11. Il Vegas era come lo ricordavo: buio, rumoroso, un po’ sporco. L’aria sapeva di fumo e di sudore, il velluto dei divanetti era spelacchiato ed era solo grazie all’oscurità che la gente non si rendeva conto di essere in un rudere dalle pareti unticce. O meglio, se ne rendeva conto, ma accettava comunque di passarci del tempo di sua volontà. Le ragazze sulle pedane ballavano svogliatamente, strusciandosi ai propri pali e togliendosi un pezzo dopo l’altro dei gusci paillettati, svelando corpi pallidi e bucherellati di cellulite. Le cameriere scivolavano indolenti tra i tavoli in mutande e reggiseno, lasciando che i clienti le toccassero. L’idea di essere stata una di loro, sebbene per un breve periodo, non mi sembrò squallida come avevo pensato. Mi riempì di una strana forma di orgogli