II.
Dopo aver lottato, per qualche settimana, contro il sentimento che mi spingeva a rivedere la casa lasciata nelle condizioni che ho già riferite, alla fine cedetti; e decidendo che questa volta mi sarei presentato alla luce del giorno, nel pomeriggio volsi i miei passi verso quel luogo.
Arrivai fin oltre la casa e feci parecchi giri nella via, con quella specie di esitazione naturale a chi sa che la visita che vuol fare è inattesa, e può non riuscire gradita. Comunque, siccome l’uscio della bottega era chiuso, e non sembrava probabile che semplicemente passando dinanzi su e giù, sarei stato riconosciuto da quelli al di dentro, tosto vinsi la mia indecisione e mi trovai nella bottega dell’antiquario.
Il vecchio e un’altra persona erano insieme nel retrobottega, e pareva ci fossero state delle grosse parole fra i due, perchè le loro voci, levate a un tono molto alto, a un tratto s’abbassarono al mio ingresso, e il vecchio, venendomi incontro in fretta, disse con tono tremulo d’esser molto lieto della mia visita.
— Ci avete interrotti in un momento grave — disse indicando l’uomo che era in sua compagnia; — costui mi assassinerà uno di questi giorni. Se avesse osato, l’avrebbe fatto da lungo tempo.
— Bah! Tu mi rovineresti, se potessi — ribattè l’altro, dopo avermi fissato in viso, aggrottando le sopracciglia — lo sappiamo tutti.
— Credo che quasi lo vorrei! — esclamò il vecchio volgendosi stanco verso di lui. — Se i giuramenti, le preghiere, le parole, potessero sbarazzarmi di te, lo farebbero. L’avrei finita con te, e sarei consolato di vederti morto.
— Lo so — rispose l’altro. — Non l’ho detto forse? Ma nè i giuramenti, nè le preghiere, nè le parole mi uccideranno, e perciò vivo, e intendo di vivere.
— E sua madre è morta! — esclamò il vecchio, torcendosi dolorosamente le mani e guardando in alto. — E questa è la giustizia del Cielo!
L’altro se ne stava in piedi su una sedia, a guardare indolentemente il vecchio con un ghigno sprezzante. Era un giovane d’una ventina d’anni o giù di lì, ben formato e certo molto bello, sebbene l’espressione del viso fosse lungi dall’essere simpatica, perchè aveva, come anche nelle maniere e nel vestito, un’aria ripugnante d’insolenza e di dissipazione.
— Giustizia o no — disse il giovane — io sto qui e ci starò finchè non mi piacerà d’andarmene, tranne che tu non cerchi aiuto per cacciarmi fuori... Cosa che, so bene, non farai. Ti ripeto che voglio vedere mia sorella.
— Tua sorella! — disse il vecchio dolorosamente.
— Oh! Tu non puoi sopprimere la parentela — ribattè l’altro. — Se lo potessi, da quanto tempo l’avresti fatto tu. Voglio veder mia sorella, che tu tieni segregata qui, avvelenandole lo spirito coi tuoi vili segreti e fingendo di volerle bene per farla lavorare a morte, e aggiungere ogni settimana un po’ di miserabili scellini a quel danaro che tu appena riesci a contare. Voglio vederla; e la vedrò.
— Ecco il moralista che si mette a parlare di spiriti avvelenati! Ecco un’anima generosa che parla con disprezzo di pochi scellini racimolati con gran fatica — esclamò il vecchio, volgendosi da lui a me. — Un dissoluto, signore, che ha non solo perso il diritto di appellarsi a quelli che hanno la disgrazia d’esser del suo stesso sangue, ma anche alla società, che di lui non può annoverare che cattive azioni. Un bugiardo anche — aggiunse sottovoce, avvicinandosi — il quale sa che ella mi è cara, e cerca di ferirmi anche in questo, perchè c’è un estraneo.
— Gli estranei non mi fanno nè caldo nè freddo, nonno — disse il giovane, approfittando della parola — come neppure io a loro, spero. Ciò che possono far di meglio è di badare ai fatti loro, e di lasciarmi badare miei. C’è un amico che m’attende di fuori, e siccome sembra che io debba aspettare un poco, vado, se permetti, a chiamarlo.
Così dicendo, si diresse all’uscio, e affacciandosi sulla via accennò parecchie volte a una persona che non si vedeva e che, a giudicare dall’aria d’impazienza dei gesti d’invito, ebbe bisogno d’una gran quantità di persuasione perchè si decidesse a farsi avanti. Finalmente si presentò salterellando, in fondo alla via, di fronte, — come se passasse per caso — un certo figuro vistoso per la sua sudicia eleganza, il quale, dopo molti aggrottamenti della fronte e scosse della testa, di resistenza all’infinito, infine traversò la strada ed entrò nella bottega.
— Ecco qui. Questo è Riccardino Swiveller, — disse il giovane, traendoselo dietro. — Siediti, Swiveller.
— Ma non dispiace al vecchio? — disse il signor Swiveller, sottovoce.
— Siediti, — gli ripetè il compagno.
Il signor Swiveller obbedì, e guardandosi d’attorno con un sorriso propiziatorio, osservò che la settimana precedente aveva segnato un bel periodo per le anitre, e che quella corrente era una bella settimana per la polvere; osservò, inoltre, che stando addossato al pilastro della cantonata, aveva visto, dalla bottega d’un tabaccaio, uscire un porcellino con una paglia in bocca; da che si deduceva che s’avvicinava un’altra bella settimana per le anitre, perchè avrebbe indubbiamente piovuto. Prese quindi l’occasione di scusarsi per qualche negligenza che si potesse notargli negli abiti, perchè la notte scorsa «il sole gli aveva abbagliato forte gli occhi»; intendendo con questa espressione di dare agli uditori, nella maniera più delicata possibile, la notizia d’essere stato sbalorditivamente ubbriaco.
— Ma che cosa — disse il signor Swiveller con un sospiro — che cosa importa ogni discrepanza nell’abbigliamento finchè il fuoco dell’anima si accende al lume d’un’agape gioiosa, e l’ala dell’amicizia non muta una piuma! Che importa ogni discrepanza esterna se lo spirito s’espande per mezzo della bevanda di rubino, e l’istante presente è il meno felice della nostra esistenza!
— Tu qui non presiedi un banchetto — disse il suo amico, mezzo fra sè e sè.
— Rico!— esclamò Swiveller, picchiandosi il naso. — Ai saggi basta una parola… poi possiamo esser buoni e felici senza ricchezze, Rico. Non dire un altra sillaba. So quando dovrò parlare; la battuta d’attacco sarà eleganza. Solo un’altra parolina, Rico... c’è buona disposizione nel vecchio?
— Non ci badare — rispose l’amico.
— Bene ancora, bene ancora — disse Swiveller — la battuta d’attacco è cautela, e il tema è cautela. — Così dicendo strizzò l’occhio, come accennando alla custodia di qualche profondo segreto, e incrociando le braccia e poggiandosi alla spalliera della seggiola, si mise a guardare il soffitto con profonda gravità.
Forse non era molto irragionevole sospettare, da ciò che già s’era svolto, che il signor Swiveller non si fosse del tutto riavuto dagli effetti della potente irradiazione solare alla quale aveva alluso; ma se un simile sospetto non fosse stato destato dalle sue parole, i capelli arruffati, gli occhi imbambolati e la faccia affaticata gli sarebbero stati molto sfavorevoli testimoni. La sua acconciatura non era, com’egli stesso aveva accennato, tale da esser notata per una linda apparenza, ma in così fatto stato di negligenza da far chiaramente comprendere ch’egli s’era coricato bell’e vestito. Essa consisteva d’un abito a falde marrone, stretto alla vita con molti bottoni d’ottone sul davanti, e uno solo di dietro; una lucente cravatta a scacchi, una sottoveste a quadretti, un paio di calzoni bianchi infangati, e un cappello ammaccato, issato sulla fronte dalla parte posteriore, per nascondere un buco nella falda. Il petto dell’abito a falde era ornato da una tasca esterna su cui spuntava l’estremità più pulita d’un ampio e assai usato fazzoletto; gli orli delle maniche, tirati più che possibile giù, erano con ostentazione ripiegati sui polsini. Egli non sfoggiava guanti e portava una mazza gialla che aveva in cima una mano d’osso con un anello al mignolo e una palla nera nel pugno. Con tutti questi vantaggi personali (ai quali si può aggiungere un forte odore di tabacco e un predominante untume nell’aspetto), il signor Swiveller s’appoggiava alla sedia con gli occhi fissi al soffitto, e di tanto in tanto elevando la voce fino alla chiave necessaria, dilettava la compagnia con un po’ di versetti d’un’aria intensamente lugubre, ricadendo quindi a un tratto, nel bel mezzo di una nota, nel silenzio di prima.
Il vecchio si sedè su una poltrona, e, con le mani incrociate, guardava talvolta il nipote e talvolta il suo strano compagno, come se confessasse manifestamente la sua impotenza e non avesse altro mezzo che di lasciar fare ciò che volevano. Il giovane s’appoggiò contro un tavolo, non lungi dall’amico, indifferente in apparenza a tutto ciò che era accaduto; e io — che sentivo la difficoltà di qualunque intromissione, nonostante che il vecchio si fosse rivolto a me, e con le parole e con gli sguardi — finsi come meglio potei d’essere occupato ad esaminare alcuni degli oggetti schierati per la vendita, e non badare molto ai due visitatori.
Il silenzio non fu di lunga durata; perchè il signor Swiveller, dopo averci onorato con parecchie assicurazioni melodiose che il suo cuore vagava per i monti di Scozia, e che desiderava il proprio corsiero arabo come preliminare al compimento di grandi gesta di valore e fedeltà, allontanò gli occhi dal soffitto e ricadde di nuovo nella prosa.
— Rico — disse Swiveller, interrompendosi, come se l’idea gli fosse sorta proprio allora, e parlando con lo stesso bisbiglio di prima — il vecchio è ben disposto?
— Che importa? — rispose l’amico, incurante.
— No, ma è ben disposto? — disse Riccardo.
— Sì, s’intende. Ma che vuoi che m’importi della sua disposizione?
Imbaldanzito, a quanto parve, da questa risposta per entrare in una conversazione generale, il signor Swiveller si sforzò sinceramente di cattivarsi la nostra attenzione
Egli cominciò a dire che l’acqua di soda, benchè ottima in astratto, andava soggetta, non temperata col gin, a far sullo stomaco l’effetto del piombo. Era meglio anzi sostituire il ginepro con l’acquavite, tranne in considerazione della spesa. Siccome nessuno s’avventurò a contestare questi principî, egli continuò con l’osservare che le chiome umane erano forti assorbitrici del fumo di tabacco, e che i giovani signori di Westminster e di Eton, dopo aver ingerito dei mucchi di mele per nasconder ai loro affettuosi istitutori l’odore dei sigari, di solito per mezzo della chioma fornita di quella notevole proprietà, venivano infine scoperti; donde concluse che se la Società Reale avesse rivolta la sua attenzione a quella circostanza e si fosse sforzata di trovare nella scienza un mezzo per impedire simili incomode rivelazioni, sarebbe stata ritenuta una grande benefattrice dell’umanità. Essendo queste opinioni incontestabili, al pari di quelle già enunciate, egli seguitò con l’informarci che il rum Giamaica, benchè fosse indubbiamente un liquore piacevole per la sua grande potenza e fragranza, aveva il difetto di lasciar sentire il suo sapore per tutto il giorno appresso; e siccome nessuno si avventurò a contestare neppure questo punto, il giovane si fece ancora più confidente, socievole ed espansivo.
— È una brutta cosa, signori — disse il signor Swiveller — quando i parenti litigano e cadono in discordia. Se l’ala dell’amicizia non dovrebbe mai mutare una piuma, l’ala della parentela non dovrebbe essere mai mozzata e arruffata. Perchè un nipote e un nonno si debbono scagliare violentemente l’uno contro l’altro, quando tutto potrebbe essere beatitudine e amore? Perchè non stringersi la mano e dimenticare?
— Taci — gli disse l’amico.
— Signore — rispose il signor Swiveller — che non s’interrompa il presidente. Signori, come stan le cose nella presente occasione? Ecco qui un vecchio nonno burlone... sia detto col massimo rispetto... ed ecco qui un giovane nipote indisciplinato. Il vecchio nonno burlone dice al giovane nipote indisciplinato: «Rico, io ti ho allevato; ti ho dato i mezzi per farti strada nel mondo; tu hai deviato un poco, come fanno spesso i giovani; io non ti darò più la possibilità di rientrare in carreggiata, neppur l’ombra della possibilità». Il giovane nipote indisciplinato risponde e dice: «Tu sei ricco che più non si può essere; tu non hai speso molto per me, e stai ammucchiando monti di denaro per la mia sorellina che vive con te in una maniera molto sospetta, strana e segreta e senza alcuna apparenza di gioia... Perchè non cerchi di dare una mano al parente già innanzi con gli anni?» A questo il vecchio nonno burlone ribatte che egli non solo rifiuta di snocciolare un centesimo con quella lieta prontezza che è sempre così piacevole e gradita in un galantuomo della sua età; ma che gli farà delle scene, gli dirà delle male parole e gli farà delle tristi osservazioni tutte le volte che lo incontrerà. Allora la questione in termini piani è questa: Non è un peccato che debba continuare questo stato di cose, e non sarebbe molto meglio che il vecchio galantuomo sborsasse una ragionevole somma di denaro, e tutto finisse in santa pace?
Spacciata questa orazione con molti cenni e gesti della mano, il signor Swiveller improvvisamente si cacciò in bocca il pomo della mazza come per impedire a sè stesso di guastarne l’effetto, nel caso gli fosse saltato il ticchio d’aggiungere un’altra parola.
— Perchè, Dio mi aiuti, mi dai la caccia e mi perseguiti? — disse il vecchio, volgendosi al nipote. — Perchè conduci qui i tuoi compagni di bagordi? Quante volte ti debbo dire che la mia è una vita di stenti e di abnegazione, e che sono poverissimo?
— Quante volte ti debbo dire — rispose l’altro, fissandolo freddamente — che io sono bene informato delle tue cose?
— Tu ti sei scelta la tua strada — disse il vecchio. Seguila, e lascia Nella e me a stentare e lavorare.
— Nella sarà tosto donna — rispose l’altro — e, cresciuta nella tua fede, dimenticherà il fratello, se qualche volta non lo vede.
— Bada — disse con gli occhi scintillanti il vecchio — che essa non ti dimentichi quando avrà la memoria più tenace. Bada che non venga il giorno in cui tu andrai scalzo ed essa in una bella vettura di sua proprietà.
— Tu intendi il giorno in cui avrà il tuo denaro? — ribattè l’altro. — Parla così un povero!
— E pure — disse il vecchio, in tono più basso, e parlando come se pensasse a voce alta — come siam poveri, e qual vita è la nostra! Tutto per una piccina che non ha commesso nessun male e nessun torto! Ma nulla le va bene! Speranza e pazienza, speranza e pazienza.
Queste parole, benchè dette a voce bassa, poterono raggiungere l’orecchio dei giovani. Il signor Swiveller parve pensare ch’esse, in conseguenza del potente effetto prodotto dalla sua allocuzione, nascondessero una penosa lotta mentale, perchè stuzzicò l’amico con la mazza e gli bisbigliò d’esser convinto d’aver messo sulla bilancia l’argomento decisivo e d’attendere perciò una percentuale sugli utili. Ma dopo un po’, avendo scoperto il suo errore, parve piuttosto assonnato e malcontento, e aveva più d’una volta consigliato l’opportunità d’una partenza immediata, quando si aperse l’uscio e apparve la fanciulla.