Nella foga della corsa, non l’aveva proprio notata. Era arrivato e non lo sapeva. L’avrebbe abbracciata per la gioia.
“Grazie. Grazie infinite, Signora. Mi ha ... salvato.”
“Ooh, per così poco, caro. Da che parte devi andare di St. James’s Park?”
“Alla Duck Island.”
“Perfetto allora. Devi solo attraversare il Mall. C’è un ingresso proprio lì davanti, poi prendi il sentiero a sinistra e vai sempre diritto. Quando vedrai gli uffici del parco, sulla tua destra, sarai a metà strada. Prosegui ancora diritto, dopo poco vedrai la riva del lago. Il passaggio per l’isola, è un po’ più avanti sulla destra.”
Ares le rivolse un sorriso pieno di riconoscenza, ringraziandola più volte, anche mentre tornava indietro sulla Waterloo Place. Giunse in un attimo alla scalinata che scese rapidamente, rincuorato dalla vista del parco che si estendeva di fronte a sé oltre il Mall.
Varcò l’ingresso di St. James’s Park con animo alleggerito. Non vedeva l’ora di raggiungere la Duck Island. Lì c’era il varco per LumenLondon e sarebbe stato al sicuro. Si guardò intorno: c’erano pochi passanti. Di Greenman nessuna traccia. Forse era riuscito a seminarlo o, più probabilmente, l’uomo aveva deciso di lasciarlo perdere.
L’idea di percorrere un tratto di strada non proprio breve in mezzo a un’area fittamente alberata non gli sorrideva affatto. Forse avrebbe fatto meglio a costeggiare il parco per la Horse Guard Road, ma non era sicuro che ci fosse un accesso proprio in corrispondenza della sua destinazione e non voleva correre rischi di allungare ancora di più la strada. Prese un profondo respiro e si incamminò. Il buio rendeva quel posto, che solo qualche ora prima aveva così tanto apprezzato, piuttosto lugubre. Le ombre si moltiplicavano all’infinito tra la vegetazione scarsamente illuminata. Procedendo a passo svelto, Ares controllava spesso alle sue spalle, sentendosi poco a suo agio, anche se non avvertiva più la sensazione provata a St. James Square. Pensandoci, rivide quel volto e l’angoscia gli montò in gola. Nella mente gli balenò l’idea di produrre un kuxin e montarci sopra per fuggire via di lì, ma la vista delle indicazioni per gli uffici del parco lo fece desistere. Le piante cominciarono a diradarsi e, intravvedendo il lago, si sentì confortato, anche se non era tranquillo. Il luogo era parecchio più sgombro e il viale che stava percorrendo gli sembrò più illuminato. Alla sua destra notò gruppi di anatre e oche assembrate e famiglie isolate di cigni. Instancabili, i gabbiani solcavano la distesa lacustre, alcuni a pelo d’acqua, altri più in alto, tutti stridendo ripetutamente. Gli avevano fatto sempre simpatia i gabbiani. Seguendoli in cielo, notò un uccello molto grande, quasi il doppio di loro, con una lunga coda biforcuta. Il volatile fece ampi giri poi, come se si fosse accorto di lui, si gettò in picchiata nella sua direzione. Ares rimase per qualche istante immobile, finché non si rese conto di essere proprio lui il suo obiettivo. Si mise a correre in modo scomposto e, avvertendo il volatile sempre più vicino, si piegò istintivamente in avanti. Il piede incespicò sul terreno irregolare e la posizione sbilanciata lo fece cadere appena in tempo per evitare di essere investito. Sentì distintamente le lunghe penne caudali spazzolargli la testa prima di rialzarla e vedere che il pennuto aveva ripreso quota. Si alzò rapido, raccogliendo alla svelta il suo regalo e riprendendo la corsa. Riuscì a fare solo qualche metro, prima di trovarselo davanti. Visto così da vicino, ad ali spiegate, era enorme: doveva avere quasi due metri di apertura alare e un corpo di non meno di mezzo metro. Evitò l’impatto frontale buttandosi di lato, rotolando più volte sul terreno erboso, freddo e zuppo d’acqua. Recuperò il pacchetto e si rialzò dolorante. Guardò in alto, scorgendovi il suo inseguitore. Si mise a correre, costeggiando la riva, in direzione della sua meta. Chissà per quale ragione quell’animale ce l’aveva su con lui. Non aveva familiarità con le varie specie di uccelli anche se, quando aveva acquistato il suo Sibilus, gli era stata consegnata una corposa guida che descriveva brevemente le numerosissime varietà di Volucres. In quel momento si pentì di non averla letta. Almeno avrebbe saputo con che bestia aveva a che fare. Di una cosa però era certo: non era un’oca e neppure un cigno. Continuando a correre, scrutò di nuovo il cielo. A vista d’occhio, era deserto. Si fermò per osservare meglio: nessuna traccia di volatili di nessun tipo. Riprese il suo cammino a passo veloce, raggiungendo in pochi minuti i passaggi che collegavano la Duck Island con la terra ferma. Volendo evitare il più possibile di dover percorrere zone dense di vegetazione, prese il primo che era il più sgombro, al termine del quale, tuttavia, trovò qualcuno ad attenderlo. Appollaiato su un palo di legno, illuminato dai raggi lunari quanto bastava per poterlo distinguere chiaramente, un grosso rapace lo stava fissando. Notò il piumaggio color camoscio striato di nero del corpo, il capo bianco-grigio, gli occhi gialli, come la base del becco dal poderoso rostro nero. Lo riconobbe: era un nibbio reale. Si mosse in avanti, circospetto. Il predatore rimase immobile anche quando gli passò davanti, limitandosi a seguirlo col suo sguardo truce.
“Eri tu prima, vero?!” lo apostrofò, contrariato. “Si può sapere che vuoi da me?!”
La risposta fu un lungo fischio modulato, che lui non seppe interpretare. Decise che aveva già fatto abbastanza tardi e proseguì, senza perdere d’occhio il nibbio. Per arrivare al varco con LumenLondon doveva addentrarsi per un bel pezzo nell’isoletta, la cui vegetazione era in numerosi punti molto fitta. Pensò che, forse, questo avrebbe impedito al rapace di attaccarlo nuovamente. Camminò quindi rasente agli alberi, sotto le loro fronde, controllando spesso attorno a sé. Arrivato al grande salice a nord-ovest, tirò un profondo sospiro di sollievo. Si guardò attorno: era solo. Estrasse il suo Segno da dietro la schiena e, pronunciata la formula, si aprì il varco che varcò di gran carriera, richiudendolo subito alle sue spalle. Per riprendere fiato, respirò a fondo più volte, rendendosi conto solo in quel momento di avere diverse abrasioni sulle palme delle mani, che sanguinavano col brecciolino conficcato nella carne. Giaccone e pantaloni erano vistosamente macchiati di fango un po’ dappertutto. Prima di dirigersi verso la stazione di Camlas poco distante, si ripulì con uno degli incanti imparati da poco e si riassettò, tornando presentabile. Mani, ginocchia e una spalla gli facevano male, ma non conosceva nessun rimedio per medicarsi, né per lenire il dolore.
Fino a casa Peak rimase teso, con tutti i sensi all’erta, rilassandosi solo dopo aver varcato la soglia e rallegrandosi che non ci fosse ancora nessuno. Salì in fretta nella stanza che divideva con Archie e si fece una doccia veloce. Aveva diverse ecchimosi provocate dalle violente cadute, ma decise di non dire niente, sperando che i signori Peak non notassero lo stato delle sue mani. Indossò abiti puliti e quindi scartò il libro che Byron gli aveva regalato, controllandolo con cura: per fortuna non si era danneggiato. Lo ripose nel suo armadio e gli venne in mente che Wilma aveva ancora il suo Mistagogo. Sentì la porta d’ingresso aprirsi e scese a pianterreno. Era Archie assieme ai suoi. I signori Peak confermarono che lo zio Richard stava un po’ meglio, ma le loro espressioni erano preoccupate, malgrado cercassero di non darlo a vedere. Ares non vedeva l’ora di raccontare all’amico ciò che gli era successo, ma fu costretto ad aspettare fin dopo cena.
“Allora ... come è andata?” si informò Ares, non appena furono nella loro stanza.
Non gli erano sfuggite le diverse occhiate eloquenti che Archie gli aveva lanciato e, sapendo quanto fosse ansioso di metterlo a parte delle sue scoperte, aveva preferito lasciarlo parlare per primo.
Il suo viso si illuminò di un’espressione furba. “Sono arrivato appena in tempo per vedere Beltran e la sua squadra entrare nella stanza dello zio. Non si sono neanche accorti di me e per fortuna non c’era nessuno in corridoio. Non ho perso tempo a provare col Subaskulti, ho subito attivato il Superinf – Ah! Ho deciso di chiamarlo così. SuperInformator è troppo lungo. – che ha funzionato a meraviglia. Per un bel po’ hanno parlato delle condizioni dello zio. Non ho capito un granché, tranne che le ustioni e le lesioni interne stanno rapidamente sanandosi. Erano tutti molto soddisfatti.”
“Be’ ci credo! Se pensi che è stato ricoverato in condizioni disperate neanche due giorni fa!”
“Già. Sono proprio contento che quella Holly Wynnstan sia riuscita a trovare la cura giusta.”
“A proposito! Quelle due hanno detto che insegna ancora alla Domus. Tu l’hai mai vista?”
Archie scosse il capo. “Le materie e i docenti dell’ultimo biennio sono top-secret per gli anni inferiori.”
“Va be’. E cos’hai sentito d’altro?”
“Lo zio, che comunque era ancora molto sofferente e parlava a fatica, si è informato sui suoi compagni ricoverati. Era molto sollevato, quando gli hanno detto che stanno tutti meglio e alcuni saranno dimessi già nei prossimi giorni, per altri ci vorrà un po’ più di tempo. Lo zio resterà al Santemple più a lungo di tutti ... Hanno parlato di una decina di giorni che, per quello che gli è capitato, mi sembra davvero un’ottima notizia.”
Ares concordò, assentendo vigorosamente e poi appurò. “Hanno fatto nomi?”
“Purtroppo, no.”
“C’è altro? Nessuno, per caso, gli ha domandato come è successo?”
“Macché! Ci speravo, ma niente. Magari glielo hanno chiesto in un altro momento, appena ha potuto parlare.”
“Peccato.”
“Sì. So, che non è molto. Ma hanno parlato praticamente solo di cosa aveva, delle cure che gli stavano facendo e dei loro effetti.” confermò l’altro, sconsolato.
“Dovevamo immaginarcelo. Comunque, è sempre qualcosa.” Sospirò e, come spesso gli capitava, si passò le mani tra i capelli per ravviarli. Quel leggero contatto riaccese il bruciore intenso alle palme escoriate. “Ti devo dire cosa mi è successo oggi.”
Al termine del suo racconto, che l’amico ascoltò con attenzione in silenzio, Archie si scompigliò rapido i riccioli, prima di chiedere titubante. “Ma ... ma tu sei ... Sei proprio sicuro di ... di ciò che ... hai visto?”
Lui si accigliò e, mostrando le mani ferite, si limitò a ribattere, asciutto. “Vuoi vedere anche i lividi?”
“No. Non mi riferivo all’incidente col nibbio. Parlavo di ... Greenman.”
Aggrottò ancora di più le sopracciglia, riflettendo qualche lungo istante prima di replicare. “Cosa ti fa essere dubbioso?”
L’altro esitò a lungo prima di decidersi a rispondere. “Il fatto è che ... Non è ... normale.”
“Normale?! Certo che non è normale che uno vada in giro con la faccia coperta di foglie!”
“No ... Non quello. Tu non puoi sapere, ma non è normale, che un Lumen si manifesti tra gli Opachi.”
“Non capisco. Vuoi dire che i Lumen non circolano liberamente nelle aree Opache?! Mi risultava il contrario ... guarda me. Oggi sono andato in giro per la Londra Opaca come se niente fosse, almeno finché non mi è capitato ciò che ti ho detto.”
“Certo che i Lumen possono farlo. Ci mancherebbe. Ma non possono usare l’Antica Sapienza nel Mondo Opaco.”
“Ah! Sapevo che era proibito agli Oscurati, ma ...”
“Ti ricordi male. È il contrario.”
“Scusa?!”
“Un Lumen commette una grave infrazione alla Lex, se fa uso dell’Antica Sapienza nel Mondo Opaco, mentre è tollerato che un Oscurato ne faccia un uso limitato, ma non per avere particolari vantaggi e mai pubblicamente, rispettando – è ovvio – anche le leggi Opache. Come sai nel Dipartimento di Vigilantia c’è una sezione speciale, che tiene d’occhio le Sapienze non autorizzate fatte nel Mondo Opaco da Lumen e Oscurati. Da quanto ne so – e non solo perché me l’ha detto mia madre che, magari, voleva solo spaventarmi – i Vigiles sono efficientissimi. Pare che abbiano un sistema di controllo, che rileva all’istante l’infrazione e subito interviene qualcuno di loro sul posto.”