Meno di cinque minuti più tardi, prima che la pausa fosse finita, posava davanti al signor Wright una tazza fumante con una bustina di menta in infusione e accanto due bustine di zucchero, normale e di canna, e una di miele.
Wright si produsse in un secco “grazie” e per un istante sembrò che si sarebbe limitato a quello. Ma poi, come per un ripensamento, si voltò e la scansionò da capo a piedi. «Ha i capelli bagnati» disse.
Candace si portò una mano alla testa. «Fuori piove, signor Wright» concluse.
Lui fece un piccolo sorriso divertito e quello fu tutto. Fine del loro primo avvincente dialogo. Solo più tardi Candace si rese conto che non era solo la prima volta in cui gli parlava, era anche la prima volta in cui lo annusava. E il signor Wright aveva un odore, incredibile ma vero: un odore sottile di pino silvestre. Non un profumo, forse un bagnoschiuma.
E anche se sembrava impossibile che anche lui facesse la doccia come tutti gli altri, Candace dovette ammettere che era piuttosto probabile che invece fosse così.
Il loro primo dialogo non portò, in ogni caso, a un secondo dialogo in tempi brevi. Nel mese successivo Wright la ignorò del tutto, come fosse trasparente, tale e quale alle sue tre colleghe.
Finché, più o meno tre mesi e mezzo dopo essere stata assunta, Candace non ricevette un compito personale. Mrs. Stout la chiamò giusto un quarto d’ora prima delle cinque.
«Il signor Wright vuole un tè alla menta, Candace. Ha detto che tu sai come procurarglielo, se non lo abbiamo tra le bustine. Ma lo abbiamo tra le bustine, vero?»
Candace ammise a malincuore di no, ma disse che sapeva dove procurarsi una bustina in pochissimo tempo.
Rispetto alla volta precedente il bar era molto più affollato, così ci mise cinque minuti abbondanti a fare la sua richiesta e a ricevere la sua bustina. Schizzò di nuovo verso l’ufficio, preparò il tè e lo mise su un vassoio con zucchero e miele.
«Vai a portarglielo. Poi puoi andare a casa» le disse Mrs. Stout.
Candace aprì con un gomito la porta del grande ufficio del capo. Non ci era mai entrata da sola. Dalla grande vetrata entrava una luce grigia, che si mescolava con la tenue illuminazione artificiale. Il signor Wright era seduto alla sua scrivania.
Candace diede un leggero colpo di tosse e si avvicinò con il vassoio. «Il suo tè alla menta, signore» mormorò.
Wright spostò su di lei quegli occhi inumani. Solo che non erano del tutto inumani, quella sera. Sembravano stanchi.
«Dovreste comprarne qualche bustina» disse, prendendo la sua tazza.
«Ha ragione, signore. Lo farò per prima cosa uscendo» rispose Candace, deferente. Poi fece un minuscolo inchino, come ad accomiatarsi.
«Aspetti» disse Wright.
Candace si voltò e aspettò. Forse voleva finire di bere e ridarle la tazza.
Lui bevve, questo sì, senza zucchero né miele, e mentre lo faceva la scansionò di nuovo da capo a piedi come aveva già fatto una volta.
«Vorrei che uscisse, timbrasse il cartellino e rientrasse» disse lui, alla fine. «Ma se non lo fa la sua posizione lavorativa non correrà alcun rischio, vorrei che fosse chiaro».
Candace sbatté le palpebre. Non poteva credere che fosse come sembrava. Cioè, era quasi sicura che non le stesse chiedendo di rientrare fuori dall’orario di lavoro per sbattersela senza nemmeno pagarle i minuti in più, vero?
Lui posò la tazza vuota sul vassoio e lo spinse verso di lei. «Ora vada» disse, indicandole la porta con un cenno del capo.
Candace prese il vassoio, si voltò e uscì. Non sapeva che cosa pensare, semplicemente.
Le sue colleghe stavano uscendo. Astrid la aiutò a mettere tazza e piattino nella piccola lavastoviglie del cucinino e a riporre il resto della roba.
«Dobbiamo comprare delle bustine di tè alla menta» disse lei, con una voce che le sembrò estranea.
Continuò con la normale routine. Mrs. Stout uscì subito dopo di loro, spiegando che il signor Wright aveva ancora un paio di cose da sbrigare, ma che se la sarebbe cavata da solo.
«È sempre così gentile» disse, come se pensasse che permetterle di andare via fosse un riguardo nei suoi confronti.
Scesero insieme in ascensore. Candace continuava a pensarci. Be’, la richiesta di Wright l’aveva sentita. Non aveva detto perché volesse che lei tornasse in ufficio. Poteva essere anche per qualcos’altro, anche se non le veniva in mente niente.
Alla fine, mentre si dirigeva verso la metro, si decise. Era molto semplice: se cedeva alla curiosità e tornava indietro doveva accettare di dargliela, se era quello che voleva; se non tornava non l’avrebbe mai saputo, perché comunque era sicura che Wright non gliel’avrebbe chiesto una seconda volta.
Ruotò suoi tacchi e ripercorse i propri passi verso la Campbell Optimum.
Riprese l’ascensore fino al decimo piano. Le sembrava tutto silenzioso, anche se sapeva che molti degli operatori erano ancora al lavoro. Ma i loro uffici erano a un piano diverso, così quando le porte dell’ascensore si aprirono lo fecero davvero su una sala d’attesa silenziosa e con le luci smorzate.
Candace si sfilò il cappotto e lo lasciò sulla propria scrivania, poi attraversò la seconda sala d’attesa. La porta dell’ufficio di Wright era socchiusa.
«Signore?» disse, spingendo un battente.
«Entri, signorina Temple» rispose la sua voce.
Era ancora alla scrivania e stava guardando qualcosa su uno dei monitor. Dopo qualche istante alzò lo sguardo su di lei.
«Si metta sul divano».
Nel suo ufficio non c’erano divani, quindi Candace tentennò un attimo, prima di andare verso l’altra stanza, il salotto. Anche qua le luci erano smorzate.
Si sedette sul morbido divano di pelle. Nonostante tutto non era ancora sicura di che cosa volesse Wright da lei. O meglio... sembrava esserci un’unica soluzione, ma per qualche motivo le sembrava incredibile.
Per qualche minuto se ne restò seduta lì, in silenzio, mentre lui, nell’altra stanza, finiva di guardare qualsiasi cosa stesse guardando. Poi Wright comparve sulla porta, con un bicchiere in mano.
Si avvicinò e glielo porse. Sembrava distaccato come suo solito. «Forse vuole bere un sorso?»
Candace scosse la testa. Wright, per la prima volta da quando era rientrata, le rivolse un sorriso. Minuscolo, più sarcastico che ironico. Buttò giù lui un sorso di whisky o di quel che era, per poi posare il bicchiere su un tavolino.
«A quattro zampe andrebbe bene» le disse, tornando a guardarla.
Candace ne fu quasi delusa. Quindi era quello, sul serio. Tutto lì. Non era nella condizione di tirarsi indietro, ormai, e sinceramente non le importava nemmeno. Wright non aveva niente di ripugnante, a parte lo sguardo, si poteva persino considerare bello. E lo sguardo non contava, visto che tanto stava per dargli le spalle.
Si alzò e risalì sul divano, questa volta con le ginocchia. Poi posò anche le mani sui cuscini di pelle. Una parte di lei le diceva che doveva essere matta. Lasciarsi scopare così, da uno sconosciuto?
Be’, non è uno sconosciuto.
Lasciarsi scopare così, da uno che si aspettava esattamente quello che stava succedendo: che lei obbedisse agli ordini? Senza che nemmeno le chiedesse la sua opinione. Senza nemmeno fingere interesse?
E poi... c’erano altre cose da considerare. Poteva farle male, ora che erano da soli. Forse voleva qualcosa di strano, da lei. Cioè, di più strano.
Certo, potrebbe anche uccidermi, ma... Wright? Siamo seri.
Anche se poi, Wright non sembrava nemmeno il tipo da chiedere a una segretaria di tornare in ufficio per farsi sbattere, quindi...
Le riflessioni di Candace furono interrotte da un movimento alle sue spalle. Il divano si incurvò sotto il peso di Wright. Subito dopo sentì le sue mani che le tiravano su la gonna. Delicatissime, quasi impalpabili. La tirarono su fino alla vita, scoprendole le gambe e il sedere.
Un altro attimo di immobilità, poi Wright le tirò giù anche i collant e gli slip, insieme. Non li lasciò cadere alle ginocchia, ma si limitò ad abbassare tutto giusto al di sotto del sedere.
«Forse le servono un paio di minuti per prepararsi?» le chiese lui.
Nella sua voce c’era un accento nuovo, per quanto quasi impossibile da percepire. Il suo normale tono basso era anche leggermente arrochito. Era eccitato? Per qualche motivo il pensiero mandò giù per la colonna vertebrale di Candace un brivido caldo, piacevole, sensuale.
Allargò appena le cosce. «No, non mi servono» disse.
Anche la sua voce era leggermente arrochita. E il suo sesso iniziava a essere umido, forse solo per la stranezza della situazione.
Sentì un rumore. Uno strappo. Capì che Wright stava indossando un preservativo. Be’, a quel punto non c’erano dubbi che fosse eccitato, anche se Candace non poteva vederlo.
Un attimo prima di sentirlo davanti all’ingresso della fica, si chiese di che dimensioni fosse. Sperò in una taglia media, perché una taglia forte le avrebbe fatto male, così a freddo, una taglia piccola sarebbe stata triste.
Lui le guidò dentro la cappella. Sì, indossava un preservativo. Candace si rese conto di essere tutta contratta e che entrare per lui non era così facile. Prese fiato e si inarcò un pochino, spingendo il sedere verso l’alto.
Wright le posò una mano su una natica, poi le scivolò lentamente dentro. Era una taglia medio-grande e Candace decise che le serviva un po’ di aiuto.
Al momento era solo una sgradevole intrusione, ma se iniziava a muoversi...
Si portò una mano tra le gambe e si accarezzò il clitoride. Wright le palpò le natiche, le separò lievemente ed emise un vago suono di soddisfazione. Candace poteva supporre che lo spettacolo fosse piacevole. Aveva il sedere tondo e sodo, lo sapeva, e vedersi entrare doveva essere sexy.
Si titillò fino a provare una sorta di piacere. Il cazzo di Wright non le sembrò più un elemento estraneo, ma un ingombro gradevole, che la riempiva, la tendeva e le arrivava facilmente fino in fondo.
Si rese conto che Wright aveva il fiatone e decise di tormentarlo un po’, finché se ne stava lì, fermo, con l’attrezzo dentro di lei.
Lo strinse.
Gli strizzò l’uccello con la fica e lo sentì emettere un gemito eccitato. Ormai ansimava. Continuava a toccarle il sedere con gesti sempre meno misurati, allargandole le chiappe e strizzandole con le mani.
Candace lo strinse di nuovo e lui iniziò a muoversi.
La prese per le cosce, si ritrasse e le affondò dentro. E poi ancora. Senza una parola. Candace lo sentiva che le spingeva dentro, che la allargava, che la riempiva, e il movimento a stantuffo dei suoi fianchi la stava eccitando sempre di più.
Wright continuava a scoparla a ritmo monotono ma non sgradevole. A parte entrambe le mani a tenerla ferma mentre la sbatteva, non toccò nient’altro. Non le palpò le tette e pareva aver deciso di lasciare fuori anche le chiappe, ora che era in movimento.
Candace chiuse gli occhi e si concentrò.
Lo immaginò dietro di sé, nel suo completo sartoriale grigio scuro, tutto vestito tranne, be’, l’uccello. Anche se poi era vestito anche quello. Rivestito da un preservativo. Provò a immaginare la sua faccia distorta dal piacere ma non ci riuscì. Anche se lo sentiva ansimare, non riusciva a visualizzarlo mentre godeva.
Invece, si concentrò sul suo cazzo. Le entrava dentro in modo fluido, ormai, perché tutta la situazione era eccitante, nella sua assurdità. Le arrivava fino in fondo, spingendo leggermente sulla sua cervice, ma non apposta, non per farle male. E la sua fichetta... era congestionata e sensibile, a quel punto, dischiusa e bagnata, pulsante e non troppo lontana dall’orgasmo.
Wright grugnì e Candace lo sentì accelerare. Si sgrillettò più forte, chiedendosi se gli stesse piacendo. Se gli piacessero il suo culo e le sue cosce e il modo in cui si lasciava montare, remissiva ma non passiva.
Wright le affondò dentro con forza una, due, tre volte. Candace emise un gemito basso, sentendo il piacere che si avvicinava.
Ma lui si fermò prima.
Evidentemente aveva finito. Si sfilò e Candace lo sentì armeggiare con il preservativo. Poi il rumore di una zip che si chiudeva.
«Ora può andare, signorina Temple» le disse, pochi istanti dopo.