primo estratto

752 Words
Educazione sentimentale di un rapinatore di banche – primo estratto Questa non è un’autobiografia, non proprio. Questa è la storia di una truffa e dei suoi imprevedibili risultati. Ma dato che il protagonista della storia sono io, un po’ di biografia sarà inevitabile, per farvi capire chi sono e da dove vengo. Anche a voi avranno raccontato la favola del Paese delle Opportunità. Ormai non sono in molti a crederci, ma ha ancora il suo fascino. In fondo sai che è una sporca bugia, ma è difficile ammetterlo. Una piccola parte di te vuole convincersi che tutto è possibile e tutti hanno una possibilità. E sono d’accordo: tutti hanno una possibilità. Legale? Nah, quello no. Quindi, quand’è che ho cominciato a pensare che rapinare banche potesse essere la mia unica possibilità di riscatto? Sono nato in un parcheggio di roulotte. Con questo non intendo dire che mia madre viveva in una roulotte, quando sono nato, ma proprio che sono nato in una di quelle roulotte. Non solo mia madre non aveva un’assicurazione sanitaria, non credeva neppure abbastanza nei medici e nella medicina da muovere le chiappe e andare a sfornare la pagnotta in un ambulatorio pubblico. Probabilmente non ne aveva neppure la voglia o l’energia. Al momento della mia nascita avevo sette tra fratelli e sorelle. Due erano ritardati, quattro comunque non sono mai stati tanto furbi. Mia mamma ha fumato c***k durante tutte e dieci le sue gravidanze. Due non si sono mai trasformate in fratellini. Quando sono nato, le condizioni sanitarie di quel posto erano così disperate che un’assistente sociale è venuta a prendermi e mi ha portato via. Secondo mia madre qualche vicino di roulotte aveva fatto la spia, una frase che ha sempre pronunciato con disprezzo. Vorrei approfittare di quest’occasione per ringraziare quel vicino, se davvero esiste, dato che probabilmente mi ha salvato dalla morte o dall’idiozia. Ho passato il primo anno in un istituto. Più tardi i miei fratelli e i miei genitori mi hanno dipinto quel posto a tinte fosche... una sorta di prigione dove maltrattavano i bambini, li sfruttavano e forse li vendevano. Fosse vero oppure no, ero troppo piccolo per rendermene conto. L’unica cosa che so è che all’istituto mi hanno dato tutte le vitamine e buona parte delle proteine che mi servivano. Abbastanza da far sviluppare correttamente quel mio cervellino ancora così minuscolo. È una cosa che ho imparato in seguito. Se nel primo anno di vita la tua alimentazione è carente in modo grave è molto probabile che in seguito tu non sia molto sveglio. Tutti hanno un’opportunità, nel nostro paese, tranne quelli a cui da piccoli danno da mangiare merendine spiaccicate invece di omogeneizzati. Dopo un anno circa, in ogni caso, mi rimandarono a casa. Cioè, nella roulotte. I contribuenti avevano già speso più che abbastanza per il figlio di una tossica e di un delinquente da quattro soldi. Proverò a farla breve. Questa non è una biografia e comunque parlare di quel periodo non mi piace un granché. A scuola gli altri bambini tenevano noi Carter in disparte dicendo che puzzavamo. Avevano ragione loro: puzzavamo. Non ci lavavamo abbastanza e i nostri vestiti erano spesso sporchi. Gli assistenti sociali prendevano a turno qualcuno di noi e lo affidavano a questa o quella famiglia, anche perché altrimenti nella roulotte non ci saremmo stati tutti, ma comunque alla fine tornavamo sempre indietro. Sballottati, confusi, spesso picchiati dalle famiglie affidatarie o peggio. A scuola andavamo tutti male. A nessuno, nella nostra famiglia, importava che facessimo i compiti. Non avevamo i libri di testo, né l’abbigliamento per fare sport. Nostro padre continuava a ripetere che studiare era inutile e ci prendeva in giro se ci vedeva leggere. La maggior parte delle volte non ci presentavamo a lezione, a meno che qualche educatore non ci venisse a prendere e ci costringesse a entrare. Voi direte: che banalità. L’ho sentito ripetere tante volte, nei salotti televisivi o sulle colonne dei giornali: perché ogni delinquente che arrestiamo deve avere la scusa di un’infanzia disastrata e piena di abusi? Perché questi scarti della società devono sempre rinfacciarci che sono cresciuti in un quartiere povero, da famiglie problematiche, in un contesto violento? In fondo, questo è il Paese delle Opportunità: se si fossero impegnati avrebbero potuto riuscire come chiunque altro. Avete ragione, è banale e seccante. Non vorrei che questa fosse anche la mia, di giusfificazione. Anzi, non voglio proprio giustificazioni. Ma se volete ancora sapere quando ho cominciato a pensare che rapinare banche potesse essere la mia unica possibilità di riscatto, la risposta è semplice. L’ho sempre saputo, non avrei potuto contemplare nulla di diverso. [...]
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