“Zitta! Zitta!” gridava a voce strozzata Archie, mentre era affannato a cercare qualcosa nei cassetti della scrivania.
“Te’! Tieni e taci!” le intimò, allungando il biscotto frutto delle sue ricerche, che il Volucer afferrò subito col becco, finalmente zittendosi e permettendogli di staccare dalla zampetta un tubicino.
Richiusa la finestra, dopo aver fatto uscire non senza fatica il pennuto che pretendeva a gran voce un’altra mancia, Archie tornò al letto dove lui lo aspettava ansioso di sapere. Gli sedette accanto e aprì il tubetto, facendone scivolare fuori il contenuto, che subito Ares ingrandì col suo Segno. L’amico svolse rapidamente una lunga lettera: era la risposta di Tib&Tuc. Lessero avidamente in silenzio, guardandosi in faccia al termine.
“Siamo a cavallo, amico!” esclamò Archie, colpendo con la mano aperta la palma di Ares che sorrideva soddisfatto.
I compagni inventori avevano battezzato l’incanto capace di neutralizzare l’Audiosigeli: SuperInformator. Nome che aveva entusiasmato Archie, perché rispondeva pienamente alla sua convinzione che, utilizzandolo, loro non spiavano, ma si informavano e a buon diritto. Il controincanto era complicato, ma i due amici erano sicuri che con un po’ di pratica sarebbero riusciti a padroneggiarlo alla perfezione e rapidamente.
“Per domenica sera dobbiamo inventarci qualcosa per loro.”
“E perché?” domandò Ares, con un’occhiata maliziosa.
“L’hai letto anche tu, che mi metteranno sotto torchio per sapere a cosa mi serviva la loro invenzione!”
“Certo.” confermò con un sorrisetto. “La loro amicizia va premiata con la ... verità.”
“Intendi dire, che vuoi raccontare tutto?”
Lui piegò la testa da un lato e dall’altro. “Tutto ... No. Per esempio, non rivelerei di sicuro che Mira ci vuole aiutare ...”
“A nessuno? Nemmeno ad Astrea?”
“No. Ad Astrea lo diremo. Di lei ci si può fidare ciecamente.”
“Be’ anche di Tib&Tuc ... Dopo tutto ci hanno rivelato subito il loro segreto senza fare domande.”
“Sì, certo. Ma la posizione di Mira è delicata e meno gente sa che le abbiamo detto tutto, meglio è.”
“Sì, forse hai ragione.” Archie si passò di nuovo la mano tra i capelli. “Accidenti, però! Non potevano darsi una mossa prima? Stasera non se ne parla di spi... di informarci, visto che i miei stanno per uscire e tornano tardi.”
“Be’ ci sono ancora due giorni e mezzo, prima di partire domenica dopo pranzo. E poi il loro ... rimedio non vale solo per le conversazioni casalinghe.” obiettò lui, con espressione scaltra. “Domani, subito dopo pranzo, io andrò a incontrare il Direttore dell’Istituto dove stavo prima, ma tu – se non sbaglio – tornerai al Santemple per far visita a tuo zio, no?”
Archie si illuminò e assentì, con un largo sorriso. “Giusto! Adesso che la situazione di zio Richard è meno grave, ci permettono di vederlo solo una volta al giorno, il pomeriggio tardi. Domani i miei andranno al lavoro come al solito e, se convinco mia mamma a farmi andare da solo, potrei arrivare un po’ prima, quando c’è la visita del Sanator Capo. Naturalmente mi chiuderanno fuori. Magari, mi basterà il Subaskulti per sentire cosa dicono, se no sarà il momento giusto per mettere in pratica la scoperta di Tib&Tuc. Domattina faremo delle prove.”
“E se dovesse esserci Wilma?”
“Mi inventerò qualcosa per togliermela dai piedi.”
Scambiandosi uno sguardo complice che la diceva lunga sulla loro intesa, i due amici si misero sotto le coperte, addormentandosi profondamente dopo poco.
Ares arrivò alla zona franca di St. James’s Park – la Duck Island – con largo anticipo. S’incamminò quindi con calma per raggiungere l’uscita centrale a sud. La giornata era grigia, fredda e umida e in quella stagione il parco non dava il meglio di sé, ma lui si fermò lo stesso ad ammirare dei maestosi cigni bianchi e neri che, assieme a molte specie di anatre e oche, popolavano le rive del lago, sorvolato da gabbiani e dove qua e là notò anche qualche pellicano. Era particolarmente contento di quella mezza giornata di libertà, di trovarsi a Londra, quella normale, e di potersene stare un po’ per conto suo. Non troppo, dato che avrebbe passato buona parte del pomeriggio col suo vecchio Direttore di Istituto, ma il fatto di muoversi senza essere accompagnato lo faceva sentire libero. Era grato ai genitori di Archie per le loro affettuose attenzioni e all’amico per la sua divertente compagnia, ma aveva bisogno di respirare. In tutti quegli anni, le circostanze lo avevano spinto a starsene in disparte, facendolo diventare un tipo solitario anche se, molto spesso, gli pesava sentirsi solo. Quello però aveva a che vedere con la sua condizione di orfano ed essere stato privato di ogni affetto famigliare. Uscito dal parco, oltrepassò il Birdcage Walk, prendendo il Queen Anne’s Gate e raggiungendo la stazione della metropolitana di St. James’s Park. Scese a Victoria per cambiare linea e quindi uscì a Green Park, incamminandosi poi per Piccadilly. Dopo poco arrivò davanti alla Royal Academy of Arts in perfetto orario. Era stato contento di quell’alternativa a un lungo tè da Fortum & Mason. Contava così che l’incontro fosse meno focalizzato su di lui e su ciò che si faceva nella scuola che stava frequentando. Si era consigliato con i signori Peak su cosa poter dire e si sentiva ragionevolmente tranquillo sull’incontro che lo attendeva di lì a poco, ma aveva preferito evitare di dover sostenere una lunga conversazione. Varcò il possente arco multiplo in marmo bianco della Burlington House, oltrepassò la splendida cancellata in ferro battuto nero e oro, trovandosi nel vasto cortile e si guardò intorno: non ci era mai stato e non conosceva il posto. Si diresse verso l’edificio di fondo, la sede dell’Accademia: una bella costruzione in stile neoclassico, con un magnifico piano nobile abbellito da statue e finestre veneziane. Nell’ingresso, trovò ad attenderlo Perseus Byron. Vederlo gli fece un certo effetto.
“Ciao Ares. Ti trovo bene.” lo salutò cordialmente il Direttore delle Esperidi, andandogli incontro. “Vieni. Liberiamoci di questa ... roba.” suggerì guardandosi le mani impegnate da ombrello, cappello e un pacchetto piatto.
Dopo aver ricambiato il saluto, lo seguì verso il guardaroba dove lasciarono anche sciarpe, guanti e cappotti.
“In questo periodo dell’anno non ci sono mostre.” lo informò. “È un peccato, perché le esposizioni sono sempre di altissimo livello. Nel ’99 ho visto quella di Monet. Assolutamente superlativa. D’altra parte, proprio per questo, l’Accademia non è molto affollata e così ce la godremo meglio. Hai preferenze su dove iniziare il giro?”
Ares scosse la testa. “Non ho mai visitato questo museo.”
“Bene. Cominceremo con le Sale Madejski, allora. La collezione permanente è ragguardevole. È incentrata sull’arte britannica e spazia dal diciottesimo secolo ai giorni nostri. Qui sono conservate numerose opere di Reynolds, Gainsborough, Turner, Constable, Flaxman, Leighton, Millais e moltissimi altri. Ci sono anche disegni di Blake, la Sirena di Waterhouse e un olio di Cowper, considerato l’ultimo dei Pre-Raffaelliti, che trovo bellissimo.”
Arrivati al piano, entrarono in una sala non decisamente grande occupata quasi per intero da un tavolo rettangolare e molte sedie. Le pareti erano decorate con lesene dorate; ricchi stucchi bianchi e oro formavano l’interrotta cornice del soffitto a volta.
“Questa è la Sala dell’Assemblea Generale, la prima dell’enfilade Madejski. Ti faccio notare le decorazioni di William Kent, che introdusse in Inghilterra il gusto italiano, e il Trionfo di Bacco di Sebastiano Ricci, al soffitto. È stato Richard Boyle, primo conte di Burlington, che, affascinato dalle ville palladiane visitate in Italia, ne ha portato lo stile in Gran Bretagna, commissionando all’architetto Colen Campbell la ristrutturazione del palazzo secondo queste guide e facendo tornare Kent dall’Italia per adornarlo.” descrisse il Direttore a voce molto bassa.
Passando nella sala adiacente, Byron chiese in un sussurro. “Come stai Ares? Vedendoti, mi sembra che tu stia bene, ma mi piacerebbe sapere come te la passi ... Sempre che tu voglia parlarne.”
“Sì, certo, Signore. Ci tenevo a incontrarla anche per ... dirle di me, che sto bene e mi trovo a mio agio alla Domus. Ho scoperto di avere un certo ... talento ... nello studio. Si ricorda come apprendevo in fretta?” precisò subito per evitare domande.
Byron annuì con un mesto sorriso sotto i baffoni brizzolati e lui si pentì di averlo detto, ricordandosi di quante delusioni gli avesse procurato anche per lo scarso rendimento scolastico.
“Sono contento ... molto contento per te. E anche per me, per noi tutti. Vuol dire che hai avuto delle buone basi, che ti bastava solo un altro ... metodo.” lo rincuorò con affetto, esortandolo poi. “Raccontami ancora ... Cosa fai? Come passi la giornata ... lì?”
Quando arrivarono all’ultima Sala – la Tennant, la più sobria di tutte – Ares stava spiegando che aveva imparato a tirare con l’arco nudo, in modo istintivo e dinamico, e che era entrato in una delle squadre scolastiche.
“Ero sicuro che ti saresti distinto!” affermò Byron, con un orgoglio paterno che lo commosse.
Mentre si dirigevano all’Ala Sackler, Ares gli spiegò in cosa consisteva l’Ayash, modificando il gioco in modo da renderlo normale e suscitando il suo vivo interesse.
“Così ti sei fatto molti buoni compagni.” osservò il responsabile delle Esperidi, dopo avergli decantato il pezzo forte di tutta l’Accademia: il Tondo Taddei, l'unica scultura di Michelangelo presente nel Regno Unito.
“Abbastanza. Certo, non sono in sintonia con tutti, ma sono in buoni rapporti con la maggior parte. E molti sono davvero amici.”
“Ne sono felice. Ti meriti proprio un po’ di serenità. Mi dispiace solo che sei stato così ... triste alle Esperidi. È colpa mia. Non sono stato capace di capirti … prima.” si rammaricò mentre si avviavano al caffè del museo.
“No! Non è vero. Non è stata colpa sua. Lei ha fatto tanto ... Mi ha dato tanto ... È che ... che avevo bisogno di qualcosa di ... diverso. Di più adatto alla mia ... natura. E se non fosse stato per lei, per avermi mandato alla Domus, sarei ancora uno ... sbandato.”
“È molto generoso da parte tua.”
“No. È solo la verità.” confermò sincero, con intensità.
Ares vide gli occhi di Byron scintillare prima che, schiarendosi la voce, dicesse. “Aspetta, devo prendere una cosa al guardaroba.”
“Anch’io.”
Byron ritirò il pacco piatto e lui il sacchetto verde scuro con tralci dorati che aveva lasciato col suo giaccone. Ordinati tè, pasticcini e sandwich, Byron gli porse il pacchetto che, scartato con cura, si rivelò un libro.
“Tiro con l’Arco Tradizionale Antico e Moderno.” lesse a voce alta, prendendo subito a sfogliarlo con grande interesse.
“Ho pensato che forse potesse piacerti.”
“Oh! Moltissimo. Mi piace … tantissimo.” esclamò entusiasta, scorrendo avidamente pagina dopo pagina. “È un libro magnifico. C’è la storia dell’arco dalla preistoria ai giorni nostri ... E presso i diversi popoli ... E c’è anche un capitolo intero sui cavalieri mongoli ... E uno sullo Yabusame. Mi ha sempre affascinato il tiro con l’arco a cavallo. Grazie! È ... È fantastico!” confermò raggiante, dopo aver chiuso il volume.
“Sono ... Sono proprio contento che ti piaccia. Avrei voluto dartelo il giorno di Natale ... È stato il primo Natale, che non abbiamo trascorso insieme dopo tanti anni e devo confessarti che mi sei mancato, ma mi ha fatto tanto piacere sapere che l’hai trascorso bene e, come hai detto, in famiglia ... Finalmente.”
Ares annuì. “Anche a me avrebbe fatto piacere festeggiare con lei.” dichiarò con sincerità. Poi, per mascherare l’imbarazzo, bevve un lungo sorso di tè e quindi gli porse la sua elegante busta regalo.
Sorpreso, il Direttore delle Esperidi esitò nel prendere il sacchetto, estraendone dopo poco una scatola di legno scuro che aprì lentamente. All’interno erano alloggiati un piccolo pettine fitto e uno a denti più radi in lucente materiale nero, una spazzolina, due paia di forbicine e due piccoli flaconi di vetro satinato.