2.
Mister Salter alzò gli occhi divertito. - Sì - rispose con un gesto e quando Jim fece per andarsene lo fermò. - Lei può restare, Steele. Mister Groat mi ha scritto chiedendomi di vedere quelle azioni e lei lo condurrà nella camera blindata.
Jim Steele non disse nulla.
Poco dopo l’impiegato aprì la porta ed entrò un giovanotto.
Jim l’aveva già incontrato e ogni volta che lo incrociava gli piaceva sempre meno. Un viso lungo e triste, gli occhi assonnati, il mento largo, i baffetti neri, e le orecchie grosse erano tratti fisiognomici banali che un artista avrebbe ritratto a occhi chiusi. Ma dopo tutto Digby Groal era un bell’uomo. Neanche Jim poteva negarlo. Inoltre il suo maggiordomo, un uomo da ringraziare, lo rendeva squisitamente elegante, dalla testa impomatata alla punta delle scarpe.
La sua giacca all’ultima moda era perfetta, nel suo cappello a cilindro era possibile specchiarsi. Entrò spandendo intorno una scia delicata di Quelques Fleurs e Jim arricciò il naso. Gli uomini che si profumavano, anche se erano eleganti, non gli andavano giù.
Digby Groat guardò l’avvocato e Steele con il suo sguardo languido e presuntuoso che l’avvocato odiava come il suo segretario.
- Buon giorno, Salter - disse.
Prese il fazzoletto di seta dalla tasca e, dopo avere spolverato una sedia, si sedette senza che nessuno l'avesse invitato, appoggiando le mani inguantate di giallo sul suo bastone d'ebano con il pomo dorato.
- Conosce mister Steele, il mio segretario? - domandò Salter.
L’altro annuì con la sua testa lucida.
- Oh, certo, ha ricevuto la Victoria Cross1, non è vero? - chiese con una voce stanca. - Immagino che troverà noiosa questo tran tran, Steele? Un posto del genere annoierebbe anche me a morte.
- Magari - ribatté Jim. - Ma se avesse vissuto sulla sua pelle quattro anni di guerra, ringrazierebbe il cielo per questo paradiso di pace e tranquillità.
- Immagino di sì - rispose secco l’altro. Non aveva gradito l’allusione di Jim al suo mancato arruolamento.
- Bene, dottor Groat... - ma l’altro lo fermò con un cenno.
- La prego di non chiamarmi dottore - disse con un'espressione addolorata. - Mi farebbe piacere che dimenticasse che ho studiato medicina e che mi sono laureato in chirurgia. L’ho fatto per soddisfazione personale, e se tutti cominciassero a chiamarmi così verrei svegliato nel cuore della notte dai pazienti più strani e infelici.
Per Jim era una cosa del tutto nuova che quest’uomo malinconico fosse un medico.
- Sono venuto per consultare i contratti d’affitto di Lakeside - proseguì Groat - Vede Salter, ho avuto un’offerta, meglio, mia madre l’ha avuta, da un’impresa che intende costruire un hotel sulla sua proprietà. Mi pare che nel contratto ci sia un punto che impedisca la costruzione di edifici del genere. Se le cose stanno così, il vecchio Danton è stato un po' stupido e anche sconsiderato a comprare una simile proprietà.
- Mister Danton non ha fatto niente né di stupido né di sconsiderato - ribatté Salter tranquillo - e se lei mi avesse anticipato tutto nella sua lettera, avrei potuto telefonarle per darle tutte le informazioni e risparmiarle di venire fin qui. In ogni caso, Steele l'accompagnerà nella camera blindata per consultare le carte a suo piacimento.
Groat squadrò Jim con un'aria scettica.
- Si intende di contratti? - chiese. - E dovrei proprio scendere nella sua cantina infernale e prendermi un raffreddore? Non potrebbe portarmeli lei?
- Si sieda pure nell’ufficio di mister Steele, glieli porteremo - sospirò Salter che non sopportava i clienti come Jim. Inoltre aveva come la sensazione che, una volta entrati in possesso dell'eredità Danton, i Groat avrebbero cambiato legale.
Jim prese le chiavi e tornò carico di fascicoli. Si accorse, però, che Groat non era più con il suo principale.
- È nel suo ufficio - spiegò Salter. - Gli porti i contratti e glieli illustri. Se c’è qualcosa che non va, la raggiungerò subito.
Jim trovò il giovanotto nel suo ufficio. Stava leggiucchiando un libro che aveva preso da uno scaffale.
- Cosa significa "dattilologia?" - chiese girandosi quando Jim entrò. - Vedo che ha un libro su questo argomento.
- Impronte digitali - spiegò Jim in maniera sbrigativa. Non sopportava il modo di fare superiore dell’uomo e poi Groat stava esaminando la sua biblioteca personale.
- Ah, impronte digitali? - commentò Groat rimettendo il libro a posto. - Le interessa questo argomento?
- Un po’ - rispose Jim. - Ecco i contratti d'affitto di Lakeside, mister Groat. Li ho letti nella camera blindata e non mi pare ci siano ostacoli alla costruzione di edifici.
Groat prese il documento e lo sfogliò, una pagina dopo l'altra.
- No... - disse alla fine e poi, posando il documento, disse di nuovo: - E così lei è interessato alle impronte digitali? Non pensavo che il vecchio Salter si interessasse ai crimini.
- Le pratiche solo legali sono poche - commentò Jim.
- E questi cosa sono? - domandò Groat
Vicino alla scrivania di Jim uno scaffale conteneva una serie di quaderni neri.
- Sono i miei appunti - rispose Jim, e l’altro si girò con un sorriso canzonatorio.
- Mi domando su che cosa possa prendere appunti... - continuò e, prima che Jim potesse fermarlo, prese uno dei quaderni.
- Se non le spiace - disse Jim con un tono di voce deciso - vorrei che non toccasse i miei documenti.
- Mi spiace, ma credevo che tutto nell’ufficio di Salter avesse a che fare con i clienti dello studio.
- Lei non è il solo nostro cliente - replicò Jim. Non perdeva le staffe facilmente ma quel giovanotto presuntuoso lo stava davvero innervosendo.
- Di che si tratta? - chiese Groat con voce melliflua, voltando una pagina.
Jim, appoggiato alla scrivania, lo fissava e improvvisamente vide le gote giallognole del giovanotto diventare sempre più rosse. I suoi occhi neri si incupirono e il suo interesse crebbe a dismisura.
- Di che si tratta? - chiese con una voce tagliente. - Su che razza di cose sta...?
Controllandosi a fatica scoppiò a ridere ma la sua fu una risata falsa e posticcia. - È un tipo straordinario, Steele - esclamò tornando al suo solito modo di fare. - Sono meravigliato dall'interesse che dimostra per questo genere di cose.
Ripose il quaderno da dove l’aveva preso e finse di leggere il contratto d’affitto con attenzione. Ma Jim, mentre lo fissava, si rese conto che non stava leggendo, anche se girava le pagine.
- Va bene - esclamò posando il documento e afferrando il suo cappello a cilindro. - Una volta deve venire da noi a cena, Steele. Ho fatto costruire un laboratorio dietro la nostra casa di Grosvenor Square. Il vecchio Salter mi chiama dottore! - Ridacchiò come se avesse detto qualcosa di divertente. - Bene, se mi farà la cortesia di essere mio ospite le mostrerò qualcosa che rende merito a questo titolo.
I suoi occhi neri fissavano Jim mentre la sua mano inguantata di giallo abbassava la maniglia.
- A proposito - esclamò - le sue ricerche potrebbero portarla in un territorio molto pericoloso e nemmeno un'altra Croce al valore potrebbe ricompensarla adeguatamente.
Chiuse piano la porta alle sue spalle e Jim Steele aggrottò la fronte.
"Cosa diamine voleva dire con queste parole?" si chiese. Poi si rammentò del quaderno che Groat aveva fatto passare e che aveva avuto su di lui un effetto così potente.
Lo prese e, sulla prima pagina, lesse: "Appunti sulla Banda dei Tredici".