FERN
Freddo. Dita di ghiaccio che mi scavano nelle ossa, congelandole. Correvo attraverso l’oscurità, schivando le ombre, il mio unico compagno era il mio cuore martellante e la mia paura.
Una sagoma incombeva davanti a me, bloccando il mio cammino. Vestito di stracci e nebbia bianca, lo spettro tese la sua mano scheletrica—
«Fern. Fern, svegliati.»
Rantolando, afferrai l’aria e mi alzai di scatto, quasi sbattendo contro la persona china su di me. Il viso preoccupato di Juliet si fece più vicino. «Sh, Fern, va tutto bene. Stiamo bene. Siamo al sicuro.»
La capanna era buia ma calda, le braci del fuoco brillavano sul focolare. Le ombre lungo i tronchi grezzi avevano un aspetto amichevole. Seppur lentamente, mi rilassai. Mi faceva male la schiena, così come i muscoli, proprio come se avessi corso come una forsennata per salvarmi la vita.
«Ecco.» Juliet mi offrì una tazza, e io mi bagnai le labbra un paio di volte prima di lasciare che il liquido scivolasse nella mia gola secca.
«Hai avuto un incubo?» Juliet mi accarezzò la schiena. Anche se aveva solo pochi anni più di me e del resto delle orfane, si prendeva cura di noi con fare materno.
Annuii senza dire altro.
«Sembra che tu ne faccia molti» mormorò, ma non si impicciò, e io gliene fui grata. Avevo incubi da tutta la vita, per quanto ricordassi. Almeno questo lo avevo fatto di notte, e mi aveva rubato solo il sonno.
Il tocco di Juliet e l’acqua calda aiutarono il mio cuore galoppante a calmarsi. Tutt’intorno a noi giacevano le altre ragazze, addormentate. Essendo una delle più grandi, più donna che bambina, avevo un letto tutto per me. Soffrivo di più il freddo, dato che non avevo nessuno con cui condividerlo, ma almeno i miei incubi notturni non avrebbero svegliato nessuna delle altre.
«Fammi sapere se vuoi parlarne» disse Juliet prima di stringermi dolcemente il braccio e tornare di nuovo sul grande letto che condivideva con le tre ragazze più piccole.
Il suo tocco gentile indugiò mentre mi sdraiavo di nuovo, ma deglutii la mia disperazione. I miei sogni erano miei, non avrei mai potuto raccontarglieli, né a lei né a nessun altro. Erano troppo reali. Persino adesso, quando chiudevo gli occhi, dovevo lottare per non tornare nell’oscurità di quel sogno, in cui quella mano scheletrica si allungava ancora verso di me.
«Sono al sicuro», ripetei a me stessa. «Sono al sicuro.»
Rimasi sveglia fino al mattino, che arrivò troppo presto. La capanna si riempì con le chiacchiere di giovani donne e ragazze. Da quando i Berserker ci avevano portate via dall’abbazia, vivevamo insieme in una capanna, sorvegliata attentamente dai grandi guerrieri.
«Fern, sei così silenziosa oggi» cinguettò Violet.
«È sempre silenziosa.» Meadow mi sorrise. Cercai di ricambiare il gesto, ma non ci riuscivo. Mi faceva male la mascella a causa del modo in cui avevo digrignato i denti per evitare di urlare gli orrori che avevo visto. Da quando mi ero svegliata, il sogno mi tormentava, minacciando di fuggire dalle mie labbra. Ma io non osavo parlare.
Soffrivo di questi brutti sogni, o visioni, da quando ero molto piccola. Mia madre era morta poco dopo la mia nascita, di mio padre non si sapeva nulla, ma una famiglia mi aveva preso con sé. Almeno fin quando non avevo scoperto la mia Vista, rimanendone scossa, e avevo raccontato loro di ciò che avevo visto. Mi avevano definita ‘figlia del demonio’ e mi avevano lasciata sui gradini dell’orfanotrofio. Lì avevo imparato presto a non parlare di ciò che vedevo. A non parlare affatto, in realtà.
Ma i miei sogni peggioravano. Per quanto tempo avrei potuto nasconderli? Per quanto tempo, prima che si fossero presentati davanti a me alla luce del giorno?
Sobbalzai quando Juliet mi toccò il braccio. «Stai bene, Fern?» mi chiese, e continuò quando annuii, «Puoi andare nella capanna di Laurel e prendere del pane per portarlo qui? Ci andrei io, ma le piccole vorrebbero seguirmi e fa troppo freddo.»
Annuii di nuovo. La passeggiata mi avrebbe fatto bene.
«Assicurati di riscaldarti per bene accanto al suo fuoco.» Juliet mi porse un cesto e un mantello, e mi accompagnò all’ingresso della nostra capanna. «Oggi non c’è neve, ma si congela.»
Aprii la porta e mi bloccai al penetrante ululato che mi accolse.
«Cos’era quello?» sussultò Jules, rabbrividendo. Si ritrasse quando una delle nostre guardie si posizionò davanti alla porta.
«Va tutto bene» disse il guerriero Berserker con la sua voce profonda e roca. Incombeva su di noi, più grande di qualsiasi uomo che avessimo mai visto, ma il suo volto era gentile. «È solo un lupo che vive nel canyon.»
«Quello non era un lupo» controbatté aspramente Juliet. Spalancai gli occhi: non avevo sentito mai nessuno parlare così sfacciatamente a un Berserker.
Il guerriero si limitò a sorridere. «Hai ragione. Laggiù ci sono due bestie che una volta erano uomini, ma ora non lo sono più. Adesso infestano i boschi sottostanti.»
Inspirai bruscamente quando l’ululato ricominciò. Questa volta una seconda voce si aggiunse alla prima, le due si lamentavano all’unisono per creare una malinconica melodia.
«Non avere paura, piccola» mormorò il guerriero a Juliet. «Sei al sicuro, insieme a noi.»
Juliet scosse la testa, un’espressione tesa in volto. Notai che evitava di incontrare lo sguardo del guerriero, nonostante lui la guardasse con occhi dolci.
«Te la caverai a piedi, fino da Laurel?» mi chiese, e io annuii.
«Se la caverà.» Il guerriero raddrizzò la schiena. «La accompagnerò personalmente.»
A quelle parole, Juliet sbuffò e incontrò gli occhi del guerriero abbastanza a lungo da lanciargli un’occhiataccia prima di girare i tacchi e rientrare di corsa nella capanna.
Sollevai lo sguardo verso il guerriero, che ridacchiò.
«Vieni, ora.» Tenne aperta la porta e mi tese una mano. «Il vento è forte, ma se camminiamo a passo svelto, il movimento ci terrà al caldo.»
Iniziai a scendere lungo il sentiero, preparandomi all’inquietante suono che proveniva dai pendii sottostanti. I Berserker avevano costruito il nostro rifugio su una sporgenza di un’alta montagna accessibile solo tramite un ponte. Seguii la mia massiccia scorta, superammo altre due guardie e mi incamminai verso il ponte di legno, addentrandomi nel bosco dall’altra parte.
A un certo punto, il sentiero si divise e io esitai.
«Da questa parte, sorellina» mi disse il guerriero, aspettando che lo raggiungessi. «L’altra strada porta a un burrone e a una pericolosa discesa giù per la montagna. Il panorama è bellissimo, però», spiegò ancora. Sembrava contento di parlare. Di tutti i guerrieri, era il più amichevole. Si chiamava Jarl.
«Juliet sembra turbata dall’ululato. Ma a parte questo, sta bene?» Il tono di Jarl era tranquillo, ma percepivo il suo interesse.
Annuii.
«Bene. Per favore, dille che può chiedere qualsiasi cosa desideri. Siamo qui per soddisfare i suoi bisogni. I suoi e quelli di tutte le profetesse non accoppiate» aggiunse, e io sorrisi per rincuorarlo. «Possiamo portare vestiti, pellicce, legna per il fuoco. Posso anche portare il pane per la capanna, anche se credo tu voglia intraprendere da sola il viaggio per andarlo a prendere, se non altro per vedere le altre tue amiche.»
Annuii di nuovo.
«La compagna di Haakon e Ulf prepara le migliori torte al miele e i pani più squisiti» osservò Jarl. «Sai quale pane piace di più a Juliet?»
Scossi la testa e lui alzò le spalle. «Non importa. Li porteremo tutti, e vedrò quale preferisce.» E dopo questa frase prese a fischiare, con le lunghe gambe che divoravano il sentiero in falcate disinvolte. Mi affrettai a stargli dietro, chiedendomi come sarebbe stato essere così forte e potente, parlare e farsi ascoltare dagli altri, camminare nei boschi e non avere paura.
Il sentiero ci portò direttamente a un’enorme baita collegata a un edificio basso. L’odore di carne arrosto mi invase le narici e accelerai il passo, superando persino Jarl per sfrecciare impaziente oltre la porta.
All’interno, un grande spiedo girava sul focolare. File di tavoli ospitavano vassoi e piatti pieni di cibo e al centro, a dominare il tutto, c’era la regina della cucina in persona, la mia amica Laurel.
«Fern!» urlò Laurel, alzando le braccia sporche di farina. Si pulì le mani prima di venire ad afferrare le mie. «Oh, sei così fredda. Vieni a scaldarti vicino al fuoco. Ho tè e torte appena sfornate.» Mi tirò dentro. Trasalii quando una grande ombra si spostò dall’angolo. Un enorme guerriero, con metà del viso sfregiata da orribili cicatrici, incombeva su di noi. Ero troppo spaventata per emettere anche solo un gemito.
«Ulf.» Laurel gli sorrise. «Il compagno di Hazel potrebbe passare a momenti per prendere il pane per lei e per tutte le capanne vicino alla sua… Puoi chiedergli di dirle che ho bisogno di più finocchio ed erbe?»
«Certo, amore» disse con voce roca e si chinò per darle un rapido bacio prima di uscire a salutare Jarl.
«Non aver paura.» Laurel urtò il mio piede con il suo. «È molto dolce.»
Feci un cenno con la testa e sorrisi, sperando di non aver offeso lei o il guerriero col viso sfregiato.
«Come stanno tutte? Dovrei venire a farvi visita, ma ogni giorno mi viene chiesto sempre più pane.» La mia amica si lamentava del focolare, ma sapevo che amava il suo lavoro ed era orgogliosa di produrre abbastanza pane e altre bontà per sfamare tutti gli abitanti della montagna. «Le ragazze si trovano bene nella loro nuova casa?»
Annuii, accettando il cibo e la tazza che mi portò.
«Per favore, mangia.» Mi diede un colpetto col gomito prima di sedersi vicino a me. Accettò il mio silenzio, chiacchierando abbastanza per entrambe. «Sage, Willow e io ci chiediamo sempre come state tutte voi, dato che siete così lontane. Sappiamo che è saggio prendere precauzioni, ma…» scrollò le spalle. «Il branco non è più selvaggio come una volta. Li stiamo rendendo più civili.»
Pensai agli ululati provenienti dalla voragine e presi a giocherellare con la torta.
«Fern, stai bene? Sembri preoccupata.»
Una porta alla nostra destra si aprì, ed entrò un altro guerriero alto e dalle spalle larghe, bello e senza cicatrice. L’altro compagno di Laurel.
Tenni gli occhi sul mio piatto mentre mormoravano tra loro. Il legame Berserker permetteva a due guerrieri di accoppiarsi con una sola donna. Come sarebbe stato, vivere e amare due uomini? Essere l’unica cosa che amavano più di tutto?
Una volta mi ero avvicinata a scoprirlo. Prima che tutto fosse perduto.
Raccolsi le briciole della torta che avevo fatto a pezzi in una tasca, per spargerle più tardi agli uccelli. Quando il compagno di Laurel se ne andò, mi alzai e presi il cestino che avevo portato con me.
«Suppongo che tu debba andare» sospirò Laurel. «Per favore, di’ a Juliet di venirmi a trovare quando vuole. Forse potresti portare altre profetesse non ancora accoppiate.» Saltò in piedi e cominciò a riempire il mio cesto di pagnotte appena sfornate. «E tu sei la benvenuta, ogni volta che vuoi. Un aiuto in cucina è sempre ben accetto, così come qualcuno con cui parlare mentre sono all’opera.» Stropicciò il naso. «Non che tu parli molto. Ma io parlo abbastanza per entrambe.»
Ricambiai il suo sorriso e mi avviai verso la porta, dove esitai.
«Laurel?»
Lei si alzò di scatto dal catino in cui si stava lavando le mani, sorpresa dal suono della mia voce. Lo capivo: mi sorpresi io stessa, ma ormai era troppo tardi. Mi schiarii la gola. «Posso avere altre pagnotte?»
«Certo.» Lei si diede da fare incartandone altre. «Ti serve un altro cestino?»
Scossi la testa. Sembrava curiosa, ma non si impicciò. Aspettai che si fosse voltata verso i forni per nasconderli sotto il mantello. Non sapevo come avrei fatto a portarli via di nascosto dalla montagna, ma avrei trovato un modo.
Jarl mi precedette sulla via del ritorno. Quando raggiungemmo il bivio del sentiero, esitai.
«Cosa c’è?» Si fermò quando si accorse che non lo stavo seguendo.
Mi si asciugò la bocca. Avevo passato così tanto tempo a tenere a freno la lingua, che ricordavo a malapena come parlare. «Juliet» sbottai, dicendo la prima cosa che mi venne in mente. «Voleva che le prendessi delle erbe. Crescono da queste parti.»
Lui aggrottò la fronte, ma fece un cenno della testa per indicare che dovevamo andare. Mi affrettai lungo il sentiero, pregando di vedere le basse foglie verdi lungo il percorso. Gli alberi svanirono presto e ci ritrovammo su una sporgenza rocciosa ma eccole lì: tra le fessure delle pietre coperte di licheni c’erano le mie tanto agognate erbette.
Mi inginocchiai, raccogliendo una spettacolare quantità di foglie, privilegiando quelle con le bacche rosse.
«Juliet le usa per le tinture?» chiese Jarl e, quando annuii, si accovacciò e ne raccolse un po’ anche lui.
Mi spostai verso un altro ciuffo. «Non avvicinarti troppo alla sporgenza» avvertì Jarl, ma mi lasciò libera di andare dove volevo.
Quando non stava guardando, tirai fuori le pagnotte in più sotto al mantello e le gettai oltre la sporgenza, prima di tornare velocemente sul sentiero.
«Sei sicura che ne abbiamo abbastanza?» mi chiese, sistemando le foglie nel mio cesto.
Mi limitai a sorridergli. Era dolce, il suo modo di preoccuparsi per Juliet. Sentii un nodo alla gola quando ricordai com’era avere due guerrieri che si prendevano cura di me allo stesso modo.
Intanto che tornavamo sul ponte, gli ululati riecheggiavano sotto i nostri piedi. Sembrava che i lupi si fossero avventurati più vicino al rifugio. Forse avrebbero sentito l’odore del pane e, anche se preferivano la carne, avrebbero saputo che qualcuno stava pensando a loro. Si trattava di un piccolo gesto, ma poteva dar loro speranza.