“Torno indietro a chiedere cosa preferiscono, voi andate pure avanti. Ci vediamo al Buffet tra poco.”
“Ma non sai dov’è!” rilevò l’amico, mentre già si allontanava.
“Chiederò.” confermò con un risolino, camminando spedito.
Arrivato alla stanza dov’era ricoverato il padre di Wilma, bussò leggermente e, come sempre era accaduto in precedenza, entrò senza aspettare risposta. Aprendo la porta, notò un certa agitazione nei presenti, mentre Dora Peak gli andava incontro con aria allarmata.
“Cosa c’è? Perché sei qui?” lo interrogò svelta, mentre gli impediva di entrare.
“Nie-niente. Non è successo niente. Sono solo venuto a chiedervi se ... se volevate qualcosa da bere o mangiare.”
La mamma di Archie rimase un attimo senza fiato e poi lo gratificò con un largo sorriso. “Ma che gentile! Sì, sì. Hai fatto bene. Grazie.” E lo spinse fuori.
“Sì, ma cosa vi portiamo?” chiese, mentre lei stava per richiudere la porta.
“Ah, già. Due panini vegetariani e uno al roast beef. Grazie.”
“E da bere?” si informò, impedendole di nuovo di chiudergli la porta in faccia e approfittandone per lanciare un’altra lunga occhiata all’interno della stanza senza darlo a vedere.
“Succhi di frutta. Quelli che vuoi tu.” rispose sbrigativa, aggiungendo impacciata. “Adesso scusa, ma ... Grazie di aver pensato a noi. Ci vediamo dopo.”
Questa volta la porta si chiuse definitivamente, lasciandolo decisamente perplesso. Quanto aveva intravvisto e, soprattutto, il palese imbarazzo della signora Peak e la visibile preoccupazione che aveva scorto sui volti del marito e della cognata, occuparono la sua mente per un bel pezzo, finché non si accorse di non sapere dove dirigersi.
“Scusate, sapete dirmi per favore che strada devo fare per il Buffet?” chiese ai due infermieri che incontrò dopo poco.
“Prosegui diritto, poi svolta al terzo corridoio a sinistra, poi il quarto a destra. Prendi l’ascensore e spostati di due piani in alto e due blocchi a sinistra. Quando esci, prendi il corridoio a destra, poi il quinto a destra, il secondo a sinistra, sali una rampa e sei arrivato. Chiaro, no?”
Assentì, mentre i due proseguirono a chiacchierare, sperando di ricordarsi correttamente le spiegazioni. Non erano troppo complicate e lui aveva buona memoria. Arrivò senza difficoltà all’ascensore, ma una volta entrato ci mise un po’ a capire che comandi dovesse dare e la cabina si mosse prima che lui schiacciasse un pulsante. Dal pannello si rese conto che stava scendendo: di sicuro qualcuno aveva chiamato l’ascensore dai piani inferiori. Pazienza, si trattava solo di un po’ di strada in più. E invece, la cabina non si limitò a scendere, si spostò anche sulla destra per un lungo tratto. Quando le porte si aprirono entrarono due assistenti impegnate in una conversazione, che gli fece subito abbandonare l’idea di chiedere nuove indicazioni.
“Certo che quello che è capitato al paziente della R58 è ben strano. Avevi mai visto scottature così?”
“Ustioni, vorrai dire. Ero nell’équipe che gli ha prestato i primi soccorsi e ne aveva parecchie anche di terzo e quarto grado. E no, non ne ho mai viste di simili.”
Erano state le frasi che aveva udito, all’apertura delle porte.
“Noi andiamo al Topazio Secondo. Tu?”
“Anch’io.” aveva risposto senza nemmeno sapere dove si trovasse, augurandosi che fosse abbastanza lontano da fargli sentire ciò che gli interessava.
“Ma si sa cosa le ha provocate?” sondò la più giovane, una mingherlina dai corti capelli bruni. “Non sembra nessuna delle solite cause. E poi quegli aloni bluastri sono così inquietanti.”
La collega, una rossa sulla quarantina, scosse la testa. “Non sa niente nessuno, tranne che è arrivato assieme a una dozzina di altri: gravi, ma per fortuna meno mal messi di lui. L’R58 era comunque l’unico in fin di vita.”
“Già. Le ustioni sono niente rispetto alle sue lesioni interne. Se è vero ciò che ho sentito dire in giro, è un miracolo che sia arrivato qui vivo.”
“E ancora di più che se la stia cavando.”
“Il Sanator Capo Beltran è bravissimo, ma il Kuracist Lytton è davvero superlativo!”
La rossa piegò le labbra, sollevando un sopracciglio.
“Che c’è? Non sei d’accordo?”
“Nulla da obiettare, ma l’R58 non è stato salvato da loro.”
“Noo?! E da chi, allora?” chiese infervorata la brunetta.
“Holly Wynnstan.”
“Ooooooooh!” Al suo stupore, seguì una valanga di parole concitate. “Ma è un mito! Io l’ho conosciuta al Lyceum: era lei che teneva le lezioni di Guarigione. Da allora non l’ho più vista. E si sa così poco di lei, anche se ne parlano tutti come una leggenda. È vero che se ne sta sempre chiusa nei suoi laboratori? Sembra che siano proprio qui al Santemple, in un’ala che nessuno può visitare. Ed è vero che non vede mai nessuno? Devo dire che è stato proprio per lei che ho scelto questa professione. Era straordinaria … unica!”
“Anche per me è stato lo stesso. Credo che la stragrande maggioranza dei Guaritori e infermieri, tra i venticinque e i quarantacinque, che sono qui debbano proprio a lei la loro scelta di vita.”
“Dicono che quasi tutte le cure più avanzate siano state scoperte da lei.”
“Non quasi. Tutte.”
“Fantastico! Dovevo immaginarlo. Ma continua a insegnare alla Domus?”
“Sì. Ho sentito dire che le interessa solo la docenza lì oltre, ovviamente, alla ricerca.”
“È strano però che non abbia mai voluto una cattedra alle scuole superiori. Mi pare che le sia stata offerta diverse volte.”
“Parecchie. Sembra che per lei sia più importante insegnare il primo approccio generale, piuttosto che l’approfondimento di una data materia. Altri invece dicono che sia per la forte amicizia che la lega al Praesidens.”
“Non capisco, però, come mai una così brava terapeuta come lei non tratti direttamente coi pazienti.”
“Per lo stesso motivo per cui non vuole che si sappia delle sue scoperte: per estrema riservatezza e profonda modestia. Ah! Eccoci arrivate.”
Le porte si aprirono e le due donne si incamminarono a destra del corridoio antistante, proseguendo la loro conversazione senza degnarlo, neppure in quel momento, della minima attenzione. Ares si disse che era inutile seguirle, sperando di sapere di più sul paziente R58, essendo chiaro che erano concentrate su quella Holly Wynnstan che, anche se avevano detto che insegnava alla Domus, lui non aveva mai sentito nominare. Quella deviazione lo aveva notevolmente allontanato dalla sua meta e fu costretto a chiedere indicazioni due volte, arrivando al Buffet con forte ritardo che giustificò dicendo che si era perso più volte.
Fu solo dopo cena, nella loro camera, che Ares raccontò ad Archie cosa era davvero accaduto.
“Capisci? Non sono stati i Berretti Rossi ad attaccare tuo zio. Mi erano già venuti dei dubbi quando, ritornato alla sua camera per chiedere ai tuoi cosa volevano da mangiare e bere, l’ho intravvisto senza fasciature. Non ho potuto osservarlo bene perché, non appena ho aperto la porta, tua madre mi è venuta subito incontro e mi ha impedito di entrare. Devo dire che la sua mossa mi ha insospettito ... Forse. non avrei fatto caso alle sue ferite. Sta di fatto che ho notato che sulle braccia e tutto il torace tuo zio Richard non aveva ferite da taglio, come mi aspettavo, visto che i Berretti Rossi colpiscono con le loro unghie affilate come rasoi, e nemmeno morsi, ma estese lesioni molto arrossate e in certi punti anche annerite. In più, tutto intorno, c’era del blu brillante che avevo preso per una medicazione e invece ... Anche senza intendermene, mi erano sembrate delle ustioni. Come poi hanno confermato quelle due assistenti, che per caso ho incrociato e di cui ti ho detto.”
“Per la paletta! Ma chi può essere stato a conciarlo così?!”
“Come te, non ne ho la più pallida idea. Di tutti i Malwaz che abbiamo studiato finora, non ce n’è nessuno che attacchi col fuoco. Da quello che hanno detto quelle due, tuo zio era di sicuro quello più grave, ma non dobbiamo dimenticare che ne sono stati ricoverati altri, una dozzina hanno detto, con le stesse ferite c’è da credere ... Perché nessuno ne ha fatto parola? E perché ci hanno detto che erano stati i Berretti Rossi?!”
“Mah! Forse per non allarmare Wilma. Ah! Hai fatto bene a non dirmi ciò che avevi scoperto in sua presenza.”
“Figurati! Era già così sottosopra, che non mi sono proprio sognato di aggravare la situazione. E poi, nello stato in cui si trovava, poteva scapparle qualcosa ...”
Seduto a gambe incrociate sul suo letto, Archie si arruffò veloce i riccioli biondo cenere con entrambe le mani, mentre Ares anche lui in pigiama rimuginava ad alta voce sull’intera faccenda.
“L’attacco dei Manars prima di Geohjul e adesso questo ... compiuto da misteriosi Malwaz, sempre che non siano ... altro. E tutte e due le volte tuo zio c’era. Non ti sembra strano? C’è sotto qualcosa, ne sono certo. Ti ricordi com’era contrariata tua madre, quando lui ha raccontato cos’era successo all’Isola di Arran? Poi tuo padre che fa di tutto per non farci incontrare gli Alewar. Non mi stupirei, se la riunione improvvisa di Rathbone fosse stata solo una scusa per liberarsi di noi.”
“Mi sa che hai ragione. Però ...” Archie fece una risatina furba. “Noi li abbiamo messi nel sacco lo stesso. Hanno pensato di liquidarci con un pranzetto ... delizioso, devo dire.” Con la mano fece un paio di cerchi sullo stomaco al ricordo delle prelibatezze gustate. “Se sapessero che è stato proprio per quello che abbiamo trovato un’alleata formidabile!”
“Adesso che ci penso ... Hai notato l’espressione di tuo zio quando ha detto a tuo padre che lei era la persona giusta?”
“Sìiiii! Mi ricordo che papà prima ha un po’ nicchiato, ma poi mi è sembrato soddisfatto. Sicuramente credevano che, visto che è giovane ed è stata assunta da poco, non potesse darci nessuna informazione.”
“Certo! Hanno pensato che fosse ... innocua. E invece ...”
“A proposito, Mira deve per forza sapere qualcosa su questo incidente, come continuano a chiamarlo i grandi. Se penso che mio zio stava per rimetterci le penne! Altro che incidente! Incidente un corno!” inveì, battendo forte il pugno sulla palma.
“E cosa volevi che ci dicessero, eh? «Ah ragazzi! Guardate che stanotte il padre di Wilma, con un’altra dozzina di Alewar, è stato mezzo ammazzato da tipi che non vi possiamo dire cosa o chi sono, anche se lo sappiamo benissimo, perché si dà il caso che sia tornato in patria un famigerato assassino che, guarda un po’, è stato anche il tiranno che ha trasformato Lumenalia in un inferno. Ma anche questo non ve lo possiamo dire, perché abbiamo giurato di mantenere il silenzio su tutta quella maledetta storia. Dopo tutto, sono stati solo dieci anni di terrore, oppressione, massacri e chi più ne ha, più ne metta. E adesso andate a lavarvi le mani che fra poco si cena.»”
Il sorriso che aveva accompagnato l’inizio del suo ipotetico discorso, si era subito spento sul viso di Archie che, adombrato, si accertò timoroso. “Pensi ... Pensi che c’entri quel ... quel Belyal?”
Accigliato, Ares espirò a fondo. “Forse non lui in prima persona, ma qualche suo alleato, sì. Certo.”
“Come fai a essere così sicuro?”
“Non ci avrebbero mentito.”
Archie emise un lungo sospiro. “Hai ragione.”
Il lungo silenzio che seguì fu interrotto da un violento picchiettare sui vetri. Con un balzo felino, Archie raggiunse la finestra che spalancò per accogliere una cornacchia che si mise subito a svolazzare per la stanza, gracchiando forte.