Chapter 3

2157 Words
3. Quel pomeriggio Jim Steele andò nell’ufficio di mister Salter. - Vado a prendere un tè, signore. Mister Salter guardò l'orologio solenne che ticchettava sul muro di fronte alla scrivania. - Sta bene - bofonchiò. - Lei è un bevitore di tè molto puntuale, Steele. Perché diventa rosso? Una ragazza...? - No, signore - rispose Jim a voce alta. - Qualche volta incontro una signora all’ora del tè, però... - Vada allora - lo interruppe il vecchio - e la saluti per me. Jim sogghignò, ma era ancora rosso in viso quando arrivò a Malborough Street. Affrettò il passo perché era un po’ in ritardo e tirò un sospiro di sollievo quando, entrando nella sala da tè, notò che al suo tavolo non c'era ancora nessuno. Mentre la sua sagoma alta e atletica attraversava la sala riservata agli habitué molte persone si girarono, perché Jim Steele aveva un fisico scultoreo e i suoi occhi simpatici avevano fatto strage di cuori. Ma era uno di quegli uomini troppo idealisti per non prendere sul serio certi argomenti. Dopo il liceo si era subito trovato in guerra e mentre altri della sua età trascorrevano la vita a portare le ragazze a ballare, la sua anima era imprigionata tra i ferri roventi del conflitto. Si accomodò al tavolo e la cameriera arrivò a prendere l’ordinazione. - La sua fidanzata non si è ancora vista, signore. Era la prima volta che la ragazza chiamava così Eunice Weldon e Jim si irrigidì. - La signorina che prende con me il tè non è la mia fidanzata - esclamò con una certa freddezza e, vedendo che la ragazza era rimasta male, continuò con una risatina che illuminò i suoi occhi irresistibili: - è solo una cliente, fidanzata con voi... - Mi spiace - sussurrò la cameriera scrivendo nervosa sul libretto delle ordinazioni per nascondere la confusione. - Immagino che voglia ordinare il solito? - Sì, il solito - rispose Jim con un tono serio e poi, lanciando un’occhiata verso la porta, si alzò per salutare la ragazza entrata proprio in quel momento. Era snella e diritta. Camminava con una dignità decisa, chiunque si trovasse davanti a lei magari con l'intenzione di importunarla era costretto a farsi subito da parte, per poi maledire la propria timidezza dopo averla scrutata. Aveva il viso di una Madonna, una Madonna con gli occhi azzurri, le labbra rosse e un'espressione piena di vitalità. Era un fiore che stava per sbocciare. Nei suoi occhi di cielo brillava tutta la sua femminilità e contemporaneamente si leggeva un avvertimento. Per altri tratti sembrava una bambina. La bocca tenera, il mento arrotondato, la gola bianca e la pelle senza un difetto erano ancora un ricordo della sua infanzia, che la facevano diventare ancora più attraente. Guardò intensamente Jim che le andava incontro tendendole la mano. - Sono in ritardo! - disse con voce allegra. - In studio c'era una noiosissima duchessa che voleva essere fotografata in diciassette pose diverse, sono sempre le persone i sempliciotti a creare i maggiori problemi... Si sedette togliendosi i guanti e sorrise alla cameriera. - L’unico modo che la gente semplice ha di sembrare bella è farsi fotografare bene - disse Jim. Eunice Weldon lavorava a Regent Street, nello studio di un fotografo alla moda. Jim l’aveva incontrata in quella sala da tè. Accidentalmente le tende delle finestre avevano preso fuoco e Jim si era bruciato una mano nel tentativo di spegnere l'incendio. Eunice Weldon gli aveva medicato la ferita. Un piacere fatto da un uomo a una donna potrebbe non portare molto lontano. Ma quando è una donna a dare una mano a un uomo, questo significa sempre almeno amicizia. Le donne sospettano dei piaceri che gli uomini possono fare loro e nonostante ciò si sentono responsabili dell’uomo che hanno aiutato, fosse anche per una cosa insignificante. Da allora si erano visti quasi tutti i giorni per prendere insieme il tè. Jim una volta l'aveva invitata a teatro ma lei aveva detto gentilmente di no. Così lui non aveva mai cercato di approfondire il loro rapporto. - Come va la ricerca della signora scomparsa? - chiese lei spalmando la marmellata su una fetta biscottata che la cameriera aveva portato. Jim arricciò il naso, era un suo modo di fare caratteristico. - Mister Salter mi ha detto proprio oggi che se anche la trovassi, la situazione non cambierebbe granché - le disse. - Sarebbe meraviglioso se la bambina si fosse salvata - disse lei. - Ci hai mai pensato a questa eventualità? Lui annuì. - Le speranze sono pochissime - replicò scuotendo la testa - ma sarebbe una cosa meravigliosa - scoppiò in una risata - e ancora più meravigliosa se fosse lei l’ereditiera scomparsa! - Non c’è speranza neanche per questo - ribatté la ragazza scuotendo a sua volta la testa. - Sono figlia di genitori poveri ma onesti, proprio come nei romanzi. - Suo padre era sudafricano, non è vero? Lei annuì. - Il mio povero papà era un musicista, di mia madre mi ricordo appena. Doveva essere adorabile. - Dov’è nata? - chiese Jim. Lei non rispose subito perché aveva il suo daffare con un panino con la marmellata. - A Città del Capo, Rondebosch2 per la precisione - rispose subito dopo. - Perché è così interessato a trovare la signora scomparsa? - Perché vorrei evitare che uno dei più grandi cafoni della storia si appropri dei milioni dei Danton. Lei si irrigidì appena. - I milioni dei Danton? - ripeté piano. - Ma chi è il cafone? Non mi ha mai detto di chi si tratta. Era così. Jim Steele non le aveva mai parlato della sua ricerche se non pochi giorni prima. - Il suo nome è Digby Groat. Lei lo guardò basita. - Cosa c’è? - chiese lui sorpreso. - Quando lei ha detto "Danton", mi è venuto in mente che mister Curley, il nostro primo fotografo, ci disse una volta che la Mrs. Groat era sorella di Jonathan Danton - spiegò lentamente. - Lei conosce i Groat? - chiese Jim trafelato. - Non li conosco - disse lei - non bene, almeno, ma... - si fermo esitante. - Beh, diventerò la segretaria della signora Groat. Lui la fissò. - Non me l’ha mai detto - esclamò, e Jim capì di avere fatto un passo falso quando lei abbassò gli occhi e cominciò a guardare il piatto. - Ovviamente - affermò subito dopo - non c’era motivo per dirmelo prima, ma.. - È una notizia di oggi - disse. - Mister Groat è venuto in studio per alcune fotografie e sua madre l’ha accompagnato. Erano già venuti altre volte, ma non li avevo mai incontrati fino a oggi. Mister Curley mi ha chiamato nel suo ufficio per dirmi che Mrs. Groat cercava una segretaria, un buon posto con una buona retribuzione, cinque sterline alla settimana che saranno nette perché vivrò nella sua casa. - E quando la signora Groat ha deciso di assumere una segretaria? - domandò Jim, mentre lei lo fissava stupita. - Non lo so. Perché me lo domanda? - È stata da noi un mese fa - disse Jim - e Mister Salter le ha consigliato di prendere una segretaria per tenere la contabilità. Lei ha risposto che detestava avere qualcuno per casa che non appartenesse alla servitù o che non fosse un amico di famiglia. - Beh, forse ha cambiato idea... - sorrise lei. - Ciò vuol dire che non prenderemo più il tè insieme... Quando comincerà a lavorare? - Domani - fu la risposta un po' scoraggiata. Jim ritornò in ufficio un po' triste. Una persona importante, fondamentale per la sua vita, si era per sempre allontanata da lui. "Sei un innamorato cretino" disse fra sé e sé. Aprì il registro in cui aggiornava il suo lavoro e cominciò a sfogliarlo con agitazione. Mister Salter era andato a casa. Andava sempre a casa presto e Jim, una volta accesa la pipa, cominciò a registrare le entrate del giorno ricopiando gli appunti che il suo capo gli aveva lasciato sulla scrivania. Una volta terminato, fece ancora una ricerca per essere sicuro di avere annotato tutto. La scrivania di mister Salter era sempre ordinata ma l'avvocato aveva l’abitudine di nascondere i memoranda più importanti. Così Jim sollevò alcuni grossi codici appoggiati sul tavolo, cercando qualche annotazione che poteva essergli sfuggita. Tra due volumi trovò una piccola agendina con i bordi dorati che non aveva mai visto prima. Scoprì aprendola che era un diario, anno 1901. Mister Salter aveva l’abitudine di prendere appunti usando abbreviazioni personali che nessun impiegato sarebbe stato in grado di comprendere. Quel diario era scritto così, indecifrabile. Jim sfogliò le pagine curioso, domandandosi come mai un uomo preciso come il suo capo avesse lasciato incustodito il suo diario privato. Nella cassaforte, lui lo sapeva, erano sotto chiave molti altri volumi di quel tipo e probabilmente l'avvocato ne aveva consultato uno per controllare qualche circostanza del passato. Per Jim quelle parole erano greco, e quindi non si sentì in colpa nell'osservare quelle pagine, piene di scarabocchi indecifrabili e senza significato, di tanto in tanto evidenziati e sottolineati. Si fermò all'improvviso perché alla data "4 Giugno" risaltava un testo piuttosto lungo. Sembrava scritta in un secondo momento, dopo il periodo in cui Mister Salter utilizzava le abbreviazioni. Era in inchiostro verde. Questo fatto era utile a datare la lettera. Infatti diciotto mesi prima un oculista aveva consigliato a Mister Salter, che era astigmatico, di usare l’inchiostro verde perché sarebbe stato di più facile lettura per lui, e dal quel giorno il vecchio non aveva più cambiato colore per i suoi scritti. Jim lesse il paragrafo prima di capire che stava facendo qualcosa di imperdonabile rovistando fra le carte personali del suo datore di lavoro. “Un mese di prigione ai lavori forzati. Prigione Holloway. Rilasciata il 2 giugno. Madge Benson (parola sottolineata), 14 Palmer's Terrace, Paddington 74, Highcliffe Gardens, Margate. Lunga conversazione con il barcaiolo padrone della 'Saucy belle'. Nessun’altra traccia...” - Cosa vorrà dire? - mormorò Jim. - Devo ricordarmelo, prendere un appunto. In quel preciso momento capì di commettere un’irregolarità, ma era troppo coinvolto per preoccuparsi. Era ovvio che l'appunto si riferisse alla scomparsa di lady Mary e ben presto avrebbe scoperto chi fosse Madge Benson e cosa volesse dire quel riferimento alla prigione di Holloway. Annotò il testo sul retro di un bigliettino da visita e poi, una volta nel suo ufficio, chiuse a chiave la sua scrivania prima di tornare a casa. Viveva in un palazzo affacciato su Regent’s Park, in un piccolo appartamento. A dire il vero dalle sue finestre non si vedevano che altre case e i treni delle linee ferroviarie che collegavano Londra, il Midland e la Scozia. Avrebbe potuto lanciare monetine negli scompartimenti tanto passavano vicine alle sue finestre. Ma l’affitto era a buon mercato, proprio per la posizione, e bisognava accontentarsi. Il suo appartamento, poi, era più piccolo degli altri. Jim godeva di una piccola rendita che ammontava a due o tre sterline la settimana. Questo denaro, più i soldi che guadagnava allo studio legale, gli permettevano di vivere abbastanza bene. Le tre stanze in cui abitava erano arredate con vecchi mobili di poco valore, mobilia che Jim aveva recuperato in casa di suo padre quando costui era morto, lasciandogli in eredità solo i soldi necessari per pagare tutti i suoi ingenti debiti. Era appena giunto sul pianerottolo del quarto piano e stava per infilare la chiave nella serratura quando la porta della sua vicina si aprì. Jim si girò. L’anziana signora indossava la divisa da infermiera e annuì al giovane. - Come va la sua paziente? - chiese Jim. - Sta molto bene, signore, se così si può dire per una donna costretta in un letto - rispose la donna sorridendo. - La ringrazia molto per quei libri che le ha fatto avere. - Poveretta - rispose Jim con un tono comprensivo. - Dev’essere una cosa terribile non poter uscire mai di casa. L’infermiera scrollò la testa. - Penso di sì – replicò la donna - ma la signora Fane non ci fa più caso. Dopo sette anni ormai si è abituata... Un calpestio sopra la sua testa le fece sollevare gli occhi. - È la posta - disse. - Pensavo se ne fosse già andato. È meglio aspettare che torni giù. Il postino di Featherdale Mansions era salito fino al sesto piano con l’ascensore e ora stava riscendendo a piedi. I due sentirono i passi sulle scale e poco dopo l’uomo fu davanti a loro. - Non c’è niente per lei, signore - disse a Jim riferendosi al pacco di lettere che aveva tra le mani. - La signorina Madge Benson è lei, è infermiera vero? - Sì - rispose la donna con una voce brusca e, prendendogli la lettera dalle mani, scese per le scale dopo avere congedato Jim con un saluto. Madge Benson! Ma era il nome che aveva letto nel diario di Salter!
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