Capitolo 1
Carly Tate stava canticchiando la musica che davano alla radio quando si fermò di fronte all’ingresso principale dello Yachats State Park. Finalmente era arrivato il giorno! Stava riprendendo il controllo della sua vita. In realtà, era la terza volta che arrivava “il giorno.” Avrebbe cominciato a fare esercizio, perdere peso, concentrarsi sul trovare un lavoro migliore e magari persino a decidere di andarsene da Yachats, Oregon. Perdiana, forse avrebbe persino preso in considerazione l’idea di trasferirsi a Portland o Seattle.
“Un passettino alla volta,” disse ad alta voce, ripetendo il suo nuovo mantra.
Doveva solo concentrarsi sul mantenere la costanza, cosa che non le veniva poi tanto bene. Per fortuna, la sua coinquilina nonché migliore amica di sempre le voleva bene esattamente così com’era… la maggior parte del tempo. La povera Jenny aveva le spalle migliori su cui piangere e se la prendeva con lei solo quando Carly cadeva a pezzi dopo aver scelto di frequentare i ragazzi sbagliati… come ad esempio Ross Galloway.
“Quanti?” chiese il ranger in tono leggermente annoiato.
“Solo io,” rispose Carly, porgendogli la tessera.
“Stia attenta lungo i sentieri; sembra che stia per arrivare un temporale. Il parco chiude al tramonto. Parcheggi solo negli spazi delimitati e non dia da mangiare agli animali,” disse il ranger, restituendole la tessera assieme a una mappa e al biglietto da mettere sul cruscotto.
“Grazie,” rispose Carly.
Decise che probabilmente era meglio non dire al ranger che avevano avuto la stessa conversazione negli ultimi tre giorni di fila. Quella era la sua quarta escursione in altrettanti giorni. Aveva un bel mucchietto di mappe che ingombravano il sedile del passeggero.
Accelerando, seguì la strada tortuosa. Le stesse, vecchie sensazioni cominciarono a soffocarla man mano che proseguiva. Alzò la musica proprio come aveva fatto negli ultimi tre giorni, sperando che essa avrebbe alimentato la sua adrenalina e non la sua immaginazione.
Alte sequoie e alti sempreverdi costeggiavano la strada stretta e tortuosa. Muschio verde cresceva sui massi, rendendoli scivolosi, e felci lussureggianti crescevano fino all’altezza dei suoi fianchi e oltre. Carly sapeva esattamente quanto fosse scivoloso il muschio e quanto fossero alte le felci, perché il giorno prima, quando era arrivata in cima al sentiero, aveva messo un piede su un masso per assumere una posa da film ed era prontamente – e molto sgraziatamente – caduta sul sedere nel bel mezzo di alcune selci.
Carly non era un’atleta agile. Anzi, usare la parola “atleta” e il suo nome nella stessa frase era una battuta da prima serata. Il giorno prima, lei aveva deciso che le sue possibilità di diventare una stella della commedia erano maggiori di quelle che aveva di perdere il peso che voleva e di arrivare a piedi in fondo al sentiero senza uccidersi. Tuttavia, aveva giurato a Jenny – la sua molto atletica migliore amica – che ce l’avrebbe fatta, anche a costo della vita.
“Sfortunatamente, l’ipotesi non sembra così remota,” borbottò Carly mentre si spostava nel sedile del conducente della sua Ford Focus rosso scuro e sentiva i lividi e i muscoli che protestavano ancora per la caduta del giorno prima.
Stava ancora borbottando sottovoce quando parcheggiò vicino all’ingresso di un sentiero da trekking e spense il motore. Non aveva ancora provato quel sentiero. Scegliendo a caso una delle mappe del mucchio, le lanciò un’occhiata e arricciò il naso prima di emettere un basso gemito.
“Sei chilometri e passa,” si lamentò, appoggiando la fronte al volante. “Puoi farcela, Carly. Sono solo sei chilometri. Sarà una passeggiata.” La battuta le strappò una risata nasale. “D’accordo, puoi farcela e poi potrai concederti un piccolo gelato al Dairy Queen lungo la strada di casa, d’accordo?”
Piegandosi all’indietro, si chinò a raccogliere il piccolo zaino dal pavimento dell’auto e vi mise dentro la mappa. Aperta la portiera, scivolò fuori con un altro forte gemito prima di guardarsi attorno per assicurarsi che nessuno potesse vederla o sentirla. Si voltò, sbatté la portiera e si mise in tasca le chiavi.
“Il gelato. Ricordati il gelato,” mormorò sottovoce mentre costringeva i suoi muscoli sofferenti a muoversi.
Mise piede sul sentiero e si infilò in spalla lo zaino di denim e cuoio. Afferrate le cinghie, si incamminò lungo la strada irregolare. “Gelato…” mormorò per i primi duecento settantuno passi prima di cominciare a concentrarsi su cose più importanti… come gli orsi affamati, i puma e Big Foot.