II.I nostri due avventurieri non ebbero da fare molta strada. Hurry, non appena ebbe trovato la radura e la sorgente, riconobbe la direzione e subito proseguì con il passo fiducioso di chi è sicuro della propria meta. La foresta era sempre cupa, naturalmente, ma non più impedita dal sottobosco, e il suo suolo era duro e asciutto. Dopo aver camminato per un miglio circa March si fermò e incominciò a guardarsi attorno attentamente, esaminando con cura ogni particolare e volgendo di quando in quando gli occhi sui tronchi degli alberi caduti che disseminavano il terreno, come spesso accade nelle foreste americane, soprattutto in quelle regioni dove il legname non è ancora divenuto pregiato.
«Questo deve essere il posto, Cacciatore-di-Daini», osservò infine March; «ecco qua un faggio, presso questo arbusto di cicuta, con tre pini vicini, e guarda laggiù quella betulla bianca dalla cima spezzata; non vedo però nessuna rupe, né alcun ramo piegato, come ti avevo detto doveva essere».
«I rami spezzati sono sempre punti di riferimento malsicuri, poiché anche i più inesperti sanno che i rami raramente si spezzano da soli», replicò l’altro; «inoltre infondono sospetti e creano il pericolo di essere scoperti. I Delaware non si fidano mai di rami spezzati, a meno che ciò non accada in periodi di amicizia, e soltanto su piste aperte. In quanto a faggi, pini, cicute, perbacco, se ne vedono da tutte le parti, qui intorno, e non due o tre soltanto, ma a dozzine, per non dire a centinaia».
«Esattissimo, Cacciatore-di-Daini, ma tu non calcoli la posizione. Qui c’è un faggio e una cicuta…».
«Già, e laggiù c’è un altro faggio e un’altra cicuta, vicini vicini come due fratelli che si vogliono bene o, meglio, assai più vicini di certi fratelli, e più lontano ancora ve ne sono altri, poiché queste due piante non costituiscono certo una rarità, nella foresta. Hurry, ho una gran paura che tu sia molto più capace a intrappolare castori e a cacciar orsi che non a far strada su una pista incerta. Ah! ma ecco quel che tu desideravi di trovare, malgrado tutto!».
«Senti, Cacciatore-di-Daini, questa è una delle tue solite smargiassate da Delaware, perché che io m’impicchi se vedo qualcosa all’infuori di questi alberi che mi hanno l’aria di spuntare da ogni dove come per opera di magia».
«Guarda da questa parte, Hurry… di qua, parallelamente alla quercia nera… non vedi una talea contorta che si attorciglia tra i rami del tiglio americano che le sta vicino? Ora quella talea fu una volta ricoperta di neve e si piegò così per eccesso di peso, ma non riuscì mai a raddrizzarsi e si abbarbicò come la vedi ora, tra i rami del tiglio. Fu una mano d’uomo a usare quell’atto di cortesia».
«Quella mano era la mia!», esclamò Hurry; «ho trovato la poverina piegata come un disgraziato che l’avversità avesse abbattuto e inchiodato al suolo. Cacciatore-di-Daini, devo riconoscere però che i tuoi occhi stanno diventando abilissimi nello scoprire i misteri della foresta!».
«Migliorano, Hurry… migliorano, lo ammetto; ma sono occhi da bambino a confronto di certi che conosco io. Non so se hai inteso parlare di Tamenund; è talmente vecchio che ben pochi si ricordano del tempo in cui egli era nel fiore degli anni; Tamenund ha una vista cui nulla sfugge, benché più che uno sguardo umano sembri il fiuto di un cane. In quanto a Uncas poi, padre di Chingachgook e capo legittimo dei Mohicani, è quasi impossibile passare inosservato ai suoi occhi. Sto migliorando, lo ammetto… ma sono ancora molto lontano dalla perfezione».
«E chi è questo Chingachgook, di cui tanto discorri, Cacciatore-di-Daini?», domandò Hurry muovendo in direzione dell’alberello, «un pellerossa saltatore, senza dubbio».
«Il migliore dei pellirosse saltatori, come tu li chiami, Hurry. Se gli fossero riconosciuti tutti i suoi diritti sarebbe un grande capo; ma così come stanno le cose è semplicemente un coraggioso e onesto Delaware; è rispettato e persino obbedito, sotto alcuni riguardi, questo è vero, ma proviene da una razza decaduta e appartiene a un popolo decaduto. Ah! Hurry Skurry, ti si scalderebbe il cuore in petto se tu sedessi sotto le loro tende durante una notte d’inverno ad ascoltare le leggende che ricordano le antiche grandezze e la potenza dei Moicani!».
«Ascolta, amico Nathaniel», disse Skurry fermandosi di botto di fronte al compagno per dare maggior peso alle proprie parole, «se un uomo credesse a tutto ciò che la gente si compiace di affermare nei confronti di se medesima finirebbe col farsi un’opinione eccessiva degli altri e un concetto eccessivamente modesto di sé. I pellirosse sono dei gradassi di calibro notevole e io ritengo che almeno metà della loro fama sia semplice chiacchiera».
«Vi è del vero in quanto tu dici, Hurry, non posso negarlo, perché io ho constatato e visto questo con i miei occhi. Sono vantatori, infatti, ma ciò dopo tutto è un loro dono di natura, ed è male opporsi alle doti naturali degli uomini. Ma guarda: ecco il posto che cercavi!».
Questa scoperta tagliò corto alla discussione e i due uomini rivolsero immediatamente tutta la loro attenzione all’oggetto che stava loro dinanzi. Cacciatore-di-Daini indicò al compagno il tronco di un tiglio enorme che aveva fatto il suo tempo ed era caduto per effetto del suo stesso peso. Quest’albero, al pari di tanti milioni di suoi confratelli, giaceva nel punto in cui si era abbattuto e andava a poco a poco corrompendosi sotto il lento ma sicuro influsso delle stagioni. Il processo di decomposizione lo aveva però attaccato nel centro, quando ancora si ergeva diritto nella pienezza del suo rigoglio vegetale, scavandogli il cuore così come la malattia distrugge a volte i punti vitali della vita animale quando all’occhio dell’osservatore si presenta tuttora all’esterno un aspetto apparentemente bello e sano. Nel vederlo disteso così a terra, per una lunghezza di quasi trenta metri, lo sguardo acuto del cacciatore scorse questa caratteristica dell’albero e da ciò nonché da altre circostanze arguì che quella doveva essere la pianta di cui March andava in cerca.
«Ecco proprio quello che volevamo», esclamò Hurry guardando entro la base del tiglio; «tutto è a posto come se fosse stato lasciato nella credenza di una vecchia nonnina. Su, dammi una mano, Cacciatore-di-Daini, e tra mezz’ora vogheremo in barchetta».
A questa richiesta il cacciatore si affrettò a unirsi al compagno e i due si misero all’opera prontamente, metodicamente, con il piglio di gente abituata a quel genere di bisogna. Per prima cosa Hurry tolse alcuni pezzi di corteccia che erano stati disposti intorno e sopra la cavità del tronco in un modo che l’altro dichiarò assai più destinata ad attirare l’attenzione di un eventuale passante che non a dissimularne l’apertura. Trassero quindi fuori una canoa di corteccia, contenente sedili, pagaie e altri accessori, comprese lenze e canne da pesca. Era un’imbarcazione tutt’altro che piccola, ma la sua leggerezza era tale in paragone alla forza gigantesca di Hurry che questi se la caricò in spalla con la massima disinvoltura, rifiutando qualsiasi aiuto, malgrado l’equilibrio instabile con cui era costretto a reggerla.
«Tu vai avanti, Cacciatore-di-Daini, a diradare i cespugli», disse March. «Il resto lo faccio da me».
L’altro obbedì e i due si allontanarono, Cacciatore-di-Daini spianando il cammino al compagno e piegando ora a sinistra, ora a destra a seconda delle istruzioni impartitegli da quest’ultimo. In capo a dieci minuti circa uscirono all’improvviso nella fulgida luce del sole, su una punta ghiaiosa che l’acqua lambiva sin quasi a metà.
Dalle labbra di Cacciatore-di-Daini proruppe un’esclamazione di sorpresa, esclamazione tuttavia sommessa e guardinga poiché i suoi modi erano assai più pensosi e riflessivi di quelli dell’avventato Hurry, allorché, giunto al margine del lago, scorse un panorama che il suo occhio non si aspettava di vedere. Era in verità uno spettacolo degno di meritare una breve descrizione. Al livello della punta si stendeva un vasto specchio d’acqua, talmente placido e limpido da assomigliare a una coppa di pura aria montana premuta entro una cerchia di colline e di boschi. Si stendeva in lunghezza per circa tre leghe, mentre la sua ampiezza era invece piuttosto irregolare, raggiungendo il mezzo miglio e anche più di contro alla punta e restringendosi a meno di un quarto di miglio più a sud. Naturalmente i suoi margini erano irregolari, dentellati com’erano da baie e interrotti da numerose, basse e sporgenti lingue di terra. Alla sua estremità settentrionale o più prossima era delimitato da una montagna isolata, mentre tutt’attorno digradava con curve graziose in direzione est ed ovest un tratto di terreno pianeggiante. Comunque l’aspetto del paesaggio era montagnoso; si levavano bruscamente dall’acqua, per la quasi totalità del suo perimetro, alte colline, o basse montagne. Le eccezioni in verità servivano soltanto a variare un poco la scena, ed anche là dove alcuni tratti del lido erano relativamente bassi, il paesaggio di sfondo, sebbene più lontano, era rupestre.
Ma ciò che maggiormente colpiva di quello scenario era la sua solitudine solenne e il dolce senso di riposo che ne emanava. Da ogni parte, ovunque l’occhio si volgesse, non si scorgeva che la specchiante superficie del lago, la placidità serena del cielo, la fitta cerchia dei boschi. I contorni della foresta erano talmente morbidi e folti che non era possibile notarvi alcun varco, cosicché tutta la terra visibile, dalla tondeggiante cima della montagna al pelo dell’acqua, presentava una unica uniforme, ininterrotta sfumatura di verde. Quasi che la vegetazione non si accontentasse di un così completo trionfo, gli alberi si piegavano sul lago stesso, svettando verso la luce; e ve ne erano a migliaia lungo la sua riva orientale, dove un’imbarcazione avrebbe potuto tranquillamente ormeggiarsi sotto i rami di fosche cicute d’una cupezza rembrandtiana, di pioppi tremuli, di malinconici pini. In una parola, la mano dell’uomo non aveva ancora sfigurato e deformato quella scena primigenia, immersa nella radiosa luce solare, fulgida visione di lussureggiante opulenza boschiva, rammorbidita dalla balsamica dolcezza del giugno e ravvivata dalla piacevole bellezza offerta da una così vasta distesa d’acqua.
«Che splendore! Che solennità! Che edificazione per lo spirito uno spettacolo come questo!», esclamò Cacciatore-di-Daini, che si era fermato a contemplare estasiato la scena, appoggiato alla propria carabina; «non un albero è stato disturbato, neppure da mano di pellerossa, tutto vi è stato lasciato secondo l’ordinamento del Signore, per vivervi e morirvi secondo i Suoi disegni e le Sue leggi! Hurry, la tua Judith dovrebbe essere una giovane donna dotata di tutti i princìpi della morale e della saggezza, se ha trascorso tanto tempo in un luogo così favorito dal Cielo».
«Questa è la nuda verità, eppure la ragazza ha i suoi capricci. Non ha trascorso qui tutto il suo tempo, però, poiché il vecchio Tom aveva l’abitudine, prima che io lo conoscessi, di recarsi a svernare nelle vicinanze dei Possedimenti o sotto i cannoni dei fortini. No, no, Jude ha imparato dai coloni e soprattutto da quei vanesi di ufficiali molto più di quanto sia utile al suo bene».
«Se così è… ebbene, Hurry, questa è una scuola che le raddrizzerà di nuovo il cervello in poco tempo. Ma che cosa vedo laggiù, di fronte a noi, che sembra troppo piccola per essere un’isola e troppo grande per essere una barca, sebbene si trovi in mezzo al lago?».
«Mah, è ciò che quei bellimbusti dei fortini chiamano il castello del Topo Muschiato, e persino il vecchio Tom ride di questo appellativo che pur tanto rammenta la sua natura e il suo carattere. Quella è la sua casa fissa, poiché ve ne sono due: questa che non si muove mai e l’altra che invece galleggia e si trova talvolta in una zona del lago, talvolta in un’altra. Quest’ultima è conosciuta col nome di arca, per quanto io non sappia dirti quale sia esattamente il significato di questa parola».
«Verrà dai missionari, Hurry, dai quali ho inteso parlare e leggere di questa roba. Loro dicono infatti che la terra una volta era ricoperta di acqua e che Noè con i suoi figli si salvò dall’affogare costruendosi un naviglio chiamato appunto arca nel quale s’imbarcò a tempo. Tra i Delaware alcuni credono in questa tradizione, altri invece la negano, ma è giusto che tu e io, che siamo nati bianchi, ne asseriamo la veridicità. Vedi qualcosa di quest’arca?».