezzo di sopra, mentre Wright le sfilava slip e collant.
Anche per lui quella era una prima volta, pensò lei. Non aveva mai visto il suo corpo nudo. Non aveva mai visto i suoi seni piccoli e fermi, la pancia piatta, la vita stretta, le lunghe gambe e il sesso, completamente depilato tranne un piccolo ciuffo sul monte di Venere.
La guardò da capo a piedi, soffermandosi su ogni dettaglio. Non fece commenti, ma allungò una mano per solleticarle delicatamente il clitoride. Candace ansimò. I suoi capezzoli erano dritti, la sua fichetta era dischiusa. Aprì le cosce e chiuse gli occhi, abbandonandosi alla mano di lui.
Si fidava.
Lo pensò in un attimo, mentre Wright allontanava la mano e lasciava cadere un tubetto sui cuscini di pelle. Candace non si preoccupò di scoprire che cosa fosse, ma lo capì poco dopo, quando lui iniziò a spalmarle qualcosa di fresco sul buchetto posteriore. Lubrificante.
Oddio, glielo stava per mettere lì, pensò, in modo confuso. Le avevano detto che era doloroso. Aveva sempre evitato la cosa. Un dito sì, no problem. Anche due. Ma un intero uccello? Quell’uccello, tra l’altro?
Wright la massaggiò lentamente, rilassandola. Le accompagnò la mano sul clitoride.
Candace iniziò a sgrillettarsi. Anche quello era diverso, così stesa a pancia in su, esposta al suo sguardo. Un po’ si vergognava, ma stava anche godendo.
Wright si sfilò la cravatta e la mise da un lato. Si slacciò il primo bottone della camicia. Candace l’avrebbe preso a morsi, ormai.
Si inginocchiò tra le sue gambe e se lo tirò fuori. Poi una bustina. La strappò e si infilò un preservativo trasparente sull’uccello.
«Se diventa insopportabile me lo dica» le ricordò. Le prese le caviglie e se le posò sulle spalle. Candace capì come aveva intenzione di farlo. Un secondo dopo sentì il cazzo di lui sul buchetto posteriore. E le fece male.
Per prima cosa, era pesante. Non ci aveva mai pensato. Anche se Wright non stava spingendo, il semplice peso del suo uccello le dilatava un po’ lo sfintere. Tirava e bruciava un po’.
Chiuse gli occhi e si accarezzò il clitoride con più insistenza. Una nuova fitta di piacere andò a unirsi al dolore, non annullandolo, ma aggiungendosi a esso e creando una nuova sensazione, forte ed eccitante.
Di solito cercava di non fare rumore, ma in quel momento non riuscì a evitare di emettere un gemito sonoro. Wright diede un colpetto. Un semplice colpetto. Là dietro le sembrò di venire tirata allo sfinimento. Socchiuse gli occhi. Stava ansimando come una bestia, ormai, lo sapeva, e non sapeva se lui lo trovasse eccitante e o disgustoso. Wright sudava e aveva la bocca socchiusa. Non guardava il suo viso, ma più in basso, dove il suo uccello le teneva parzialmente aperto il buchetto.
Spinse ancora e Candace gemette forte.
Strizzò gli occhi. Prese fiato. Si massaggiò rudemente il clitoride, sobbalzando.
Un’altra spinta. Era terribile. Era eccitante da morire, ma il dolore era forte e Candace capì di non riuscire a resistere.
«N-non ci sta... signore...» ansimò.
Wright riportò lo sguardo nel suo. «In realtà c’è già stato» le comunicò. «È... tutta la punta è dentro. Mi sfilo?»
Candace prese fiato di nuovo. «N-no...».
Wright si chinò su di lei, piegandola praticamente in due. Lei strizzò gli occhi, sentendolo che le scivolava dentro. Il suo buchetto era teso allo sfinimento, tutto dolorante, ma il piacere continuava a crescere, mescolandosi al dolore fino a farlo diventare qualcosa di nuovo e bellissimo.
«Oh, sì...» mugolò.
Wright iniziò a muoversi. Si ritrasse e le affondò di nuovo dentro. Sembrava di fuoco ed era... la fine del mondo. Candace gridò e fece qualcosa che non aveva mai fatto: gli strinse le braccia e lo tirò verso di sé. Si contrasse, ansimando di piacere, cercandolo con tutta se stessa.
Wright accelerò leggermente. Si piegò ancora in avanti e le succhiò un seno. Poi lo morse. Poi lo succhiò di nuovo, mentre i suoi fianchi si muovevano come indipendentemente dalla sua volontà e il suo cazzo sembrava arrivarle fino in mezzo alla pancia.
Candace gli infilò le dita tra i capelli, lui le graffiò le natiche. Ormai le entrava dentro a colpi veloci e profondi. Candace gemeva e singhiozzava, sempre più vicina all’orgasmo.
Lui emise un suono inarticolato e le sobbalzò sopra. Il suo viso si deformò in una smorfia di piacere e liberazione. Candace urlò, mentre l’orgasmo le esplodeva nel sedere e nella fica, facendola contrarre dolorosamente e facendole tremare le gambe.
Era la sensazione più forte che avesse mai provato. Era un tormento e un’estasi, insieme.
L’ultimo fiacco affondo di lui la fece gemere di dolore, ma un secondo dopo si era sfilato e ansimava con il viso vicino al suo viso, i capelli grigi che gli spiovevano sulla fronte, il naso che gocciolava sudore e gli occhi socchiusi.
Candace fece scivolare le caviglie giù dalle sue spalle. Là dietro le bruciava come se l’avessero marchiata a fuoco. E aveva tutte le cosce fradice dei propri umori.
Wright si raddrizzò e si appoggiò con la schiena al bracciolo del divano dietro di sé. Lo vide sfilarsi il preservativo e annodarlo.
Candace non riusciva nemmeno a pensare di alzarsi, rivestirsi e filare via. Le serviva ancora un po’ di tempo. Automaticamente, si voltò per controllare l’orologio a muro.
Sgranò gli occhi.
«Signore... sono le sei e mezza... la sua cena».
Wright spostò su di lei il suo sguardo da alligatore. «Le sembrerà strano, ma persino io ho delle priorità. Telefoni e si inventi una scusa per la mia assenza».
Candace rotolò su un lato. Si rimise in piedi un po’ a fatica e camminò scalza sulla moquette morbida fino all’altra stanza. Riattivò il computer di lui scuotendo il mouse, senza sedersi. Ignorò la richiesta di password e cambiò account. Aprì l’agenda e trovò il numero del ristorante dove si sarebbe tenuta la cena.
Sollevò il telefono e lo compose.
Un cameriere rispose al terzo squillo.
«Buonasera. Sono la segretaria del signor Wright. Questa sera doveva partecipare a una cena, quella dell’associazione assicuratori...»
«Sì, non sono ancora arrivati».
«Quando arrivano, per favore, porga loro le scuse del signor Wright. È stato trattenuto da un disguido tecnico. La ringrazio».
Ascoltò il cameriere che le confermava il messaggio, posò la cornetta e guardò verso il salotto. Wright si era sdraiato sul divano.
«Ho dei vestiti di riserva da qualche parte, è vero?» chiese.
Candace tornò verso di lui. «Sì, signore».
«E lei?»
Candace guardò il proprio guardaroba sparpagliato per terra.
«No».
«Sta bene?»
«Sì».
«Allora mi vada a prendere un ricambio, poi può andare».
Lei annuì. «Subito, signor Wright».
Lui si mordicchiò il labbro inferiore, pensieroso. L’aveva congedata, ma non sembrava convinto.
«C’è qualcos’altro che posso fare per lei, prima di andare?» chiese Candace.
Wright sbuffò appena. «Si volti. Di lato e poi di schiena. Lentamente».
Candace lo fece. Dunque ora voleva guardarla... era stata una giornata incredibile. Si girò prima su un lato e poi sull’altro, sentendosi i suoi occhi addosso.
«Venga qua» le disse, alla fine. «Si sieda su di me, a cavalcioni».
Candace lo scavalcò con una gamba e si inginocchiò sopra di lui. Poi si sedette sul suo bacino, obbediente. Wright la guardò e le posò le mani sulle cosce. Era ancora del tutto vestito, ma aveva i pantaloni sbottonati e si era tolto la cravatta. Candace lo guardò tranquillamente in faccia, mentre lui faceva scorrere lo sguardo sui seni di lei e poi più in basso, fino alla fichetta ancora tutta lucida di umori.
«Pensa che le abbia offerto il posto da segretaria personale per questo?» le chiese.
Candace scosse appena la testa. «No, non penso. Mi ha spiegato perché l’ha fatto».
«Pensa che ne ricaverà qualcosa in futuro?»
«Dal lavoro? Sì, credo di sì. O intendeva da lei?»
Wright sembrò divertito. «Si strofini, signorina Temple. Tanto ormai la cena l’ho persa».
Lei si piegò su di lui. Molto lentamente, gli strofinò la fica sul pacco. Capì che cosa la accendeva, di lui. Era sempre così distaccato. Anche mentre faceva sesso, normalmente era come se tu fossi solo una suppellettile. Una suppellettile che lui apprezzava, intendiamoci, ma niente di più. Ed era questo a essere eccitante: l’idea di riuscire a smuoverlo, anche di poco. L’idea che ti desiderasse, almeno quanto bastava a chiederti di chinarti sulla scrivania e lasciarti scopare.
E ora che lo guardava in faccia... la sua bocca socchiusa, gli occhi a fessura, le mani che si stringevano impercettibilmente sulle cosce di lei e il cazzo che gli tornava duro...
Se lo prese in mano e lo guidò dentro alla sua fica. Così com’era, ancora un po’ sporco per l’eiaculazione precedente e senza preservativo. Candace sentì il suo calore e la sua consistenza, e lo strinse. Ansimando sottovoce, iniziò a montarlo. Su e giù, come un’onda, muovendo i fianchi in modo fluido e facendo sì che vedesse tutto di lei.
Si chinò appena sulla sua faccia per consentirgli di succhiarle i seni. Lui li palpò anche, portandoseli famelicamente alla bocca. Vederlo così preso era uno spettacolo profondamente erotico.
Candace accelerò, iniziando a gemere.
Lui la palpò dappertutto. Si tese sotto di lei. Sgroppò e le venne dentro. Ancora e ancora, tenendola ferma per i fianchi, tirandola sopra al suo cazzo fino a farla singhiozzare di piacere. L’orgasmo la raggiunse mentre lui finiva. I suoi umori gli infradiciarono i peli dell’uccello. Candace sobbalzò e tremò sopra di lui.
Alla fine si fermò, più o meno nella posizione di partenza, solo con il suo cazzo morbido ancora premuto sulla fica e un mare di umori sotto.
«Può usare il mio bagno, signorina Temple. Mi porti quel completo. Poi può andare, sul serio».
A dire il vero Candace si era aspettata un cambio di routine, a quel punto. Pratica come suo solito, aveva preso un contraccettivo di emergenza e poi aveva iniziato con la pillola. Si aspettava che cambiasse qualcosa, ma non cambiò niente.
O meglio.
Per circa un mese e mezzo Wright non l’aveva nemmeno guardata. Le parlava, le faceva domande e per lo più ascoltava anche le sue risposte, ma era come se lei fosse trasparente. In realtà le parlava molto più di prima. Ogni mattina discutevano la sua agenda e i suoi impegni lavorativi ed extra-lavorativi. Wright era cortese come sempre, lontano anni luce.
Candace aveva pensato di smettere con la pillola. Non sembrava avere molto senso.
Poi, più o meno un mese e mezzo più tardi, lui le aveva chiesto di mettersi a quattro zampe sul divano. Le aveva tirato su la gonna, giù gli slip e i collant, e l’aveva sbattuta senza quasi toccarla, ma senza impermeabile.
Candace non aveva mai parlato della cosa a qualcuno, ma quella sera si decise a parlarne con la sua amica Dana.
Le raccontò tutto. Gli ultimi due anni e mezzo.
«Che senso ha?» concluse.
Dana la guardò con espressione allucinata. «Sì, davvero. Che senso ha, Candace? Da parte tua mi sembra masochismo bello e buono».
«Cioè?»
«Cioè, scusa... che cosa provi per lui?»
Candace ci pensò un attimo. Bevve un sorso di birra (erano al pub). «Non saprei. Mi... piace».
«Come uomo? Esteticamente?»
«Eh» confermò lei. «È... sexy».
«È sexy? Uno che ti sbatte senza guardarti nemmeno? Come una bambola gonfiabile?»
Candace sbuffò. «Già. È sexy. Ma non capisco quest’ultima... cosa».
Dana le lanciò uno sguardo estenuato. «Non vedo che cosa ci sia da capire. Si fa i suoi porci comodi, punto. Probabilmente è un maniaco del controllo. Quando vi siete fatti una scopata con tutti i crismi per lui è stata come... una debolezza, no? Quindi si è distanziato. Magari voleva anche piantarla lì, ma si vede che poi gli è tornata voglia. Sei una meraviglia, Candace... chiunque vorrebbe venire a letto con te. E tu ti vai a invischiare con l’unico stronzo che non è nemmeno grato del trattamento che riceve. Lo ami?»
«Eh? Cristo, no. È solo... se fosse per me scoperemmo tutto il tempo. Invece non lo facciamo mai. Forse è per questo che mi interessa. Di solito, uno comincia una relazione, i primi giorni si abbuffa di sesso e poi pian piano il momento passa, no? Con lui non può passare, perché l’abbuffata non c’è stata».
Dana si grattò una guancia. «Scusa, non puoi fare tu il primo passo? Dirgli “Sai, ne ho voglia” e vedere che cosa succede?»
Candace non ci aveva mai pensato. «Non mi è mai nemmeno passato per la mente» ammise.
« A me lui sembra il classico stronzo egoista che si fa i suoi porci comodi e fine del discorso, ma concediamogli il beneficio del dubbio... può darsi che pensi di non potertelo chiedere troppo spesso, no? Cavoli, Candace, a volte tu ti butti giù in modo incredibile, ma – lo ribadisco – sei così bella... forse pensa che una ragazza come te con uno come lui ci vada solo per la carriera. Perché è il capo. Ci vai per quello?»
«No. E poi che altra carriera dovrei fare, scusa?» fece lei, scrollando le spalle.
«Io lo so. Ti conosco. Ma lui? Magari pensa che... insomma, non ti dispiaccia ma non ti faccia nemmeno impazzire. Che se ti chiedesse di scopare tutti i giorni alla fine gli diresti di starsene al suo posto... è solo un’ipotesi». Dana sbuffò. «Ma non ci credo neanch’io. Per inciso, non ha una donna ufficiale o qualcosa del genere?»
Candace annuì. «Harri Merrit».
«Che cacchio di nome è Harri?»
Lei sorrise. «Suppongo che stia per Harriet. Comunque, sì. Stanno insieme da un sacco di tempo. Non vivono insieme, comunque».
Le tornò in mente l’incontro che aveva avuto con Harri qualche giorno prima. Grace l’aveva accompagnata direttamente all’ufficio di Wright, come da direttive di Candace. Era inutile dimostrarsi antipatiche. Quindi Harri era entrata mentre lei prendeva appunti sul suo tablet sulla riunione di programmazione della settimana seguente.
“Che fine ha fatto il bulldog?” aveva chiesto Harri.
Wright non aveva nemmeno spostato lo sguardo dal computer. “È andata in pensione. Hai già conosciuto la signorina Temple, ne sono sicuro”.
Harri aveva fatto un sorriso sgradevole. “Certo. Be’, almeno adesso avrai qualcosa di carino da guardare”.
Sul momento Wright non aveva registrato il tono della sua ragazza – o aveva fatto finta di non farlo. “Mh? Già,” aveva borbottato.
Harri aveva socchiuso gli occhi, invelenita. “Ti informo che qua sarebbe stato gradito un commento un po’ più adulatorio”.
Wright si era deciso a staccare gli occhi dal computer. Aveva riso e si era alzato in piedi, per poi andare a baciare Harri sulle guance. “Non vorrai entrare in competizione con una segretaria, tesoro,” aveva detto. Poi si era voltato verso di lei. “Per oggi è tutto, signorina Temple”.
«Allora magari si sente in colpa nei suoi confronti» ipotizzò Dana, riscuotendola dai suoi pensieri. «Nei confronti di questa ragazza ufficiale».
«È possibile» borbottò Candace.
Ma non era probabile. In realtà Wright sembrava fregarsene altamente anche di Harri. Candace aveva presente tutti i suoi appuntamenti, anche quelli extra-lavorativi. Gli incontri con Harri non erano in agenda, ma il tempo che rimaneva a Wright oltre il lavoro e le altre incombenze non sembrava suggerire che si vedessero molto spesso.
Candace ebbe una conferma della cosa qualche settimana dopo, al compleanno della “ragazza ufficiale”.
«Signor Wright, certamente non devo ricordarglielo, ma tra tre giorni la signorina Merritt compie gli anni» gli disse lei, diplomaticamente, durante il planning del mattino.
«Ah, già» fece Wright, pensieroso. «Le compri qualcosa lei, signorina Temple, va bene?»
Candace represse un’occhiataccia. «Mi dia almeno un suggerimento».
«Qualcosa che comprerei io» disse Wright, già palesemente concentrato sul prossimo impegno.
«Mi dica almeno il budget» sospirò Candace.
Wright sembrò capire che avrebbe dovuto dedicare alla questione qualche minuto ancora. Non ne sembrò soddisfatto, ma si rassegnò a sufficienza da spostare lo sguardo su Candace. Cento percento alligatore, ovviamente. «Non so. Non esageriamo. Cinquecento sterline?»
Per Candace spendere cinquecento sterline in un regalo sarebbe stata un’enormità, ma in quel caso specifico era un po’ un problema. Fece una piccola smorfia. «Mh. Quindi niente scarpe. E niente borse». Ci pensò meglio. «Non che lei le regalerebbe scarpe o borse».
«Tanto ne ha un’infinità. Ma se cinquecento sono pochi, facciamo mille».
«Un gioiello, che ne dice? Tipico regalo maschile».
Lui si strinse nelle spalle. «Okay. Faccia come meglio crede». Poi gli venne in mente qualcosa. Sollevò un dito, minaccioso. «Non un anello, eh?»
Candace gli lanciò uno sguardo che significava “Pensi che sia scema?”, ma disse: «Certamente no, signore».