Capitolo XIV
Incidenti
“Archie! Ares! Svegliatevi!”
Nella penombra della loro stanza, Ares aprì gli occhi a fatica al richiamo della madre dell’amico, il cui tono era particolarmente affannato.
“Ma’! Che c’è?!” domandò il figlio con voce impastata.
“Lavatevi e vestitevi, da bravi.” li esortò la voce rotta di Dora Peak.
“Ma Ma’! È notte fonda! Cosa è successo?”
“Dopo ... Vi spiego ... dopo. Fate in fretta che dobbiamo andare ...”
La signora Peak chiuse la porta dietro di sé, ma si udì distintamente il suo singhiozzare mentre si allontanava nel corridoio. In silenzio, dopo essersi interrogati reciprocamente con lo sguardo ed essersi confermati che era successo qualcosa di grave, i ragazzi si lavarono e vestirono in fretta, scendendo poi da basso dove, in cucina trovarono i coniugi Peak i cui volti erano tiratissimi. Dora Peak, con gli occhi cerchiati e arrossati dal pianto, li invitò con un rapido gesto a fare colazione, già pronta sul tavolo di granito grigio.
“Non allarmatevi, se vi abbiamo svegliato così presto, ma era necessario.” esordì serio il padre di Archie con un’alta tazza fumante tra le mani. “Stanotte nel corso di un’azione è capitato un ... incidente a zio Richard, che ora è ricoverato al Santemple.”
Al loro giustificato allarme, Chester Peak alzò entrambe le mani in un gesto tranquillizzante. “Calmi. È fuori pericolo, anche se dovrà stare alla Casa di Guarigione per un po’. Appena finita colazione, andremo a trovarlo. È probabile che ci si debba trattenere là anche tutta la giornata. Quindi, Ares, temo non ci sarà possibile accompagnarti alle Esperidi, come programmato. In mattinata, comunque troveremo il modo di chiamare il Direttore dell’Istituto e concorderemo un altro appuntamento.”
“Non si preoccupi, posso benissimo farne a meno ...”
“No. Non se ne parla neanche. So quanto ci tieni e posso ben immaginare che anche il Professor Byron sia ansioso di vederti. Troveremo senz’altro una soluzione. Adesso, finite di mangiare, che poi andiamo.”
Arrivarono in vista del Santemple che non erano ancora le sette. Fu Archie a indicarglielo stendendo il braccio. Nel buio, il profilo del grande complesso architettonico, formato da diversi edifici, si indovinava grazie alle decorazioni natalizie – interminabili file di piccoli globi luminosi che correvano lungo i bordi dei numerosi tetti appuntiti a due falde – e per le luci che permeavano dall’interno, attraverso le innumerevoli finestre a riquadri disposte su tre piani. Chet Peak diminuì altezza e velocità del kuxin sul quale si trovavano tutti e quattro e Ares poté distinguere schiere di conifere e grandi latifoglie che circondavano la Casa di Guarigione. Oltrepassarono un monumentale arco in agrifoglio, percorsero un sinuoso viale inghiaiato che delimitava considerevoli aiuole fiorite e si fermarono davanti all’entrata, ampia e ben illuminata, definita da due possenti colonne in marmo bianco, come quello che, intervallato da lastre nere, rivestiva tutta la costruzione, attorniata da cespugli verdeggianti dove occhieggiavano fiori purpurei. Le grandi porte di vetro si aprirono silenziose al loro passaggio. L’ingresso del Santemple si presentò agli occhi di Ares come la hall di un lussuoso albergo. Luci soffuse, musica delicata in sottofondo, folti tappeti dalle tonalità pastello sul pavimento di marmo chiaro lucidissimo. Diverse zone – arredate con poltrone, divani e tavolini in raffinato stile moderno – erano delimitate da piante e composizioni floreali. Nulla a che vedere con il clima asettico e molto poco confortevole che collegava agli ospedali, benché ne avesse visto solo uno: quando la signora Waters era caduta dalla scala ed era stata ricoverata per la frattura riportata. Al seguito dei signori Peak, si avvicinò al grande banco di marmo bianco e nero del ricevimento, al di là del quale si trovavano numerose persone: giovani donne e uomini, tutti vestiti con casacche e pantaloni di morbido tessuto argenteo, serenamente affaccendati in vario modo. Una delle addette si rivolse loro in modo affabile, bisbigliando subito qualcosa che sembrò calmare la madre di Archie. In pochi attimi, presero un ascensore che, spostandosi anche lateralmente, li portò a un reparto illuminato da luci rossastre.
“Meno male.” gli sussurrò all’orecchio Archie, spiegando poi. “È nel reparto Rubino. La situazione è seria, ma non grave. Il Santemple è suddiviso in diversi reparti, secondo la gravità della malattia da sanare, che si riconoscono subito per il colore dell’illuminazione dal giallo pallido, per chi è ormai in convalescenza, all’azzurro scuro. Spero di non doverla mai vedere quella sezione.” concluse con un fremito.
Ares entrò per ultimo in una stanza piuttosto grande dove, coperto da copiosi bendaggi, Richard Sherwood giaceva visibilmente sofferente. Il suo volto, il solo scoperto, era attraversato da vistosi tagli e ampie abrasioni. Di fianco al letto, si trovavano la moglie Brighid e la figlia Wilma che, non appena li vide varcare la soglia, si precipitò verso il cugino che abbracciò piangente, mentre gli adulti si appartavano verso l’ampia finestra.
“Ooh, Archie. Il mio caro papà. Il mio babbino. Il mio babbino. Sta malissimo.” ripeteva tra un singhiozzo disperato e l’altro.
Imbarazzatissimo, il ragazzo si limitava a darle affettuose pacche sulle spalle, mormorando qualche sconnessa frase di conforto, mentre con gli occhi cercava l’aiuto di Ares che, nonostante fosse anche lui fortemente a disagio, provò a rincuorarla. “Vedrai che tuo papà se la caverà. È molto forte. Riuscirà a rimettersi presto e starà di nuovo bene come prima.”
Wilma gli rivolse il viso devastato dalle lacrime, ma pieno di speranza. “Dici davvero?”
“Certamente.” la rassicurò, augurandosi di non sbagliare.
Lei parve illuminarsi mentre si allontanava da Archie che, con un’occhiata di palese gratitudine, ringraziò l’amico per averlo salvato.
“Ma cos’è successo?” si informò Archie, sottovoce.
Wilma si asciugò gli occhi e soffiò il naso, prima di rispondere.
“Era di pattuglia stanotte. Normale routine, niente di speciale. Da quello che mi ha detto mia madre, lui e la sua squadra hanno dovuto inaspettatamente affrontare un gruppo di feroci Berretti Rossi. Come Bronius Senior, papà ... papà ...” Ebbe un singulto poi, con voce tremante, proseguì. “Papà era in prima linea e quegli esseri immondi erano così tanti ...” Riprese a piangere, voltandosi verso il padre che emise qualche lamento, richiamandola al suo capezzale.
Archie e Ares stavano tenendosi in disparte, nei pressi della porta che aprendosi li colse di sorpresa.
“Chester, Dora ... ragazzi. “ Sabrina Peak, la zia di Archie, era entrata e aveva salutato a mezza voce i nuovi arrivati.
Con pochi gesti indicò ai presenti di uscire. Quando furono tutti fuori dalla stanza del malato, la sorella di Chester Peak sorrise debolmente, annunciando. “Il peggio è passato. È ormai certo.”
Tutti tirarono un profondo sospiro di sollievo, ma Brighid subito si informò ansiosa. “Ma per le ... conseguenze?”
“Il Sanator Capo Egon Beltran è ora a consulto con il Kuracist Bysshe Lytton. Il Kuracist è il Direttore Generale del Santemple.” chiarì all’indirizzo di Ares. “Sono certa che individueranno la terapia più ... adatta.”
“E il mio babbo guarirà completamente, vero?”
“Certo, cara.” rispose affettuosa Sabrina, accarezzando la guancia della nipote. “Ma ecco il Sanator Beltran. Adesso sapremo.”
Dal fondo del corridoio si stava avvicinando a passi decisi un uomo anziano, alto e dal piglio autoritario, seguito da una mezza dozzina di persone – cariche di carte, vassoi colmi di cristalli variopinti e strani aggeggi – che avevano tutta l’aria di essere suoi coadiutori e assistenti. Tutti indossavano la stessa divisa del personale all’ingresso, dove spiccavano simboli diversi per ognuno di loro a indicare le varie mansioni e specializzazioni. Solo il Sanator Capo portava, sopra casacca e pantaloni, un lungo camice dello stesso leggero tessuto argentato che la sua vigorosa camminata faceva svolazzare a destra e manca.
“Siete i parenti, immagino. Nel corso della giornata, il vostro congiunto verrà sottoposto a svariati trattamenti. Per il momento non c’è nulla che possiate fare. Potrete fargli visita stasera.”
Terminata la laconica comunicazione, Beltran entrò nella stanza dove si trovava il paziente, seguito dagli assistenti in fila indiana. L’ultimo, prima di richiudere la porta, si raccomandò che se ne andassero. Seppur riluttanti, tutti ubbidirono seguendo Sabrina Peak che li accompagnò in una delle sale riservate ai visitatori.
“Vi consiglierei di andare a casa a riposarvi.” li invitò, rivolgendosi in particolar modo a Brighid e Wilma, che scossero il capo decise. “Ragionate. Fino a sera non potrete davvero vederlo. La cosa migliore è che recuperiate le energie.”
“Sabrina ha ragione. Vi accompagno a casa, poi verrò a prendervi per riportarvi qui in tempo per la visita.”
La fermezza di Chester Peak convinse Brighid che, sfatta per la preoccupazione, acconsentì. Mentre il padre portava zia e cugina alla loro abitazione, Archie e Ares volarono a casa con la madre, che prima si fermò in una zona franca per chiamare Perseus Byron.
Già al suo arrivo a LumenLondon, Ares aveva saputo che la città era disseminata di aree, generalmente limitrofe alla Londra Opaca, che avevano la caratteristica di essere frequentabili indistintamente da Lumen e Opachi e dove, per questo, erano disponibili anche mezzi e oggetti normalmente impiegati in ambedue i mondi. Dora Peak aveva parlato per prima col Direttore delle Esperidi, scusandosi per l’inconveniente, e gli aveva poi passato il telefono. Ares era piuttosto titubante sul da farsi. Da una parte ci teneva a vederlo, ma dall’altra era frastornato da quanto era accaduto e non voleva pesare sui Peak, che avevano tanti pensieri. Perseus Byron lo sollecitò garbatamente, proponendo infine di incontrarsi in centro città. Interrogata con lo sguardo, la mamma di Archie assentì e suggerì qualche indirizzo. L’appuntamento venne infine concordato per il pomeriggio del giorno dopo.
Dopo aver ciondolato per l’intera giornata, senza aver voglia di fare niente, i due ragazzi accolsero con calore l’arrivo della signora Peak con la quale tornarono al Santemple. Nella stanza di Richard Sherwood erano presenti oltre a moglie e figlia, anche Sabrina Peak e un’altra infermiera che, passando ripetutamente sull’infermo delle sbarrette cristalline di vario colore, sembravano intente a controllare il suo stato di salute. Il padre di Wilma, pur sempre privo di sensi, pareva però meno sofferente.
“La terapia sta già cominciando a fare effetto.” li informò Brighid, in un sussurro sollevato. “Ci vorrà del tempo prima che si rimetta completamente, ma siamo sulla buona strada.”
La notizia rianimò tutti quanti.
“Ragazzi, siamo venuti qui in fretta e mi accorgo solo ora di aver trascurato la vostra merenda. Perché non andate a prendervi qualcosa al Buffet? Ceneremo tardi stasera.” propose Dora, premurosa.
Archie si massaggiò lo stomaco, rivolgendo un ghigno eloquente ad Ares. “Vieni, andiamo a fare il pieno.”
“Wilma vieni anche tu, vero?”
All’invito di Ares, la cugina di Archie si limitò a scuotere la testa.
“Vai con loro, cara.. Una passeggiata ti farà bene.”
“Ma se papà dovesse svegliarsi e io non ci fossi?”
La madre le sorrise dolcemente. “Vorrà dire che quando tornerai, avrai una bella sorpresa. Su, vai tranquilla.”
Wilma andò dal padre, depositò un tenero bacio sulla sua fronte e quindi si unì ai due ragazzi.
“Visto che è tanto grande, al Santemple ci sono diversi punti di ristoro: alcune caffetterie e sale da tè, oltre a un paio di ristoranti. Ma a quest’ora solo il Buffet ha anche un bel assortimento di cibarie. Peccato che sia in un corpo dell’edificio piuttosto lontano da qui. Be’ meglio, ci verrà più appetito.”
“Non che a te serva, eh?”
Archie rise alla battuta dell’amico, soffocando subito l’ilarità all’occhiata di rimprovero di un paio di infermiere che stavano incrociando.
Camminavano già da una decina di minuti, quando Ares esclamò. “Non abbiamo chiesto se volevano qualcosa. Anche loro avranno sete ... fame.”
Wilma sospirò dispiaciuta. “È vero. Mia madre non ha mangiato niente, da quando ci siamo precipitate qui.”