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Candace Temple venne assunta alla Campbell Optimum quando aveva ventotto anni, dopo una precedente esperienza di lavoro in un’altra compagnia di assicurazioni. Al contrario della precedente compagnia, tuttavia, la Campbell Optimum era specializzata nell’assicurazione del credito commerciale, una nicchia particolarmente remunerativa del settore.
Remunerativa, come le venne spiegato quasi subito, se la compagnia non sbagliava le analisi del rischio collegato al portafoglio di un cliente.
«Ma questo problema non esiste, il nostro CRO è Russell Wright» le aveva assicurato Mrs. Stout, poco dopo la sua assunzione. Mrs. Stout era a capo delle quattro segretarie di Wright stesso.
«CRO?» aveva chiesto Candace, leggermente confusa. «Come Chief...»
«Chief Risk Officer, ovviamente. L’amministratore del rischio. Scusa, da dove hai detto che vieni?»
In quell’occasione Candace dovette spiegare che nella compagnia in cui lavorava precedentemente il CRO veniva chiamato CRMO, dove la “m” stava per “management”. In ogni caso, aveva capito il succo del lavoro del loro capo, non era così difficile: era quello che supervisionava l’analisi dei rischi dei vari analisti in merito a un cliente. Se un cliente aveva un portafogli pieno di crediti inesigibili, o “cattivi” per qualche motivo, la Campbell Optimum non lo avrebbe assicurato, o avrebbe preteso delle garanzie extra.
Più di questo non le serviva capire: in fondo era una segretaria.
«Sì, questo è verissimo» annuì, Mrs. Stout, chiaramente soddisfatta che Candace capisse i limiti del suo lavoro. «Dunque, come vedrai qua da noi l’organizzazione è semplice. Pam si occupa dell’archiviazione e della protocollazione, Astrid dell’organizzazione delle riunioni e degli appuntamenti del signor Wright, Cora del trattamento dei documenti contabili e tu del compito più semplice, per il momento: gestire le comunicazioni in entrata e in uscita, sia telefoniche, sia scritte».
A quel punto le mostrò la sua scrivania.
Nei mesi successivi avrebbe conosciuto ogni angolo di quel piano, ma, per il momento, della Campbell Optimum aveva visto solo l’atrio, giù all’ingresso, e la sala delle segretarie, al decimo e penultimo piano. Sopra di loro c’erano solo gli uffici del direttore generale, il signor Campbell in persona.
La sala delle segretarie era il secondo ambiente in cui ti imbattevi al decimo piano, dopo l’ampia sala d’attesa, o prima sala d’attesa. La moquette era azzurro spento, molto folta e molto pulita. Le pareti erano bianche, decorate con sobri quadri astratti. Nella sala d’attesa le poltroncine erano di vera pelle bianca, molto eleganti, e i tavolinetti di vetro e betulla.
La sala delle segretarie aveva la stessa moquette e lo stesso stile. Le quattro scrivanie di vetro e betulla si fronteggiavano due a due ai lati della stanza, lasciando un ampio passaggio nel mezzo. In un angolo c’era un bollitore e un’elaborata macchina per il caffè, insieme a tazze, piattini e posate. Il cucinino, invece, era in un ambiente attiguo, che i visitatori non vedevano passando.
Dopo la sala delle segretarie c’era una seconda sala d’attesa, elegante come la prima ma più intima, dominata dalla scrivania di Mrs. Stout.
Ancora oltre, Candace supponeva che ci fosse l’ufficio del signor Wright.
Non che importasse: era la signora Stout a fungere da tramite tra lui e loro. Loro erano solo le appendici più periferiche dell’apparato.
“Pam”, come l’aveva definita la segretaria personale, era una ragazza giovane, persino più giovane di Candace, con i capelli biondo cenere e gli occhiali dalla montatura trasparente. Sembrava pallida e silenziosa, ma Candace aveva imparato a non dare troppa importanza alle prime impressioni. Astrid era una bionda sulla quarantina, dall’aria dinamica e spigliata. Cora doveva avere poco più di quarant’anni, i capelli scuri e raccolti, degli occhialetti dalla montatura nera e un abbigliamento piuttosto ricercato. Mrs. Stout, infine, era una donna sulla cinquantina dal seno abbondante e dai capelli rossicci.
Tutte loro indossavano la “divisa” delle segretarie: gonne a tubino subito sotto il ginocchio, camice morbide e scarpe scollate. Ognuna, però, aveva personalizzato il suo modello.
Pam indossava delle scarpe con il tacco basso, più a rocchetto che a spillo, gonne in preferenza blu e camice in preferenza azzurre o rosa. Le decolté di Astrid erano di scamosciato chiaro, con il tacco a spillo di media altezza, le sue gonne erano per lo più grigio antracite, le sue camice spesso a righe sottili. Cora portava solo decolté di pelle nera con il tacco a spillo, non altissimo, gonne scure e camice di seta di colori scuri come il suo rossetto. In quanto a Mrs. Stout era la più anziana e la meno snella, ma era anche quella di livello più alto: portava dei tailleur blu con sotto camice bianche dal collo tondo.
Anche Candace aveva il suo stile, naturalmente: camice di seta bianca o panna, gonna scura e decolté dal tacco alto, nere e affusolate... la sua passione. Aveva un fisico sottile, grandi occhi azzurri, capelli riccioli e castani che portava sempre raccolti in una coda e un bel nasino. Era bella, ma anche le altre lo erano, ognuna a suo modo. Le segretarie delle aziende come quella erano sempre belle. Persino Mrs. Stout doveva esserlo stato, ancora dieci anni prima.
Durante il primo giorno di lavoro, a Candace fu spiegato come rispondere al telefono, chi passare a Mrs. Stout, chi passare agli altri uffici, chi mettere in attesa, di chi prendere il messaggio per poi richiamare. Le venne mostrato come smistare la posta, sia cartacea che elettronica, quali lettere passare, quali gestire in proprio, quali cestinare.
«Non devi mai passare direttamente l’ufficio del signor Wright» le spiegò Mrs. Stout «con un’ unica eccezione: la signorina Sandra. È la figlia. Di solito lo chiama al cellulare, ma se passa attraverso di noi la mettiamo subito in comunicazione con lui, che sia in riunione o che sia con un cliente... a meno che il signor Wright stesso non abbia esplicitamente chiesto di non passargli nessuno, neppure la figlia. Da quando lavoro qua è successo solo una volta, mentre parlava con un membro della famiglia reale allargata. È tutto chiaro?»
Candace annuì.
Quello stesso giorno vide finalmente il signor Wright. Avvenne quasi all’ora di chiusura, alle cinque del pomeriggio. Wright uscì dal suo ufficio, attraversò la sala d’attesa numero due e passò tra le scrivanie contrapposte della sala delle segretarie. Salutò cortesemente la signora Stout, ma alle quattro segretarie della sala non rivolse nemmeno un cenno.
Candace lo vide passare come una sorta di veloce visione, ma riuscì comunque a coglierne i tratti essenziali.
Per prima cosa era alto. Non alto due metri, ma sicuramente più di un metro e ottanta. I capelli avevano un taglio classico, sfumato senza riga, ed erano grigio ferro con alcune striature più chiare alle tempie. Nonostante questo, non doveva aver superato la quarantina. A meno che non si fosse già fatto ritoccare, e in quel caso il chirurgo era stato bravissimo. Il naso era regolare, le labbra non pervenute da quanto erano sottili, gli occhi erano sottili e color ghiaccio, Candace era sicura di non sbagliarsi. E aveva qualcosa di duro della mascella, come se fosse contratta. Se non fosse stato per gli occhi freddi e la mascella contratta, pensò, sarebbe stato affascinante. Anche perché aveva anche un bel portamento e una bella figura snella, accentuata dal completo impeccabile, grigio scuro e quasi scintillante. Ma la sua mascella era davvero respingente e lo sguardo era quello di un alligatore, sembrava calcolare la traiettoria più efficiente per morderti alla gola.
Come Candace scoprì nei giorni seguenti, Wright arrivava in ufficio alle sette in punto. Di conseguenza loro, le segretarie, dovevano fare i turni per coprire le prime due ore. Mrs. Stout gli disponeva sulla scrivania i giornali del giorno e gli faceva trovare un caffè con crema caldo, ma i giornali doveva andarli a comprare l’assistente segretaria di turno, che doveva anche preparare il caffè esattamente alle sette meno tre minuti. Se per caso Wright ritardava di anche solo cinque minuti (evento molto raro), doveva semplicemente buttare il caffè e rifarlo ogni tre minuti finché lui non entrava in ufficio.
A volte il signor Wright si tratteneva oltre l’orario. In quel caso, se necessario, una di loro si tratteneva a sua volta insieme a Mrs. Stout e saltava il turno successivo al mattino.
Tutto doveva funzionare come un orologio svizzero.
Quando arrivava un ospite, era Candace ad andarlo ad accogliere e a farlo accomodare nella sala d’attesa numero uno o due a seconda della sua importanza. In entrambi i casi doveva chiedergli se gradiva un tè, un caffè o qualcos’altro (e, nel caso, procurarglielo subito).
Dopo qualche giorno di lavoro, superò per la prima volta le porte dell’ufficio del capo. Non era un semplice ufficio, era una sorta di suite. C’era il suo ufficio personale, con la grande scrivania e la vetrata che dava su una vista mozzafiato della City, un salotto con tanto di divani, poltrone, mobiletto degli alcolici e frigo-bar, e una grande sala-riunioni.
Qua si tenevano le riunioni settimanali di programmazione con gli operatori del suo reparto. Candace, come ultima arrivata, faceva accomodare gli intervenuti e serviva le bevande, seguendo le tempistiche che le indicava Astrid.
In quanto agli operatori, le sembrarono subito delle versioni un po’ appannate del signor Wright stesso. I loro completi erano un po’ meno sartoriali, i loro tagli di capelli ritoccati meno di frequente e nei loro sguardi albergava una vaga scintilla di umanità. I più anziani erano sulla cinquantina, i più giovani poco più che ventenni. Di donne ce n’erano solo due, su dieci o undici.
E quello di cui parlavano durante quelle riunioni per Candace era incomprensibile come il sumero antico.
I primi due mesi di lavoro filarono senza intoppi. Non era complicato, pensava Candace, bastava essere gentili e molto efficienti. Nessuno pretendeva che lavorassi fino a schiattare come nel suo impiego precedente, anche perché il lavoro era suddiviso in modo sensato e funzionale.
Le sue colleghe non erano espansive, ma neppure antipatiche. Non c’era competizione, tra loro, perché le loro mansioni erano separate.
Le riunioni di programmazione erano l’evento più eccitante della settimana, per Candace, che almeno si schiodava per qualche ora dalla scrivania.
Durante quelle riunioni lei era una specie di maggiordomo invisibile. Era Astrid a occuparsi dell’organizzazione, quindi di caricare le slide o di distribuire le cartelle di documenti appropriate. Candace doveva solo riempire i bicchieri d’acqua e offrire tazze di caffè o tè nella pausa.
Fu precisamente durante una di queste pause che il signor Wright le parlò per la prima volta, dopo due mesi circa dalla sua assunzione.
Fino a quel momento non era successo. Fino a quel momento, in realtà, Wright non doveva averla nemmeno guardata, figuriamoci parlarle. Candace l’aveva sentito parlare, questo sì, con Mrs. Stout o durante le riunioni, la voce bassa e controllata, ma non aveva mai parlato con lei.
Nei due mesi precedenti Candace si era limitata a riempirgli d’acqua il bicchiere durante la programmazione e a includerlo nella domanda “Qualcuno gradisce del tè o del caffè?” durante la pausa. Wright non aveva mai risposto, come se lei non esistesse nemmeno.
Intendiamoci, nemmeno gli altri operatori le rispondevano, a meno che non volessero effettivamente del tè o del caffè.
Quel giorno, però, quando chiese se qualcuno gradiva del tè o del caffè, il signor Wright spostò i suoi occhi da alligatore albino su di lei.
«Vorrei un tè alla menta, signorina Temple» disse, dimostrando che non solo era consapevole della sua esistenza, ma persino del suo cognome.
A parte questo, voleva qualcosa che in ufficio non c’era.
Candace si sentì morire, ma capì subito di dover agire con prontezza. «Se mi concede cinque minuti glielo farò avere, signor Wright. Non è tra le bustine che sono nel carrello».
Wright annuì distrattamente. «Con calma, anche dopo. Ho solo un po’ di bruciore di stomaco».
Candace non perse tempo a dirgli che le dispiaceva. Il suo bruciore di stomaco per lei era un problema da risolvere, nient’altro.
Schizzò verso la sala segretarie e disse a Pam di sostituirla al carrello, spiegando che era un’emergenza. Poi si fiondò nell’ascensore, in strada e fino al bar all’angolo. Letteralmente di corsa, sui suoi trampoli tacco dieci senza plateau. Recuperò una bustina di tè alla menta, lasciò sul bancone cinque sterline e si precipitò di nuovo verso l’entrata del palazzo.