Capitolo II-1

2048 Words
Capitolo II "Perfetto!" commentò amaramente Silvia, uscendo dalla doccia e spegnendo arrabbiata la radio. "Hai sentito Charlie?" Lo Scottish Fold grigio tigrato, che la seguiva sempre dappertutto come un'ombra, confermò con un triste miagolio. "Tanto per cambiare, il solito esperto di turno finisce per comprendere, anche se ha la decenza di non farlo apertamente, l'ennesimo femmicida che, poverino, non riusciva ad accettare che la storia con la sua donna fosse finita, tanto è vero che si è suicidato. Dopo, però! Ma perché diavolo non si ammazzano prima!" Alla protesta che aveva sentito molte … troppe volte, il gatto si associò con veemenza. La giovane donna sospirò e, scuotendo il capo, andò in cucina. Quella mattina presto, era stato rinvenuto in aperta campagna il cadavere di una donna. Le informazioni fornite dal primo notiziario del mattino non erano molte. Si sapeva solo che era morta per un forte colpo alla testa, non prima di essere stata picchiata selvaggiamente. Si trattava della Segretaria del Circolo Diana. Raffinata e intelligente, gran bella donna sulla cinquantina, Aurore Daviel era conosciuta e stimata. Con un matrimonio infelice alle spalle, aveva da anni una relazione stabile, e apparentemente serena, con Gianfranco Anzani, reputato commercialista. Nonostante la discrezione di entrambi, da qualche tempo girava voce che si fossero lasciati. Lei, sempre cordiale e sorridente, sembrava spesso distante e adombrata. Lui, cupo di carattere, aveva un'aria ancora più torva. I Carabinieri si erano subito recati all'abitazione dell'uomo: un appartamento all'ultimo piano nella stessa palazzina signorile del centro, dove si trovava il suo studio professionale. Nessuno aveva risposto all'insistenza dei militi che, in attesa del mandato, erano scesi al pianterreno per controllare l'ufficio. La porta era aperta. L'Anzani era riverso sulla sua scrivania, la pistola in mano e un foro di proiettile alla tempia. Sullo schermo del PC, ancora acceso, si leggevano solo due parole. "Mi dispiace." Anche se superficialmente, Silvia conosceva la vittima. Non appena aveva sentito il suo nome era rimasta sconvolta. Non poteva crederci. Eppure, era così. Sempre più donne, di ogni età e ceto sociale, venivano uccise dai propri famigliari e, soprattutto, dai partner. Demoralizzata, Silvia si accinse a fare colazione. Intuendone, e forse condividendone, l'umore, Charlie le saltò in grembo, dopo essersi strusciato ripetutamente senza successo sulle sue gambe. Lei lo prese in braccio, grata per la sua comprensione. Lo guardò negli occhioni gialli e tondi, che manifestavano un affetto incondizionato. Con un blando sorriso, gli stampò un sonoro bacio in fronte. "Grazie, Micio! Meno male che ci sei tu." Il gatto ricambiò, accarezzandole il viso con la testa. Charlie era entrato nella sua vita all'incirca un anno e mezzo prima. Quando sua nonna era ancora viva. Silvia si guardò intorno. Ogni cosa, ogni dettaglio parlava di lei. Attraverso lo sguardo velato, vide i tanti momenti felici che aveva vissuto con lei. Bzzz … Bzzz … Bzzz … Il cellulare richiamò la sua attenzione al presente. "Sì." "Hai saputo, immagino." "Certamente." "Accidenti! Proprio adesso!" Silvia sospirò. Capiva il disappunto di Carlotta, ma … "So cosa pensi, ma ti sembra il caso?" Dopo un brevissimo silenzio, l'altra ammise. "Hai ragione." Ci fu un'altra pausa. "Senti … Hai da fare stamattina?" "Be' sì." "Ma se venissi subito?" Silvia lo prevedeva e temeva. "Giuro che non mi fermo troppo. Il tempo per un caffè." "D'accordo." si arrese lei con un sorriso, ben sapendo che di tazzine ce ne sarebbero state almeno tre. "Benissimo. Sono lì tra un quarto d'ora." Chiusa la comunicazione, Silvia finì in fretta il suo caffelatte e, dopo aver deposto con delicatezza Charlie a terra, si precipitò a lavarsi i denti e a vestirsi. Non aveva incontri importanti, quindi optò per un paio di pantaloni di flanella grigio antracite e un completo di cachemire azzurro polvere: lupetto e cardigan a trecce. Indossò la lunga collana indiana a tre fili di ematite e perlone martellate d'argento, con orecchini abbinati. Si pettinò i fluenti capelli castani naturalmente mossi e si truccò. Leggero fondotinta, un velo di cipria e fard. Matita sfumata per sottolineare gli occhi marroni, grandi ed espressivi, mascara e rossetto rosa antico. Due gocce di Chance sui polsi e dietro le orecchie. Aveva appena finito, quando Charlie prese a miagolare trotterellando verso l'ingresso. Pochi istanti dopo sentì il furgoncino di Carlotta fermarsi sull'inghiaiato. Quando aprì il portoncino, l'amica era già lì, impaziente come al solito. L'abbracciò frettolosamente. Oltre la cinquantina, ben piazzata, corti capelli riccioluti biondo cenere, vispi occhi azzurro cielo ai quali nulla sfuggiva, Carlotta era energica e concreta. Ed era un'amicizia recente. Come quasi tutte quelle che Silvia aveva lì. Lì era Gavirate, sulla riva nord del lago di Varese, dove aveva vissuto fino ai diciott'anni, prima di trasferirsi a Milano. Versata artisticamente, aveva convinto i genitori a farle frequentare Brera. Il padre medico aveva insistito perché facesse Medicina all'Università di Varese, abbandonando presto ogni speranza conscio che la figlia non aveva in simpatia le materie scientifiche. Quegli spensierati anni milanesi erano stati brevi. Troppo. All'improvvisa e prematura morte del padre, confortata dal parere della mamma e dell'unica altra parente che aveva, sua nonna paterna, Silvia aveva scelto Sociologia. Il corso era breve e le avrebbe consentito diversi sbocchi professionali in tempi ragionevolmente rapidi. Fin da piccola, aveva sempre cercato, e trovato, molti lavoretti. Diceva, orgogliosamente, che era per non pesare sulle finanze famigliari. In realtà, era uno dei suoi tanti modi di sancire la sua indipendenza. Un valore che le era stato insegnato dai suoi genitori e, soprattutto, da sua nonna. Non era stato quindi un problema intensificare le sue attività per essere davvero autonoma. Il passaggio al mondo del lavoro era stato per lei più morbido rispetto ai suoi compagni e, forse proprio per questo, aveva trovato un buon impiego appena laureata. Oltre agli ottimi voti, avevano certamente contribuito il temperamento positivo e l'indole laboriosa. In dieci anni, aveva maturato un'esperienza di tutto rispetto arrivando a guadagnarsi la direzione delle Risorse Umane della filiale italiana di un'importante società inglese. Pensava di essere a posto e stava seriamente meditando di dare una svolta importante alla sua vita: acquistare un appartamentino e, magari, convivere con Giorgio, suo partner da tre anni. Poi, come in un domino, tutto era precipitato. Sua madre, che risiedeva a Gavirate, si era ammalata gravemente. Questo le aveva imposto di rinunciare a qualsiasi spazio privato, il che aveva creato tensioni con Giorgio. Dapprima, lui si era dimostrato comprensivo, ma dopo poco non aveva nascosto il fastidio di sentirsi trascurato, arrivando poi a rimproverarla apertamente. Il rammarico iniziale di Silvia era presto mutato in delusione e risentimento. In una situazione tanto penosa, credeva di poter contare sul suo aiuto, o almeno sul suo conforto, e invece … Nemmeno un mese dopo la scomparsa della madre, era stata annunciata la fusione della sua azienda con un gruppo statunitense. Sapeva fin troppo bene cosa significava: una radicale riorganizzazione con un forte ridimensionamento di ruoli e personale. Infatti, la settimana successiva era stata informata del suo destino. Occuparsi dei licenziamenti, per poi essere la segretaria del nuovo direttore, ovviamente con uno stipendio ridotto a quasi la metà, oppure dare le dimissioni, incassando un commiato di due annualità. Nessuna delle due proposte era decente. Dover mettere alla porta, senza alcuna alternativa, colleghi che conosceva da anni le era di sicuro più intollerabile di essere retrocessa a factotum di un individuo che conosceva come incapace e arrogante, che le avrebbe fatto fare tutto il lavoro prendendosene ogni merito. D'altra parte, in quelle condizioni di mercato, le prospettive di trovare un altro posto al suo livello erano pressoché nulle. A poco valevano valore e competenza, quando erano altre le doti richieste che lei riassumeva con un'unica parola: sudditanza. Un'attitudine che lei non aveva mai avuto e non sarebbe stata capace di imparare. La sua scelta era quindi obbligata. In pochi mesi aveva perso la madre, il compagno e il lavoro, con annesso stipendio. In più di un momento, cedendo al dolore, si era detta che la sua vita era finita. Solo sua nonna riusciva a tirarla su di morale. Nonostante la bella età di ottant'anni passati, Eleonora Milani, Nora per gli amici, aveva mantenuto un fisico agile, oltre allo spirito brioso e alla mente brillante di sempre. Era arrivata l'estate, torrida e ancora più insopportabile a Milano. Silvia aveva accolto come una ventata d'aria fresca l'invito di nonna Nora di andare da lei. Il suo affetto, calibrato con saggia sensibilità, era stato più di sempre un toccasana per il suo animo ferito. Era stata lei che, dopo appena una settimana dal suo arrivo, aveva portato a casa un gattino di pochi giorni. C'era stata una cucciolata troppo numerosa e la veterinaria aveva affidato alcuni piccoli agli amici disposti a prendersene cura. Era molto impegnativo. Ogni due ore occorreva dargli il latte a trentotto gradi con una siringa, lentamente rispettando scrupolosamente i suoi tempi, perché era facile che il liquido andasse di traverso, con effetti letali per l'esserino. Alle spiegazioni di Nora, che guardava intenerita il batuffolo bianco e grigio nella sua mano, Silvia si era infastidita. Aveva tante cose a cui pensare, non aveva tempo di occuparsi di nessuno, men che meno di un gatto. Non aveva detto nulla, ma la nonna aveva capito e l'aveva rassicurata sorridente. Non l'avrebbe mai preso, se avesse comportato un suo aiuto, anche marginale. Non senza chiederglielo. Se ne sarebbe occupata da sola, dopo tutto non aveva niente da fare e si svegliava spesso di notte. Silvia si era sentita a disagio e più per affetto per la nonna, che per compassione verso la creaturina, si era offerta di darle una mano. Ci era voluto poco perché nutrire e accudire il micino le riempisse la giornata e il cuore. Era stato Chauncey l'artefice della sua completa guarigione. Nora l'aveva chiamato subito così perché significava fortunato, ma a lei piaceva di più Charlie. Così ognuna lo chiamava a suo modo. Il micio rispondeva a entrambe con lo stesso entusiasmo. Con lui era iniziata una nuova vita. Rasserenata, Silvia aveva cominciato a prestare ascolto alle informazioni che sapientemente la nonna inseriva nelle loro lunghe e piacevoli conversazioni. Alla fine dell'estate, recuperato il suo innato ottimismo, aveva deciso che avrebbe lavorato lì. Aveva in mente un'attività che, a quanto pareva, non era svolta da nessuno, ma che sarebbe stata molto utile. Sapeva per esperienza quanto fossero numerose ed eterogenee le esigenze delle aziende, e anche di professionisti e privati. Necessità che dovevano essere soddisfatte, affidandosi molto spesso a gente che non si conosceva e il cui servizio risultava a volte scadente o, molto più spesso, inadeguato. Da quanto aveva appreso dalla nonna, la zona era molto ricca di 'chi aveva bisogno e chi sapeva risolvere'. La sua idea era quella di collegare le due parti, con piena soddisfazione di entrambe. "Hai l'esperienza, le capacità e, ciò che più conta, le doti umane per riuscire." L'aveva rassicurata la nonna, fugando i suoi ultimi dubbi. "E poi hai sempre fatto tuo il motto di famiglia. Fare di necessità …" "Virtù." aveva terminato lei ridendo, dopo molto tempo, di gusto. Era rientrata a Milano per sistemare tutto e quindi era tornata dalla nonna, che aveva insistito perché vivesse con lei. Un'altra ragione che l'aveva motivata a quella scelta. Dopo tutto quello che aveva passato, aveva bisogno di non stare da sola e poter condividere i suoi pensieri con chi le voleva bene. In più, era felice di abitare nella casa che la affascinava fin da piccolissima: Villa Milani. In stile liberty, si sviluppava su due piani, oltre alla notevole altana finestrata, ed era munita di balconi e terrazze, ampie vetrate e un porticato rialzato, al quale si accedeva da una bella larga scala a due rampe. Situata su un morbido pendio in riva al lago, disponeva di un vasto belvedere antistante la facciata principale che offriva una vista spettacolare ed era circondata da un cospicuo terreno variamente piantumato che, avvicinandosi all'abitazione, mutava in giardino terrazzato ricco di ortensie, rododendri e azalee. Piena di entusiasmo e rinnovata energia, Silvia si era subito data da fare. Gli inizi erano stati meno difficili di quanto si aspettasse, grazie anche all'ottima reputazione di cui godeva la sua famiglia e alle molteplici buone conoscenze della nonna. Nel giro di soli sei mesi, la sua società, che aveva chiamato Trait-d-Union, era già ben avviata e le dava molte soddisfazioni.
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD