Chapter 1
1.
Mister Septimus Salter suonò per la terza volta il campanello sulla sua scrivania ed emise uno strano grugnito di disapprovazione.
Era un uomo anziano e in carne, con il faccione rosso e grassoccio, le basette bianche. Sembrava più a un contadino ricco che a un legale di successo.
Era vestito in maniera assurda, fuori moda, con la camicia a collo alto e una cravatta nera, di satin, che risaltava su un panciotto a fantasie floreali modello 1850, anno in cui mister Salter era ancora al passo con i tempi. Quegli anni, poi, erano passati e lui era rimasto indietro mentre tutto andava avanti. E anche se era diventato un avvocato importante nella Londra che conta, non aveva abbandonato il suo vecchio stile.
Risuonò ancora il campanello, era sempre più impaziente.
- Proprio strano quel tizio! - borbottò e, alzandosi andò nella piccola stanza del suo segretario, o almeno dove quest'ultimo di solito lavorava.
Pensava fosse vuota, ma non era così. Di fianco della scrivania sporca di inchiostro c’era una sedia sulla quale era accovacciato un giovanotto, si teneva la testa fra le mani e leggeva alcuni documenti sparsi alla rinfusa sul tavolo.
- Steele! - esclamò mister Salter con voce decisa, e il lettore, trasalendo, scattò sull'attenti. Era alto più della media e con le spalle larghe, dava l’impressione di essere in piena forma.
La sua pelle scura rivelava il suo amore per la vita all’aria aperta. Il naso diritto e la bocca decisa, il mento volitivo, erano un chiaro riferimento alla sua vita di soldato, come tutto il suo viso, forgiato da quattro anni di guerra.
Adesso sembrava confuso, somigliava più a uno studentello colpevole che a un ufficiale che aveva abbattuto ottanta aerei nemici e che era ritornato alla base con una dozzina di proiettili in corpo.
- Davvero, Steele - disse mister Salter con aria di rimprovero - lei è imperdonabile. È la terza volta che la chiamo.
- Mi dispiace moltissimo - si scusò Jim Steele, e quel suo sorriso disarmante toccò il cuore del vecchio avvocato.
- Che cosa stava facendo? - bofonchiò mister Salter notando le carte sparse sul tavolo. Poi con un gesto impaziente gli chiese: - Non ne ha ancora abbastanza del caso Danton?
- No, signore - rispose calmo Steele. - Sento che lady Mary Danton potrebbe essere ritrovata e penso che, se ciò accadesse, potremmo sapere molte cose circa la sua scomparsa, una in particolare sconcertante... - Si fermò. Aveva timore di essere indiscreto.
Mister Salter lo guardò attentamente prendendo un po’ di tabacco.
- A lei non piace mister Groat? - chiese, e Jim scoppiò in una risata.
- Ecco, signore, non è piacere o non piacere... - replicò. - È che io non sopporto quel genere di persona. C'è solo un motivo per cui un uomo di trent’anni può essere fiero di non aver fatto la guerra, essere morto prima.
- Soffriva di cuore - ribatté mister Salter non molto convinto.
- Ma certo - annuì Jim con un ghigno. - Nell’esercito questi personaggi li chiamavamo "poveri di cuore". È una patologia che colpisce prima di una battaglia e che conduce li pazienti in infermeria mentre dovrebbero essere al fianco dei loro compagni, al fronte. Mister Salter fissò le carte.
- Le metta via, Steele - disse con un tono calmo. - Non ricaverà niente dalla ricerca di una donna che dev’essere sparita quando lei era un bambino di cinque anni.
- Mi piacerebbe, signore... - riprese Steele, esitante. - Naturalmente non sono cose che mi riguardano - sorrise - e non è mio diritto domandarlo, ma mi piacerebbe sapere qualcosa di più su quella scomparsa, sempre che lei ne abbia tempo e voglia. Non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo prima. Com'è andata veramente?
Mister Salter restò perplesso per un momento, poi il suo cipiglio si trasformò in sorriso.
- Penso, Steele, che lei sia il peggior segretario che io abbia mai avuto - esclamò quasi disperato. - E se non fossi il suo padrino e non sentissi il dovere di darle una mano, le scriverei una lettera cordiale con la quale le comunicherei che il lavorò che svolge non sarà più indispensabile da questo fine settimana.
Jim Steele rise.
- Me lo aspetto da quando lavoro per lei - esclamò.
C’era come un lampo negli occhi del vecchio avvocato. Era molto affezionato a Jim Steele, molto di più di quanto il ragazzo pensasse. Ma non erano soltanto l’amicizia e il senso di dovere che lo spingevano a tenere Jim alle sue dipendenze. Era affidabile, utile, anche se non sentiva il campanello quando lavorava nel suo studio.
- Chiuda la porta - disse mister Salter con un fare burbero, e poi, quando il giovanotto fu di ritorno, aggiunse, puntandogli addosso un dito ammonitore - le racconto come è andata non perché voglio soddisfare la sua curiosità. Lo faccio perché spero che così le uscirà dalla testa questa ossessione per il mistero che avvolge la scomparsa di lady Mary Danton! Lady Mary era la sola figlia del conte di Plimstock, una dinastia che non esiste più. Quando era ancora una ragazzina sposò Jonathan Danton, un magnate armatore, ma il matrimonio non andò per il verso giusto. Jonathan Danton era una persona volgare e insensibile, oltre che ammalato. Lei conosce i problemi di cuore di Digby Groat, bene: la patologia di Jonathan era altrettanto grave. Penso che la sua malattia fosse in qualche maniera legata al rapporto frustrante che aveva con la moglie. La bambina che ebbero non portò comunque la pace tra loro. Vissero sempre separati. Lui venne qui prima di partire per l’America, e seduto a quel tavolo, siglò il più strano testamento che mi sia mai capitato di leggere. Lasciò tutto a sua figlia Dorothy, che a quell’epoca aveva tre o quattro mesi. In caso di morte di lei, tutto sarebbe spettato alla sorella di lui, la signora Groat, ma solo dopo vent'anni dalla morte della bambina. Intanto alla signora Groat rimaneva la rendita della tenuta.
- Perché questo testamento? - chiese Jim, sconcertato.
- Credo non sia difficile da capire - replicò mister Salter. - Era un modo per tutelarsi contro una possibile scomparsa della bambina in tenera età, e prevedeva che lady Mary avrebbe potuto opporsi al testamento. Il testamento non sarebbe stato comunque impugnabile per vent'anni. Ma tutto ciò non servì a nulla - proseguì con calma - perché mentre Danton si trovava in America, lady Mary e la bambina scomparirono. Nessuno immaginava dove fossero ma la bambina e una governante, un tipo strano che si occupava della piccola, vennero rintracciate a Margate. Forse c’era con loro anche lady Mary ma nessuno ne ha mai avuto la prova. Quello che sappiamo è che la governante, figlia di un pescatore, capace quindi di pilotare una barca, un giorno d’estate portò la bambina a fare una gita al mare e venne sorpresa dalla nebbia. È certo che la piccola imbarcazione venne investita da un vaporetto; infatti i rottami furono ritrovati una settimana dopo con a bordo il cadavere della ragazza. Nessuno ha mai saputo cosa sia realmente accaduto a lady Mary. Danton ritornò un paio di giorni dopo i fatti e sua sorella, la signora Groat, lo informò. Per lui fu un colpo tremendo.
- E lady Mary? Nessuno l'ha più vista?
Salter scrollò la testa.
- Vede, ragazzo mio - spiegò alzandosi e mettendogli una mano sulla spalla - anche se lei trovasse lady Mary, ciò non cambierebbe la situazione della signora Groat e di suo figlio. C’è solo un'attrice, cha una piccola particina in questa tragedia, che potrebbe trarre beneficio del testamento di Jonathan Danton... ma lei - abbassò la voce, fino a sussurrare - vive solo nei nostri ricordi, nei nostri ricordi!
Seguì un momento di silenzio.
- Capisco, signore - rispose Jim senza esitazione - ma...
- Cosa?
- Sento che c'è qualcosa che non torna in questo mistero e penso che con un po' di impegno sarei in grado di risolverlo.
- Dovrebbe essere un detective - esclamò ironicamente.
- Vorrei tanto esserlo - fu la risposta inaspettata. - Quando due anni fa l'imprendibile Banda dei Tredici rapinava le banche ho offerto il mio aiuto a Scotland Yard.
- Ma davvero? - esclamò l’avvocato sarcastico. Aprì la porta ma poi si girò improvvisamente. - Perché l’avevo chiamata? - domandò. - Ah, sì, adesso ricordo! Revochi tutti i contratti di affitto dei Danton nella proprietà nel Cumberland.
- La signora Groat ha intenzione di vendere? - domandò Steele.
- Non lo può ancora fare - rispose l’avvocato - ma il tredici maggio, se non ci saranno colpi di scena, diventerà la proprietaria di tutti gli averi di Danton.
- O lei oppure suo figlio - aggiunse Jim con un tono allusivo. Aveva seguito il suo datore di lavoro in un'altra stanza, dove conservava una serie di scatole logorate dal tempo.
- Un detective... - ripeté mister Salter sedendosi al tavolo. - E di cosa occorre dotarsi per questa nuova professione?
Jim sorrise, ma l'espressione del suo viso era seria.
- Di fede - rispose con calma.
- Di fede? E cosa significa fede per un detective? - chiese sorpreso mister Salter.
- È la sostanza di tutte le speranze, l’evidenza delle cose invisibili. - Jim rispose con un tono solenne e per un po' mister Salter non rispose. Poi prese un foglio e scrisse qualche annotazione per Jim.
- Provi a cercare queste azioni che si trovano nella camera blindata - disse, ma nonostante il tono scherzoso era rimasto colpito.
Jim prese il foglio e lo lesse. Stava cominciando a parlare quando qualcuno bussò alla porta e un impiegato entrò.
- C'è mister Digby Groat, signore. Potete riceverlo? - chiese.