1.
Cose che ho imparato sui vampiri in questi due mesi:
1) Esistono davvero
2) Sono tutti un sacco belli, un sacco eleganti – del tipo alta moda, mica H&M – e un sacco pallidi. Almeno, quelli che ho visto io. Vivono tantissimo, secoli e secoli. Sono anche tutti completamente schizzati. La loro cosa preferita è più o meno fare dolorosamente a pezzi chiunque riescano a mettere sotto ai denti “legalmente” e berli fino all’ultima goccia.
3) Forse non ho reso bene l’idea: in confronto all’idea di “serata divertente” di un vampiro, Guantanamo sembra un Club Med.
4) In ogni caso hanno delle leggi, le Antiche Leggi. Non ho capito bene che cosa siano, ma pare che regolamentino tutti i modi in cui un vampiro può seviziare e uccidere gli altri esseri viventi in cui si imbatte.
5) Hanno anche una specie di governo nazionale: il consiglio. Non ho capito che cosa faccia il consiglio, in concreto.
6) I vampiri hanno sempre fame. O meglio, praticamente sempre. Per sfamare davvero un vampiro serve un festino di sangue di proporzioni epiche – oppure un intero lupo mannaro.
7) Quello che nutre veramente i vampiri non è il sangue in senso stretto, quanto il sangue pieno delle sostanze che entrano in circolo quando la vittima prova determinate emozioni: paura, piacere, dolore. Ah, sentono i tuoi pensieri.
8) Il sesso gli piace un sacco e non sono per niente timidi, né tra di loro, né con gli altri. Tirano tutti un po’ al sado-maso, dato che il dolore è uno dei loro sapori preferiti, ma ognuno ha il suo stile. Lo stile di Adrian è... ehm.
9) D’altronde tutto Adrian è “ehm”.
10) Pare che io abbia un sapore particolare e buonissimo quando sono eccitata, quindi, ecco... ne ho imparate di cose, su quanto Adrian sia “ehm”. Ho ricominciato a sospirare, è meglio se mi fermo.
Poi, in questi due mesi, ho imparato un po’ di cose anche sui lupi:
1) Esistono anche loro. I lupi mannari, dico. Loro si chiamano “lupi” e basta, non so perché. Forse perché “lupo mannaro” fa tanto film horror di serie Z.
2) Sono parecchio simili a dei normali esseri umani, infatti io non riesco a riconoscerli. Però si trasformano a comando e diventano delle bestiacce davvero grosse. Molto più grosse di un lupo di quelli dei documentari. Diciamo come un alano, ma parecchio più muscolosi.
3) Non ho capito bene come siano organizzati, ma credo che ci sia un branco in ogni città e ogni branco abbia il suo capobranco. Poi c’è un super-capobranco, che sarebbe Harry, per il momento.
4) A quanto sono riuscita a sapere, ci sono due tipi di lupi: quelli di sangue e i nuovi nati. Quelli di sangue sono figli di due genitori lupi o almeno di uno. Gli altri sono stati trasformati o roba del genere (non me l’ha spiegato nessuno) e non possono avere figli lupi, ma solo normali esseri umani.
5) Questa cosa è importantissima, per loro. Hanno paura di estinguersi o roba del genere. Se sei un lupo di sangue e non hai figli non è per niente bello.
6) Vivono quanto noi “normali” e mi hanno detto che tendono a essere fedelissimi. Io devo aver conosciuto giusto quelle due eccezioni.
7) Anche i lupi sentono i tuoi pensieri, più o meno come i vampiri. Non sono tutti bravissimi a farlo, però.
8) Rilasciano dei feromoni, come alcuni animali. Non so bene come funzioni, né se abbiano diversi scopi. Se anche hanno più effetti, io ne ho provato solo uno e non avrei nemmeno dovuto sentirli, come essere umano. Però li sento. O meglio, sento quelli di Harry. Lui non è molto comunicativo, su questa faccenda, per cui... boh.
9) Quindi, a causa dei feromoni o a causa del suo fascino personale, Harry è.... ehm. Ma non “ehm” come Adrian. Nel suo caso è più un “ehm” di pancia e meno di testa. Okay, dopo dieci minuti che gli sto vicino mi viene voglia di saltargli addosso.
10) Se ora comincio a parlare anche di Harry siamo fregati.
Diciamo che è meglio che io racconti le cose con calma.
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Quindi, con calma. Vivevo nella casa di Adrian da due mesi circa. In questi due mesi avevano cercato di uccidermi un numero x di volte, tanto che mi stavo quasi abituando.
A quel punto si era deciso che io ero l’assistente, non la schiava. Adrian lo definiva l’ennesimo eufemismo del ventunesimo secolo, ma a mio avviso era una dicitura molto più decente.
Ero innamorata cotta di lui. Ma proprio partita su tutta la linea.
Lui mi trattava affettuosamente, come se fossi un animale domestico. Il mio nomignolo era “animaletto”, infatti.
Non che la cosa mi stesse così bene, ma non sapevo neanch’io che cosa volevo.
Mi ero innamorata di questo tizio di ottocentocinquant’anni il cui divertimento preferito era fare a pezzi la gente. Da quando lo conoscevo aveva fatto a pezzi sei lupi, ma si era trattato di un caso. Se anche non fossero stati lupi gli sarebbe piaciuto lo stesso.
Ora, mi rendevo conto da sola che non era il genere di relazione con un futuro roseo. Per prima cosa, io sarei invecchiata e poi morta. Non avremmo avuto figli. Non ci saremmo sposati. Non saremmo mai stati una “coppia”.
Tutte le cose che io avevo sempre voluto, in pratica.
Ma ero così totalmente innamorata che cercavo di non pensarci.
Quella sera – la sera in cui le cose cambiarono – Adrian era uscito presto, subito dopo il calar del sole, dicendo che andava a “mangiare fuori”.
Dovete capire che io ero rimasta la sua unica assistente, dopo che Glenda era stata uccisa. Adrian mi aveva detto che avrebbe preso qualcun altro, ma che voleva sceglierlo con cura. Quindi... per il momento c’ero solo io.
Se avesse bevuto da me tutte le notti sarei diventata anemica in una settimana, motivo per cui andava spesso a “mangiare fuori”. Preferivo non conoscere i dettagli e comunque non me ne avrebbe nemmeno parlato.
Tornò verso le tre di notte, con un contenitore sottobraccio.
Io ero in salotto e stavo guardando un film. Un film senza vampiri, grazie.
«Ciao, animaletto» sorrise, chinandosi per baciarmi. «Quella roba conferma i pregiudizi della mia specie sulla tua, sai».
Inarcai le sopracciglia. «Ovvero?».
«Che siete bestiame da macellare» ridacchiò lui, sedendosi accanto a me sul divano.
E, okay, lo ammetto: stavo guardando Flashdance.
Sbuffai e decisi di ignorarlo. «Che cos’hai, lì dentro?» chiesi.
Lui mi baciò di nuovo, questa volta sul collo. «Gelato».
«Gelato» ripetei io, perplessa. Adoro il gelato, ma non capivo perché lui l’avesse comprato, visto che non l’avrebbe mangiato di sicuro.
«Quindi l’avrò comprato per te, che cosa ne dici?» rispose alle mie perplessità mentali, un po’ sarcastico.
Lo osservai, vagamente sospettosa. Oh, Adrian sapeva essere incredibilmente carino, se lo voleva essere, ma di solito non voleva e se lo era c’era sempre un motivo.
«Infatti c’è un motivo» confermò lui, con gli occhi seri. «Stai perdendo peso. Mangi poco».
«Lo so, non sto molto bene con lo stomaco, in questo periodo» risposi.
Era assolutamente vero. Facevo fatica a digerire, spesso mi tornava su quello che avevo mangiato.
«Potrebbe essere lo stress» aggiunsi.
Adrian mi leccò sul collo. «Mh. Sei stressata ora e non lo eri quando metà dei lupi britannici ti voleva fare a pezzi? No, suppongo che sia il mio sangue».
Mi appoggiai a lui e aspettai che mi circondasse con le braccia. Lo fece poco dopo. Mi accoccolai, piuttosto soddisfatta. «In che senso?» chiesi.
«Ne hai bevuto parecchio» spiegò lui, accarezzandomi i capelli, «più di quello necessario a creare uno di noi. Mi hai quasi prosciugato, ricordi? Credo che stia continuando ad agire dentro di te e che continuerà a farlo finché non l’avrai completamente metabolizzato. Sei ancora piuttosto sensibile alla luce, o sbaglio?».
Mi strinsi leggermente nelle spalle. «Non esco volentieri in pieno sole, no. Mi acceca. Ma che cosa vuol dire che ho bevuto più del sangue necessario a...»
«Se volessi farti diventare una di noi, no?» mi interruppe Adrian, un po’ seccato. Secondo lui tutti dovevano sapere tutto, come per magia. «Dovrei svuotarti quasi del tutto e poi tu dovresti bere da me. Poi io ti svuoterei di nuovo e tu berresti di nuovo. Fino alla trasformazione. Ma non è stato il tuo caso. Tu ti sei solo rimpinzata del mio sangue. Credo che sia per questo che il tuo stomaco è sottosopra. È come se fossi un po’ un vampiro, in questo momento. Hai qualche difficoltà ad assimilare il cibo solido».
Aprì la confezione, mostrandomi il contenuto.
C’era una vaschetta piena di vari gusti di gelato e un contenitore con delle cialde.
Lo baciai sulle labbra. «Grazie» dissi. «Sembra ottimo».
«Anche tu sembri ottima» rispose lui, iniziando ad accarezzarmi un seno, al di sopra della maglietta. «Sono stanco di mangiare fuori. Il menù è deludente. Dai, assaggia quella roba gelida».
Presi una cialda e la usai per prendere un po’ di gelato alla fragola – il mio gusto preferito. Mentre mangiavo mi venne in mente una cosa.
«Adrian? Tu ti ricordi i sapori?».
Fece un’espressione un po’ spiazzata, ma poi sorrise. «Non molto bene, no. Intendi qualcosa tipo... ti ricordi di che cosa sa un cosciotto d’agnello?».
«Già».
«Non molto bene. Sono passati così tanti anni. Per lo più capisco di che cosa sa il cibo dall’odore. E ci sono cose che non ho mai assaggiato, ovviamente».
Non ci avevo mai pensato. «Come... il cioccolato?» chiesi.
«E il gelato. Tutte quelle schifezze di cui vai matta tu: patatine, barrette, merendine... ma anche il mais, i pomodori, le patate, i peperoni... non so. Non ricordo più. Non ha davvero importanza. Ti piace?».
Annuii. Era parecchio che non mangiavo gelato ed era stata davvero un’idea grandiosa. Ne presi un altro po’ su un’altra cialda, questa volta gusto limone.
«Giusto... quando sei nato l’America non era ancora stata scoperta» commentai.
Adrian si accarezzò il mento. «Ma quando avvenne non ne rimasi così colpito. C’erano già andati, prima di Colombo, no? E io ero già vecchio. Avevo sentito dire che ci fosse una terra, oltre l’oceano. Non mi interessava. I lunghi viaggi per mare sono sempre stati... problematici, per quelli della mia specie».
Continuai a mangiare, riflettendo. «Giusto. Devi partire con un gigantesco pranzo al sacco, in pratica».
Lui sorrise dell’espressione. «In pratica».
Mandai giù l’ultimo pezzo di cialda, ma qualcosa non funzionava. Sentii una sorta di rigurgito.
«Oh, Cristo» dissi, deglutendo. «Nemmeno il gelato?».
Sulla fronte di Adrian si formò una piccola ruga, mentre mi osservava con aria pensierosa.
«Sarai mica incinta?» disse, alla fine.
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La mia prima reazione fu: «Eeeh?». Perché ci avevo pensato anch’io, ma l’avevo subito escluso.
«Ma non hai avuto il ciclo» insistette lui.
«Adrian, è in ritardo solo di qualche giorno. Non sono mai stata regolare. Scusa, che cavolo ne sai, tu, del mio ciclo?» aggiunsi, ripensandoci.
Lui mi leccò su una guancia. «Proprio niente. Ma il mese scorso, me ne sono accorto. Non mi interessa nemmeno di striscio, questo non significa che non mi renda conto se la tizia che sto scopando ha le mestruazioni oppure no, se permetti».
Sospirai. «Permetto. E non vedo come potrei essere incinta, Adrian. Non mi risulta che tu sia esattamente fertile».
Che poi era uno dei problemi a cui non volevo pensare, per cui dirlo non mi fece piacere.
Mi baciò su un lato del collo e gli fui grata per la delicatezza. In fondo, nemmeno lui era completamente insensibile. Capiva che lo amavo, ma capiva anche che stavo rinunciando a parecchie cose.
«No, no» mi mormorò, vicino all’orecchio. «Non sono di certo io il candidato padre».
Mi voltai verso di lui. Negli ultimi due mesi, per essere chiari, le uniche due persone che mi erano venute dentro erano lui e Harry. E Harry era sterile, come tutti sapevano.
Era il principale problema di Harry come capobranco, in effetti.
«E tu senti i suoi feromoni anche se non dovresti. E quando l’abbiamo fatto in tre è successa quella cosa stranissima. E non sei epilettica. E forse inizio a essere un po’ geloso, per questa faccenda che sembri fatta apposta per lui».
Lo guardai fisso.
Iniziavo a essere preoccupata. Non per la gelosia, che era una stronzata, ma per quella questione molto improbabile gravidanza.
Fino a quel momento non avevo dato quasi peso alle mie... nausee?
«No, dai» mormorai, deglutendo. «Non è possibile».
«Be’, però sembri incinta» disse lui. «E, per inciso, non è una stronzata».
«Scusa, tu non lo... sentiresti? Se la fossi, no?».
Adrian fece un’espressione piuttosto perplessa. «Ora? Non vedo come. Non sono mica una cartomante. Potrei sentire il battito del suo cuore, ma... insomma, di certo non adesso. Più avanti. Non mi sono mai concentrato sulla questione» concluse, vagamente querulo.
Lo baciai sulle labbra e poi posai la testa sul suo petto.
«Non hai proprio nessun motivo di gelosia. Lo sai benissimo. Ti amo».
Adrian mi accarezzò i capelli. «Lo so. Ma in quel caso sarebbe... diverso».
«Che cosa sarebbe diverso?».