Capitolo 3
L’alito mi si condensò a ogni respiro. Persino il pesante cappotto che indossavo non riusciva a proteggermi dall’inverno di Chicago. La neve scricchiolò sotto gli stivali mentre seguivo mia madre lungo il marciapiede, verso la palazzina in mattoni che ospitava l’atelier di abiti da sposa più lussuoso di tutto il Midwest. Umberto ci seguiva a due passi di distanza, la mia ombra costante. Un altro degli scagnozzi di mio padre chiudeva la fila alle spalle delle mie sorelle.
Delle porte girevoli in ottone ci introdussero nella boutique ben illuminata dove la proprietaria e le sue due assistenti ci diedero subito il benvenuto. «Auguri, Miss Scuderi» mi salutò la prima con voce melodiosa.
Le rivolsi un sorriso forzato. Si supponeva che il mio diciottesimo compleanno fosse un giorno di festa. Al contrario, rappresentava soltanto un ulteriore passo verso il matrimonio con Luca. Non lo vedevo dalla notte in cui aveva tagliato il dito a Raffaele. Mi aveva fatto recapitare gioielli costosi per i miei compleanni, le feste di Natale, San Valentino e gli anniversari del nostro fidanzamento, ma a ciò si era limitata la portata dei nostri contatti negli ultimi trenta mesi. Su Internet lo avevo visto ritratto in compagnia di altre donne, ma persino questo sarebbe finito il giorno in cui la notizia del nostro fidanzamento sarebbe stata comunicata alla stampa. Se non altro, non avrebbe più sfoggiato le sue prostitute in pubblico.
Non mi facevo illusioni pensando che non ci andasse a letto. E non m’importava. Finché aveva altre donne con cui scopare, speravo che non pensasse a me in quel modo.
«Se non sono stata informata male, mancano solo sei mesi al suo matrimonio» cinguettò la proprietaria. Era l’unica che sembrava eccitata. Non c’era da sorprendersi, visto che oggi avrebbe fatto un sacco di soldi. Il matrimonio che sigillava l’unione finale della mafia di Chicago con quella di New York doveva essere un ottimo affare. Il denaro era irrilevante.
Chinai la testa. Mancavano centosessantasei giorni al momento in cui sarei passata da una gabbia dorata all’altra. L’occhiata che Gianna mi rivolse diceva chiaramente che cosa pensasse della faccenda, ma tenne la bocca chiusa. A sedici anni e mezzo, mia sorella aveva finalmente imparato ad arginare le sue intemperanze. Quasi sempre.
La proprietaria ci fece strada verso il camerino. Umberto e l’altro scagnozzo rimasero fuori, dietro le tende tirate. Lily e Gianna si abbandonarono sul soffice divano bianco, mentre mamma cominciava a passare in rassegna gli abiti in esposizione. Io rimasi in piedi in mezzo alla stanza. La vista di tutto quel tulle candido, della seta, della mussolina, del broccato e di quello che rappresentavano mi stringeva la gola. Ben presto sarei stata una donna sposata. Citazioni sull’amore decoravano le pareti, sembravano dileggiarmi, considerata la dura realtà della mia vita. Che cos’era l’amore se non uno stupido sogno?
Mi sentivo addosso gli sguardi della proprietaria e delle due assistenti, raddrizzai le spalle prima di raggiungere mia madre. Nessuno doveva sapere che non ero una sposa felice, bensì una pedina in un gioco di potere. Finalmente, la proprietaria ci si avvicinò per mostrarci i vestiti più lussuosi.
«Che tipo di abito preferirebbe il suo futuro marito?» domandò con fare amabile.
«Il genere nudo» replicò Gianna e mia madre la fulminò con lo sguardo. Arrossii, ma la proprietaria scoppiò a ridere, come se si trattasse di una battuta divertentissima.
«Per quello ci sarà tempo la prima notte di nozze, non crede?» commentò con una strizzatina d’occhi.
Sfiorai l’abito più prezioso della collezione, un sogno di broccato. Il bustino era ricamato di perle e fili argentati, che formavano un delicato motivo floreale. «Le fibre sono di platino» disse la proprietaria. Questo spiegava il prezzo. «Credo che il suo futuro marito sarà felice della sua scelta.»
Allora doveva conoscerlo meglio della sottoscritta. Per me Luca era rimasto lo stesso estraneo di quasi tre anni prima.
***
La cerimonia si sarebbe svolta nei grandi giardini della residenza dei Vitiello, negli Hamptons. Erano già tutti alle prese con i preparativi. Non avevo ancora messo piede nella casa né nella proprietà, ma mia madre mi teneva aggiornata, anche se io non glielo avevo chiesto.
Non appena arrivate a New York, poche ore prima, le mie sorelle e io ci eravamo riunite nella nostra suite, presso il Mandarin Oriental Hotel di Manhattan. Salvatore Vitiello ci aveva proposto di occupare una delle numerose stanze nella sua residenza fino al matrimonio, che sarebbe avvenuto da lì a cinque giorni, ma mio padre aveva declinato l’invito. Tre anni di esitante cooperazione e ancora non si fidavano l’uno dell’altro. Io ne ero lieta. Non volevo entrare in quella casa finché non fosse giunto il momento.
Papà mi aveva permesso di condividere una suite con Lily e Gianna, cosicché lui e mamma ne potessero avere una tutta per loro. Naturalmente, una guardia del corpo sarebbe stata davanti a tutte e tre le porte delle nostre stanze.
«Dobbiamo proprio partecipare al Bridal Shower domani?» domandò Lily, le gambe nude appoggiate allo schienale del divano. Mamma diceva sempre che Nabokov doveva avere in mente mia sorella quando aveva scritto Lolita. Mentre Gianna provocava con le parole, Lily lo faceva con il corpo. Aveva compiuto quattordici anni in aprile ed era una bambina che sfruttava le sue curve appena accennate per ottenere una reazione da chiunque avesse intorno. Assomigliava alla modella adolescente Thylane Blondeau, solo con i capelli un po' più chiari e senza lo spazio tra i denti.
Il suo atteggiamento mi preoccupava. Sapevo che era il suo modo di ribellarsi alla gabbia dorata che era la nostra vita, ma se gli scagnozzi di nostro padre consideravano il suo flirtare con divertimento, c’erano altri, là fuori, che avrebbero volentieri frainteso.
«Certo» borbottò Gianna. «Aria è la sposa felice, ricordi?»
Lily sbuffò. «Come no.» Si tirò su bruscamente. «Mi annoio, andiamo a fare shopping.»
Umberto non fu entusiasta della proposta, dichiarò che era quasi impossibile tenerci sotto controllo anche con un altro picciotto di papà al suo fianco. Alla fine cedette, come faceva sempre.
***
Ci trovammo in un negozio di vestiti in stile rockettara sexy, che Lily voleva disperatamente provare, quando ricevetti un messaggio da Luca. Era la prima volta che mi contattava direttamente e, per un lungo istante, non riuscii a far altro che fissare lo schermo. Gianna mi sbirciò da dietro le spalle in camerino. «“Ci vediamo al tuo hotel alle sei. Luca”. È stato gentile a chiedertelo.»
«Che cosa vuole?» bisbigliai. Avevo sperato di non vederlo fino al dieci agosto, il giorno del nostro matrimonio.
«C’è solo un modo per scoprirlo» replicò Gianna, osservando il proprio riflesso allo specchio.
***
Ero nervosa. Non lo vedevo da molto tempo. Mi lisciai i capelli, poi sistemai la camicia. Gianna mi aveva convinto a mettere i jeans neri aderenti appena comprati. Mi domandai se non fosse meglio indossare qualcosa di meno appariscente. Mancava ancora un quarto d’ora all’appuntamento con Luca. Non sapevo nemmeno dove incontrarlo. Immaginavo che al suo arrivo mi avrebbe chiamato, chiedendomi di scendere nell’atrio.
«Smettila di gingillarti» mi rimproverò Gianna dal divano, intenta a leggere una rivista.
«Non credo che questa mise sia una buona idea.»
«Invece sì. È facile manipolare gli uomini. Lily ha quattordici anni e l’ha già capito. Papà dice sempre che siamo il sesso debole perché non giriamo armate. Ma anche noi abbiamo i nostri mezzi, Aria, e devi cominciare a usarli. Se vuoi sopravvivere al matrimonio con quell’uomo, dovrai sfruttare il tuo corpo per tenerlo a bada. I maschi, persino i bastardi dal cuore gelido come loro, hanno una debolezza e gli pende in mezzo alle gambe.»
Non pensavo che Luca potesse essere manipolato facilmente. Sembrava qualcuno che non perdeva mai il controllo, a meno che non fosse lui a volerlo e non ero sicura di desiderare che lui notasse il mio corpo sotto questa luce.
Bussarono alla porta. Sussultai controllando l’ora. Era ancora troppo presto e poi lui non sarebbe salito fino alla nostra suite, no?
Lily sfrecciò fuori dalla sua camera, prima che Gianna o io riuscissimo a muoverci. Indossava i vestiti da rockettara chic che aveva comprato: pantaloni di pelle aderenti e una maglietta nera. Credeva che la facessero sembrare un’adulta. Gianna e io pensavamo fosse una quattordicenne che cercava di fare colpo.
Aprì la porta, l’anca spinta in avanti, sforzandosi di apparire sexy. Gianna gemette, ma io non le badai.
«Ciao Luca» cinguettò Lily. Mi avvicinai in modo da vederlo mentre la fissava, nel chiaro tentativo di capire chi fosse. Matteo, Romero e Cesare erano in piedi alle sue spalle. Wow, si era portato tutto il seguito. Dov’era Umberto?
«Tu sei Liliana, la sorella più piccola» dichiarò il mio futuro marito, ignorando l’espressione civettuola di Lily.
«Non sono così bambina» ribatté Lily, rabbuiandosi.
«Invece sì» intervenni con fermezza, raggiungendola e posandole le mani sulle spalle. Era di pochi centimetri più bassa di me. «Vai da Gianna.»
Lily mi rivolse uno sguardo scettico, ma poi sgattaiolò via.
Il cuore mi batteva all’impazzata quando mi voltai verso Luca. I suoi occhi si soffermarono sulle mie gambe, poi risalirono lentamente fino al mio viso. L’ultima volta che l’avevo visto non c’era quell’espressione nel suo sguardo. Realizzai, all’improvviso, che si trattava di desiderio. «Non sapevo che ci saremmo incontrati nella mia suite» esordii, rendendomi poi conto che avrei dovuto salutarlo o, se non altro, suonare meno maleducata.
«Mi lasci entrare?»
Esitai, quindi feci un passo indietro per far passare gli uomini. Solo Cesare rimase fuori. Chiuse la porta, anche se avrei preferito che la lasciasse socchiusa.
Matteo si avvicinò a Gianna, che si tirò su velocemente riservandogli una delle sue occhiate più antipatiche. Lily, naturalmente, gli sorrise. «Posso vedere la tua pistola?»
Matteo sfoderò un gran sorriso, ma prima che potesse rispondere, replicai: «No, non puoi.»
Sentii lo sguardo di Luca su di me, indugiò di nuovo sulle mie gambe e sul mio sedere. Gianna mi fissò come per ribadire “che cosa ti avevo detto?” Lei voleva che usassi il mio corpo, ma preferivo che Luca lo ignorasse perché tutto il resto mi terrorizzava.
«Non dovresti essere qui da solo con noi» brontolò Gianna. «Non è appropriato.» Io quasi sbuffai. Come se a mia sorella importasse qualcosa dell’appropriatezza.
Il mio futuro marito socchiuse gli occhi. «Dov’è Umberto? Non dovrebbe tenere d’occhio la porta?»
«Probabilmente è in bagno o a fare una pausa sigaretta» lo giustificai stringendomi nelle spalle.
«Capita spesso che vi lasci senza protezione?»
«In continuazione» replicò Gianna sarcastica. «Vedi, Lily, Aria e io sgattaioliamo fuori ogni fine settimana perché abbiamo fatto una scommessa su chi rimorchierà più ragazzi.» Lily si abbandonò alla sua risata squillante.
«Voglio scambiare due parole con te, Aria» riprese Luca, fissandomi con freddezza.
Gianna si alzò dal divano per avvicinarsi. «Stavo scherzando, per l’amore del cielo!» esclamò, cercando di mettersi tra me e Luca, ma Matteo l’afferrò per un polso e la tirò indietro. Lily osservava tutto a occhi spalancati, con Romero appoggiato alla porta, fingendo che la faccenda non lo interessasse.
«Lasciami andare o ti spezzo le dita» ringhiò Gianna. Matteo alzò le mani con un gran sorriso.
«Forza» disse Luca, sfiorandomi l’incavo della schiena con la mano. Soffocai un sussulto. Se se ne accorse, non lo diede a vedere. «Qual è la tua stanza?»
Il cuore mi saltò un battito, mentre con un cenno gli indicavo la porta sulla sinistra. Luca mi guidò da quella parte, ignorando le proteste di Gianna. «Chiamerò nostro padre! Non puoi farlo.»
Entrammo in camera mia e lui chiuse la porta. Non potei fare a meno di avere paura. Gianna non avrebbe dovuto parlare in quel modo. Non appena il mio futuro marito mi affrontò, cominciai: «Stava scherzando. Non ho nemmeno mai baciato nessuno, giuro.» Avvampai nell’ammetterlo, ma non volevo che Luca si arrabbiasse per qualcosa che non avevo fatto.
I suoi occhi grigi mi inchiodarono con la loro intensità. «Lo so.»
Rimasi a bocca aperta. «Allora perché sei arrabbiato?»
«Ti sembro adirato?»
Decisi di non replicare.
Fece un sorrisetto. «Non mi conosci molto bene.»
«Non è colpa mia» borbottai.
Mi sfiorò il mento e m’irrigidii all’istante. «Sembri una cerbiatta imbizzarrita nelle grinfie di un lupo.» Non si rese conto di quanto quella descrizione si avvicinasse a quello che pensavo di lui. «Non intendo maltrattarti.»
Dovevo essergli sembrata dubbiosa perché si lasciò andare a una risatina, abbassando la testa verso la mia.
«Che cosa stai facendo?» bisbigliai nervosa.
«Non ti prenderò, se è questo che ti preoccupa. Posso attendere ancora qualche giorno. Sono tre anni che aspetto, dopotutto.»
Non riuscii a credere a quello che aveva appena detto. Sapevo che cosa aspettarmi la prima notte di nozze, ma mi ero quasi convinta che Luca non fosse interessato a me sotto quell’aspetto. «L’ultima volta mi avevi definito “una bambina”.»
«Ora non lo sei più» ribatté con un ghigno predatore. Le sue labbra erano a meno di tre centimetri dalle mie. «Mi stai rendendo le cose molto difficili. Non posso baciarti se mi fissi in quel modo.»