FERN
Quella notte, con la pancia piena di pane, mi stesi a letto e ricordai la notte in cui i Berserker fecero irruzione nell’abbazia per salvarci.
Prima
Mi svegliai negli alloggi delle orfane a causa di un rumore, il pianto di un bambino.
Le suore non erano molto pazienti con noi: nessuna, tranne Juliet, la più giovane dell’ordine, mostrava gentilezza verso le orfane. Chi gridava avrebbe trovato conforto solo tra le braccia di un’altra orfana.
Con la mia mente ancora influenzata dai miei sogni – grandi sagome che correvano per l’abbazia, inseguendo e terrorizzando me e le mie amiche – sgattaiolai via dal mio letto, superando le ragazze addormentate, e lasciai il dormitorio.
Sorrel stava nel corridoio con una delle giovani, Violet. La ragazza più grande si portò un dito alle labbra. Annuii e tesi la mano a Violet.
Un rumore d’urto ci fece bloccare tutte. Sorrel si voltò di scatto, mentre io e Violet ci ritraemmo. Fuori dalla finestra, sagome scure attraversavano il prato.
«Vai» sussurrò Sorrel con durezza. Quasi trascinandomi dietro Violet, feci per riavviarmi verso il corridoio.
Altri rumori di schianto – finestre rotte. All’interno del dormitorio, le ragazze urlavano.
«Non da quella parte!» ordinò Sorrel, e mi spinse in un’altra direzione, verso un corridoio che alle orfane non era permesso percorrere.
«Cosa sta succedendo?» ansimai.
«Siamo sotto attacco.» Sorrel sembrava cupa, ma tranquilla. Corremmo in avanti, seguite da urla spaventate. Volevo chiedere perché l’abbazia avrebbe dovuto essere attaccata: non vi era nascosto alcun tesoro, solo qualche suora e un frate corrotto, e un dormitorio pieno di ragazze orfane. Risparmiai il fiato per trasportare Violet, che era magra ma comunque pesante. Almeno lei era troppo assonnata o scioccata per gridare.
Sorrel ci condusse al lato opposto dell’abbazia. Passammo attraverso un altro corridoio costellato di finestre, e rimasi senza fiato alla vista del via vai di enormi guerrieri che facevano irruzione nel dormitorio. Entravano a mani vuote e uscivano con le orfane in braccio o sulle spalle. Le camicie da notte delle ragazze brillavano alla luce della Luna.
«Ci stanno portando via.» Afferrai Violet più forte, e lei ricambiò la stretta.
«Non se posso evitarlo» mormorò Sorrel. Correvamo, con il petto che doleva e il respiro corto a causa del peso di Violet.
«Sorrel…» ansimai, proprio mentre un rumore d’urto si avvicinava davanti. I guerrieri sfondarono la porta degli alloggi delle suore ed entrarono. Insieme alla luce, l'ambiente venne inondato da urla stridenti.
Sorrel e io ci prememmo contro il muro, sperando che le ombre ci coprissero. Un attimo dopo, la sorella Juliet entrò nel prato, affiancata dai guerrieri.
Violet piagnucolò tra le mie braccia. La testa di un guerriero scattò verso di noi.
Sorrel mi tirò indietro da dove eravamo venute. Un grido si levò dal prato alle nostre spalle: i guerrieri ci avevano scoperte.
«Sorrel» ansimai ancora mentre correvamo lungo un altro corridoio vietato alle orfane. Non sapevo nemmeno dove fossimo, ma sembrava che Sorrel lo sapesse benissimo. «Dove stiamo andando?»
«In un nascondiglio. Da questa parte.»
Dietro di noi, si infransero dei vetri e dei passi, appartenenti a piedi fasciati da pesanti stivali, risuonarono sul pavimento di pietra. I guerrieri si stavano avvicinando.
Sorrel imprecò sottovoce, parole che avrebbero indotto le suore a frustarci anche per il solo fatto di conoscerle. Stavo quasi per ridere all’audacia di Sorrel, ma il nodo alla gola e allo stomaco me lo impedivano.
Cosa avrebbero fatto se ci avessero prese?
Seguendo Sorrel, quasi inciampai su una scala. Qualche metro più in là, ci fece entrare in una stanza buia. Il profumo delle erbe e del miele mi bagnò il viso. All’interno, nella fresca umidità, vi erano conservate grandi botti e le erbe usate per distillare gli alcolici.
«Nascondetevi» ordinò Sorrel. «Sotto il tavolo.»
Mi accovacciai, tirando Violet contro di me. Sorrel si inginocchiò nelle vicinanze, sistemandosi su una delle pietre.
Avevo ancora il respiro pesante a causa della corsa e per essermi tirata dietro Violet lungo il percorso. «Non possiamo scappare.»
«Non me ne andrò senza combattere.» Con mio grande stupore, tirò fuori una corda, un arco e delle frecce. Sapevo che era una cacciatrice, la migliore nel piazzare trappole per catturare i conigli nei giardini, ma non sapevo che avesse una tale scorta di armi. Se fosse stata catturata, le suore l’avrebbero picchiata e il frate l’avrebbe rinchiusa nella torre finché non avesse trovato qualcuno disposto a comprarla.
Alzandosi, Sorrel tese l’arco per preparare una freccia.
«Potrebbero non trovarci, qui. Ci nasconderemo e poi correremo al Villaggio» sussurrò, e io annuii, rintanandomi ancora di più sotto il tavolo, un mobile di legno grande e pesante.
I passi risuonarono nel corridoio, e io mi ritirai nell’ombra.
«Da questa parte» esordì una voce roca e maschile, mai sentita prima. A parte il frate e coloro che gli facevano visita, erano pochi gli uomini che venivano all’abbazia.
«Non c’è nessuno, laggiù.»
«Ne sento il profumo.» Gli stivali si fermarono appena fuori dalla porta. «Lo senti?»
«Oh, sì. È così dolce…» Le voci mi grattavano le orecchie.
Passate oltre, passate oltre, pregai mentalmente, ma quando la porta si aprì non me ne sorpresi. Dio non ascoltava le preghiere di un’orfana peccatrice.
Due paia di stivali entrarono nella stanza. Mi strinsi il viso di Violet al petto.
«Vieni fuori, coniglietta…»
«Una preda più facile dei conigli.» Il guerriero ridacchiò mentre avanzava. Con la coda dell’occhio vidi un flebile movimento tra le ombre in cui si nascondeva Sorrel, e il sibilo di una freccia. Il guerriero ruggì.
«Mi ha colpito!»
L’altro guerriero ridacchiò. «Ti serva da lezione per averla chiamata coniglietta.»
Il primo guerriero ringhiò.
«Ci sono problemi?»
Un altro paio di stivali entrò nella stanza. Mi si fermò il cuore.
«Thorsteinn» disse il primo guerriero in tono scontroso. «Questa non è la tua preda.»
«Nemmeno la tua» rispose Thorsteinn divertito. «Più che altro, è la tua cacciatrice. Ti ha colpito?»
«Un’inezia.» Uno schiocco e la freccia cadde a terra, spezzata e ormai inutile, sotto lo stivale del guerriero.
«State indietro!» La voce di Sorrel tremò solo un po’. «Ne ho altre!»
«Puttana» ringhiò il primo guerriero. Emise un grugnito e si allontanò barcollando. Mi rintanai ulteriormente nell’ombra, rendendomi conto che il guerriero Thorsteinn gli aveva dato un pugno.
«Vattene» disse con calma Thorsteinn. «Questa appartiene a me e Vik.»
«C’eravamo prima noi!»
«Ho detto vattene» ripeté Thorsteinn, e mi si rizzarono i peli sulle braccia. Sembrava a malapena umano.
Brontolando, i due guerrieri se ne andarono. Per un interminabile minuto, Thorsteinn non si mosse. Trattenni il respiro all’improvviso silenzio.
Un’ombra si avvicinò alla soglia per entrare nella stanza. Quattro gambe e occhi dorati. Un lupo. Abbassò la testa sotto il tavolo per scrutarci. Annusando, si unì al guerriero rivolto verso l’angolo dove Sorrel si era nascosta.
«State indietro» ripeté Sorrel alzando la voce.
«Non c’è da temere, piccola guerriera» cantilenò Thorsteinn. Il lupo si fece avanti. «Non siamo venuti per farvi del male.»
«Vi colpirò.»
Thorsteinn si limitò a ridacchiare.
Il lupo si muoveva tra un respiro e l’altro. Uno strano vento soffiava nella distilleria, mandando brividi lungo la mia schiena. L’istinto si stava impossessando di ogni centimetro della mia pelle. Sorrel rantolò.
«Presa» esordì un’altra voce maschile, cruda e grave nell’oscurità. «È una combattente.» I piedi e le gambe nude di un uomo passarono davanti al tavolo. Nessuna traccia del lupo.
«Piano» mormorò Thorsteinn. «Tranquilla, piccola guerriera, ti procurerò delle armi. Ti permetteremo di usarle, una volta averti portata in salvo.»
Sorrel imprecò.
«Thorsteinn?» Un altro guerriero entrò nella distilleria.
«Dagg, Svein» Thorsteinn li salutò.
«Avete trovato il vostro premio.»
«L’abbiamo trovata.» Thorsteinn parlò sopra le maledizioni smorzate di Sorrel. «Ma ce ne sono altre due sotto il tavolo.» Con quel commento distratto che mi fece precipitare il cuore ai piedi, Thorsteinn e l’altro guerriero andarono via. La voce arrabbiata di Sorrel svanì lungo il corridoio.
I nuovi guerrieri si pararono davanti al tavolo. Tenevo una mano sulla bocca di Violet, ma non riuscivo a tenere a bada la mia stessa paura. Durante la pesante pausa che seguì, il mio battito cardiaco si fermò di colpo.
«Ti sentiamo tubare, colombella» disse uno dei nuovi guerrieri. Si accovacciò e gli occhi dorati trovarono i miei. Lo sgomento mi avvolse quando notai il bagliore magico del suo sguardo. «Io sono Svein. Non abbiamo intenzione di farvi del male.»
Scossi la testa.
«Non vogliamo spaventarvi, ma verrete con noi.» Si alzò, e io sobbalzai di sorpresa quando il tavolo lasciò scoperta sia la mia testa che quella di Violet. Due guerrieri ci scrutarono dall’alto. Svein aveva i capelli chiari e il viso stretto. La barba marrone dell’altro, invece, arrivava fino al petto ampio, e faceva eco a Svein mentre allungava la mano verso di noi.
«Verrete con noi.»