2.
Era libera di andare dove volesse e c’era sempre un servitore pronto a soddisfare i suoi desideri. Sarebbe stato perfetto, se Amintha non fosse stata abituata a dubitare della perfezione.
Il suo secondo giorno di permanenza si fece portare da Barry dei vestiti da viandante e uscì a esplorare la città. Ammirò i palazzi lussuosi e le grandi chiese, le piazze affollate e il mercato pieno di merci. Era una città prospera, molto più prospera di altre. E la relativa vicinanza di Carcassone si faceva sentire.
Per strada non parlò con nessuno, ma ascoltò. Del vescovo non dicevano molto, il che era strano. Amintha si sarebbe aspettata che un uomo come lui fosse sulla bocca di tutti. Invece, le parve di capire, i tolosani lo consideravano un innocuo smidollato, troppo morbido nel suo ruolo di inquisitore e facilmente corruttibile.
Trovò molto astuta la fama che si era costruito.
Scivolò di nuovo dentro al palazzo di de La Forge al calare del sole, con il cappuccio abbassato sugli occhi. Dalle cucine passò al piano nobile senza che nessuno facesse caso a lei, portandosi dietro un filone di pane.
Nathaniel la mandò a chiamare poco dopo. Barry la accompagnò fino a una lunga sala dal pavimento di nude assi di legno e dal soffitto a sesto acuto, magnifica nella sua semplicità. Su un lato, una grande panoplia mostrava decine di armi diverse, dalle spade, alle picche, alle lance, alle clave, alle mazze, ai pugnali, alle scimitarre degli infedeli, ai bastoni dall’impugnatura appesantita, alle daghe, ai martelli... Amintha non aveva ancora finito di guardarle tutte quando Nathaniel fece il suo ingresso.
Era in abiti vescovili, ma si stava liberando della cappa magna, il lungo mantello con strascico, proprio in quel momento. La buttò da una parte e iniziò a sfilarsi la rocchetta, la ricca sopravveste di broccato chiaro foderato di viola. Una volta rimasto in abito talare di raso viola, senza più la croce pettorale né lo zucchetto, Nathaniel incrociò le braccia sul petto e le rivolse un’occhiata divertita.
«Stiamo per combattere, pellegrino. Fossi in te mi metterei comoda».
Amintha gli rivolse un mezzo inchino rispettoso, prima di sfilarsi gli stivali e le calze. Poi la casacca con il cappuccio e la maglia di lana, fino a indossare solo i calzoni aderenti e la fascia che aveva usato per comprimere il seno.
Anche Nathaniel si liberò degli stivali, ma rinunciò anche a quasi tutto il resto, tranne una sorta di sublingaculum, una fascia di moda decisamente antico-romana che gli circondava i fianchi e gli passava tra le gambe. Amintha doveva ammettere che, per quanto fosse un capo di abbigliamento bizzarro, doveva svolgere in modo pratico la sua funzione.
Nathaniel finì di allontanare con un piede i vestiti e si fece avanti.
«Prima di cominciare: sei ancora ferita da qualche parte?».
«Non troppo» rispose lei, che non aveva intenzione di soffermarsi sull’argomento.
Nathaniel accettò la sua riservatezza con un cenno del capo... e la attaccò.
Amintha non era giovane, nonostante il suo aspetto lo suggerisse, e aveva molti anni di allenamento alle spalle, ma non si era mai misurata con un avversario così. Neppure il suo maestro aveva combattuto così.
Sembrò che Nathaniel le scivolasse attorno come vento, per poi colpirla con forza a un fianco e sbatterla per terra. Amintha gemette e rotolò, rialzandosi, ma venne colpita subito dopo alla schiena, poi all’altro fianco, poi tra le gambe, con una forza che non si sarebbe aspettata.
Quell’ultimo colpo, un calcio, la fece volare di nuovo per terra, ma questa volta lei non riuscì ad alzarsi. Rimase accasciata su un lato, con un dolore pulsante che sembrava risalirle la pancia e lo stomaco che premeva per liberarsi.
Nathaniel si accucciò accanto a lei. Non aveva neppure il fiatone.
«C’è parecchio da lavorare, sai» le disse.
Amintha non riusciva neppure a respirare. Si portò una mano alle fasce che le comprimevano il seno e le strappò, per poi gonfiare finalmente i polmoni.
«Sì, quello è stato il primo errore. Il secondo è stato ammettere di non essere ancora del tutto guarita».
Lei lo fissò, lo sguardo velato di dolore, e Nathaniel le rivolse un sorriso di scuse.
Riuscì a rialzarsi su un gomito, ora imbarazzata per la propria debolezza e per la propria nudità. Tossì.
«Non ha... importanza. Siete troppo... veloce».
Nathaniel la prese per un braccio e la tirò su. «Mi muoverò molto più piano, ora. Ma devi cercare di trarre energia dalla Soglia, non di bloccarla».
«Intendete continuare?».
«A meno che tu non stia sanguinando».
Amintha si mordicchiò il labbro inferiore. «Non sono sicura. Non sono sicura che non sia un bene, in ogni caso».
«La mia natura non è molto compassionevole, immagino che te ne sia accorta. Se stai male, dillo. Altrimenti continuiamo».
Amintha annuì e si rimise lentamente in posizione. Fino a pochi giorni prima avrebbe usato i lunghi capelli scuri per coprirsi i seni, ma non aveva più quella possibilità, quindi li schermò parzialmente con gli avambracci. Poi si chiese quando fosse diventata un’idiota e si mise in guardia davvero fregandosene se Nathaniel poteva vederle le tette – che tra l’altro aveva già visto più volte.
«Questo è giusto» commentò lui. «Quando combatti il tuo corpo è solo un mezzo per raggiungere l’obbiettivo. Ora respira».
Amintha lo fece.
«Percepisci la Soglia, diventa permeabile alla sua forza... respira. Concentrati su te stessa. Sul tuo corpo, i tuoi muscoli, le tue ossa. Visualizza ciò che stai per fare...»
Amintha attaccò senza lasciargli il tempo di finire. Nathaniel deviò il suo braccio come se stesse scacciando una mosca, glielo intrappolò e la fece volteggiare a terra.
La tirò di nuovo su. «In generale approvo l’idea di prendere alla sprovvista il tuo avversario. Nel caso specifico, non eri pronta».
«Sì, maestro» sospirò lei.
«Di nuovo. Respira. Fai passare l’energia, non bloccarla. Scivola... visualizza... cambia strategia... attacca ancor prima di aver finito di pensare la nuova mossa».
Amintha scattò in avanti, si spostò e provò a bloccare Nathaniel per le spalle e a colpirlo con una testata. Non ci riuscì, ma i loro busti cozzarono con violenza e per una volta Amintha non finì per terra. Poi lui sembrò chinarsi con tutta calma, prenderla per le caviglie e farla volare sul pavimento di legno lucido. Amintha se lo trovò seduto sulla schiena, con una mano attorno al collo che la tirava verso l’alto. Si inarcò per non venire soffocata. Si portò le mani dietro alla testa e gli afferrò i capelli. Nathaniel non fece resistenza. Si piegò in avanti finché la sua bocca non fu all’altezza dell’orecchio di lei e le leccò il lobo.
Amintha si irrigidì solo per un istante. Perse la concentrazione e Nathaniel la rivoltò come una bambola di pezza, le intrappolò i polsi dietro alla schiena e la schiacciò di nuovo a terra.
«È un punto debole colossale, Amintha. Ti toglie tutto il vantaggio di essere una signora. La maggior parte dei tuoi avversari saranno maschi. Guarda la posizione in cui siamo... perché non ti stai strusciando come una gatta?».
«F-funzionerebbe?».
«Con me? No. Ma è un buon modo per distrarre il tuo avversario. Poco fa... avrei potuto mordertelo, l’orecchio. Be’, avrei potuto anche staccartelo, ma non sarebbe stato carino. Sapendo che cosa ti spaventa...»
«Ho... capito» disse lei. «Per... favore... lasciatemi».
Nathaniel si rialzò con un gesto fluido, tirandola su con sé. Le circondò la vita con un braccio, ma in modo morbido, lasciando che lei si appoggiasse al suo petto. Amintha sentì la peluria di lui sotto i seni e provò... una sensazione ambigua.
«Non sono deluso» mormorò Nathaniel, vicino all’orecchio di lei. «Non è quello che ti stai chiedendo?».
«No». Un sospiro. «No, non ho paura di deludervi... per il momento. Ma non so come scacciare la sensazione di disgusto... di timore. Avete ragione, lo vedo chiaramente, ma non so come fare».
«Oh, me ne occuperò con calma. Ho tutte queste stupide incombenze, capisci. Messe, funzioni, processi, torture... ma il Faro non ha detto che la guerra sarà dopodomani: abbiamo tempo. Vuoi dormire nel mio letto?».
Amintha ripensò al calore e alla seta sulla pelle. Non era sicura di trovare l’idea allettante solo per quello.
«Sì».
«Non sarò da solo, almeno all’inizio della serata».
«Va bene».
Nathaniel la lasciò andare e cominciò a rivestirsi senza una parola.
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Prese un bagno in una colossale tinozza di rame. Quando uscì per farsi assistere dalle sue servitrici lasciò graziosamente che Amintha si lavasse nella sua acqua sporca. Che poi non era molto sporca, dato che lui non aveva praticamente sudato, ma dimostrava quale posto nel mondo avesse lei ai suoi occhi.
La giovane Marie cosparse il suo corpo di essenze profumate e nel farlo si inginocchiò ai suoi piedi. Gli strofinò la faccia tra le gambe come un cagnolino fedele e di nuovo ad Amintha fece tenerezza. Nathaniel evidentemente la vedeva in un altro modo. Le allontanò gentilmente la testa e le prese la faccia tra le mani perché lo guardasse e riuscisse a leggere le sue labbra. Le ordinò di chiamare una certa Colette. Marie se ne andò con aria abbattuta.
Amintha uscì a sua volta dalla vasca. Prese un telo dal cassettone e si asciugò sbrigativamente. La sua pelle chiara iniziava a rivelare i lividi, dove Nathaniel l’aveva colpita. Sentì i suoi occhi percorrerle il corpo, freddi e distaccati. La valutavano, ma Amintha non era in grado di capire quali fossero i parametri che seguiva. Si vergognava per la completa nudità che gli presentava e si vergognava ancora di più per la totale mancanza di peluria. Le mancavano i suoi capelli, ma in quel momento quello che trovava umiliante era che le avessero rasato il sesso.
Si era guardata nel grande specchio che c’era nella sua camera, dopo che il guaritore l’aveva curata, e si era trovata impudica, indecente. Non aveva più visto il proprio sesso da quando era bambina... ed era stata bambina moltissimi anni prima. Lo ricordava liscio e paffuto, una piccola albicocca chiusa. Ora lo ritrovava... diverso. Brutto, in verità. Bruno, esposto, lucido, con un grumo di carne ripugnante in alto. Ripugnante e gradevole, lo sapeva, ma aveva preferito quando era stato nascosto quasi del tutto dai riccioli scuri che le coprivano la forcella delle gambe.
L’idea che Nathaniel ancora una volta la esaminasse come a cercare i suoi difetti la metteva a disagio e trovava umiliante quel dettaglio in particolare.
«Com’erano i tuoi capelli?» le chiese.
La domanda colse Amintha di sorpresa. La guardava da qualche minuto e non sembrava che volesse parlarle.
«Scuri. Castano scuro. Riccioli».
Lui socchiuse gli occhi come se tentasse di figurarsela. Alla fine scrollò le spalle. «Oh, suppongo che prima o poi li vedrò».
Le fece cenno di seguirla e la precedette nella sua magnifica stanza da letto. L’aria era tiepida e aveva un buon profumo, il camino mandava bagliori vaghi e rossastri. Non sembrava che Nathaniel sentisse il bisogno di vestirsi, né di dare a lei qualcosa da indossare per la notte.
«Sali per prima» le disse.
Amintha si arrampicò sul grande letto sopra alla stufa. Le coperte e le lenzuola erano piacevolmente calde. Si stese con la schiena contro alla parete, come se il gesto potesse proteggerla.
Stava per infilarsi tra le coperte quando Nathaniel salì a sua volta e si allungò davanti a lei. A pancia in su, le gambe e le braccia lievemente aperte. Si metteva in mostra come un pavone, pensò Amintha.
«Vieni qua» disse lui.
Amintha si irrigidì. Subito dopo capì che Nathaniel non parlava con lei, ma con la donna bruna e formosa che era comparsa silenziosamente ai piedi del letto. Doveva essere Colette.
Colette si liberò della vestaglia di raso e salì sul letto. Sotto portava una camicia da notte di tessuto impalpabile, oro, che sembrava liquida sul suo corpo bruno.
«Eccellenza...» mormorò.
Nathaniel si allungò verso di lei. «Mm... sì, vieni qua, tesoro».
Colette lanciò uno sguardo confuso verso Amintha, ma si affrettò a distoglierlo, forse turbata dalla sua assenza di capelli.
«Non badare a lei» sorrise Nathaniel, accarezzandole una spalla, nuda. «È una novizia. Le sto tenendo un corso accelerato di peccato, in modo che quando si sarà dedicata completamente a Cristo resistere alla tentazione le sia più difficile».
Colette si chinò sul suo petto e iniziò a baciarlo. «Monsignore, scherzate sempre...»
«Sono serissimo. È facile resistere a una tentazione di cui non hai mai provato il dolce sapore. È un ben misero sacrificio da presentare a Dio. Rinuncia a qualcosa che agogni e così sarai salvata. A che cosa dovresti rinunciare, Colette? Nel caso volessi andare in Paradiso, intendo».
Lei rise sottovoce. Una risata morbida e calda, sensuale. «Alle vostre mani, monsignore» disse, prendendogliele e portandosele ai seni.