Seduta nella mia sconfortevole cella, guardo Alaska che cerca di trovare una posizione vagamente comoda sul lettino. Io ormai per stasera ci ho rinunciato, e me ne sto qua seduta ad ascoltare le lamentele delle carcerate nelle altre celle. Ho la schiena a pezzi, ma mi rifiuto categoricamente di appoggiare la schiena su queste schifose pareti. Probabilmente non vengono pulite da... boh, penso mai?
Quasi una settimana fa c'è stato il processo, e non è andato bene. Il nostro DNA era su molte scene del crimine, e non c'era modo di scamparla. Né io né Alaska abbiamo provato a difenderci. Che cosa avremmo potuto dire, poi? «Guardi signor giudice, c'è un errore. Noi non abbiamo ucciso queste persone, il nostro DNA era in quei posti perché ci hanno incastrate. Li vede quei due manzi presi dalla macelleria? Ci hanno fregato, proprio come stanno fregando voi. Siamo innocenti. Beh, per questi omicidi, almeno.»
Chi ci avrebbe mai creduto? Si trattava della nostra parola contro la loro, due poliziotti molto rispettati. Esito? Siamo risultate colpevoli, ovviamente. E ci hanno dato l'ergastolo. A entrambe. Hanno deciso di mandarci in due carceri di massima sicurezza, in due Stati differenti, a vita. Verremo trasferite domani, e in questi giorni siamo state nella stessa cella solo perché il giudice ha avuto pietà per noi.
Non vedrò mai più Alaska. Moriremo sole, in una triste cella, dopo un'infinità di tempo.
Cavolo, qualcuno dovrebbe avvisare Larry Flynt e dirgli che non potremo più fare le stripper da lui. Mi viene da piangere al solo pensiero.
«E così questa è l'ultima notte.» Alaska ha rinunciato a mettersi comoda e imita la mia posizione.
«Già...» Negli altri giorni non ne abbiamo parlato molto. Abbiamo cercato di goderci ogni momento insieme, sapendo che erano gli ultimi.
Ad Alaska sfugge una lacrima. Lei è sempre stata quella sensibile. «Maeve, mi mancherai... Cavolo, viviamo insieme da anni, e adesso non ti vedrò più tutti i giorni per, beh, il resto della mia vita.»
Apro le braccia, invitandola a raggiungermi. «Vieni qua.»
Alaska viene sulla mia branda e mi abbraccia. Rimaniamo in silenzio mentre si sdraia e appoggia la testa sulle mie gambe. Le accarezzo distrattamente i capelli mentre fisso il vuoto.
«Cavolo, potresti piangere almeno adesso. Sei senza cuore.» Alaska mi guarda male.
Sorrido, nonostante la situazione. «Perché dovrei piangere? Sai da quanto cercavo di sbarazzarmi di te? Finalmente ci sono riuscita.»
Alaska mi dà un pizzicotto sulla gamba, e io sussulto per il dolore. «Ma vedi che sei una stronza.» Ma mentre lo dice ride. Preferisco siano così i nostri ultimi istanti.
Mentre Alaska sta facendo un discorso su come potremmo fuggire dalla prigione grazie a una serie che abbiamo visto, ovvero Prison Break, la nostra cella viene aperta. Due guardie vengono e ci ammanettano.
«Che cavolo sta succedendo?» Alaska è nel panico.
«Verrete trasferite stasera. Il blindato è qua fuori.»
Non riesco a dire o fare nulla, se non guardare Alaska. Lei ricambia il mio sguardo, e per la prima volta da quando faccio questo lavoro ho paura. Paura per il mio futuro, paura perché non la rivedrò più.
Veniamo portate fuori, e ci fanno salire sul blindato. Una volta che le porte vengono chiuse, guardo Alaska, confusa. «Uno solo? Ma non dovevamo essere mandate in due posti diversi?»
La mia amica alza le spalle, confusa quanto me. «E dovevamo avere una scorta.»
Dopo quella che ci sembra un'eternità, il furgone si ferma. Le porte vengono aperte e le guardie di prima ci portano fuori. Ero convinta di vedere davanti a me un altro carcere, ma quello che vedo non è altro che campi. Siamo nel nulla, e sulla strada ci siamo solo noi e un suv nero. La portiera del guidatore del suv si apre, e scende una donna. Si avvicina a noi mentre le guardie ci tolgono le manette. Quando la donna arriva davanti a noi e si toglie occhiali e cappello, la riconosco.
«Grace Scanlan?» esclamo sorpresa. Sorpresa e felice.
«Liberatevi del furgone» ordina Scanlan alle guardie, poi si rivolge a noi. «Seguitemi.»
Io e Alaska ci lanciamo un'occhiata, per poi seguirla fino al suv. Saliamo entrambe sui sedili posteriori, mentre Grace si rimette alla guida.
Ci indica un borsone tra noi. «Cambiatevi, l'arancione non è il vostro colore. Si vede che non siete in palette. E poi attirereste troppo l'attenzione vestite da carcerate.»
Noi ci cambiamo, e nel frattempo non possiamo non fare domande. «Dove stiamo andando?»
«All'aeroporto. Vi ho già creato dei documenti falsi e preso dei biglietti aerei. Nel borsone troverete anche delle parrucche e degli occhiali da sole. Dovete andarvene dagli Stati Uniti, e rimanere nell'ombra per parecchio tempo. Ci vorrà un po' prima che le acque si calmino.»
Io e Alaska la guardiamo, in attesa di qualche altra spiegazione.
«Beh, altri dettagli?» dico, in attesa.
«Tipo cosa ci fai qui, come ci hai fatto fuggire, perché non sei stata arrestata visto che Alejandro e Miguel avevano intenzione di incastrarci tutti» continua Alaska.
Scanlan rimane concentrata sulla guida mentre parla. «Beh, partiamo dall'inizio. Dopo che non ho ricevuto alcun messaggio di Maeve dopo che ci eravamo messe d'accordo per sentirci un giorno si e uno no, mi sono preoccupata. Poi ho notato un altro uomo seguirmi, e questa volta prima di ucciderlo l'ho torturato per ottenere delle informazioni. Ho scoperto il piano dei fratelli Escobar e avevo capito che vi era successo qualcosa . Poi ho ricevuto una chiamata da un certo Martino Camacho Ortiz. Ha detto di essere vostro amico e mi ha spiegato cosa vi era successo in Messico e che eravate in prigione. Dice di aver saputo tutto da uno degli uomini degli Escobar che a quanto pare trama contro di loro. In ogni caso, io e il vostro amico abbiamo scoperto del trasferimento e dei dettagli, così ci siamo organizzati. Le scorte hanno il compito di seguire i blindati da quando escono dal carcere fino a quando non arrivano alle destinazioni, non di vedere mentre salivate sui mezzi. Gli uomini che vi dovranno portare dalla cella ai blindati sono miei uomini infiltrati, e sono gli stessi che vi hanno fatto fuggire stanotte. La scorta non aprirà i blindati fino all'arrivo, e quando si accorgeranno che sono vuoti, voi sarete già scese dagli aerei.»
Siamo a bocca aperta. Un piano geniale. Poi mi soffermo su una cosa che ha detto. «Aspetta, hai detto aerei?»
«Sì. Siete diretti in due posti completamente diversi. Se siete separate sarà più difficile prendervi. Non è per sempre, solo fino a quando le acque non saranno calme. Il vostro amico, Ortiz, ci aspetta all'aeroporto. Vi darà dei soldi.»
«Cavolo, mi sento in un film.» Alaska è incredula, proprio come lo sono io.
Non ribattiamo sulla scelta di separarci, perché la comprendiamo. E perché non sarà per sempre.
Una volta che siamo arrivate all'aeroporto e abbiamo rivisto Ortiz, per me e Alaska è arrivato il momento di salutarci. Indossiamo occhiali e parrucche, e tra le mani abbiamo i nostri documenti falsi e i biglietti aerei.
La guardo, sentendo un peso sul petto. «Fai attenzione, okay? Voglio ancora mangiare quel tacos con te. Non in Messico, però.»
Alaska sorride. «Stai attenta pure tu e, ti prego, non fare mai più sesso con un poliziotto. Io prometto di fare altrettanto.»
«Ti scriverò delle lettere anche se non potrò mandartele» le dico.
«Lo farò anch'io.»
Sorrido, per poi abbracciarla. Senza farmi beccare le faccio scivolare in tasca un biglietto. Ci stacchiamo, e la tristezza è visibile sui nostri volti.
«Il tuo volo quando parte?» le chiedo, cercando di rimandare il più possibile il momentaneo addio.
Guarda il suo biglietto. «Tra mezz'ora. Il tuo?»
Guardo anch'io il mio biglietto, e quasi mi metto a piangere dall'emozione. «Anche il mio.»
«Beh...» inizia la mia migliore amica.
«Decollo tra mezz'ora» concludiamo insieme.
Non ci diciamo nient'altro e ci separiamo. Quando sono seduta al mio posto, guardo fuori dal finestrino mentre l'aereo decolla. Metto una mano in tasca e sento qualcosa. Corrugo la fronte mentre apro il pezzo di carta, ma sorrido appena riconosco la calligrafia di Alaska. Ha avuto la mia stessa idea.
Tra cinque anni esatti ci vediamo al nostro posto.
Non riesco a fermare le lacrime che scendono dai miei occhi, leggendo le stesse parole che le ho scritto io.