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1.
“Tu” un tempo aveva un nome. Mesi prima, forse anche di più. I suoi giorni erano scanditi da avvenimenti tutti uguali, ormai, e “Tu” aveva perso il conto.
Veniva svegliata dalla signora Jones ogni sera. Immaginava che fosse sera, perché a volte vedeva il cielo, fuori da una finestra. La maggior parte del tempo, tuttavia, le tende e gli scuri restavano ben chiusi. Nelle prime ore di veglia svolgeva delle mansioni sempre simili. Puliva i folti tappeti con un rumoroso aspirapolvere, lucidava i mobili, tagliava le verdure.
Come le altre due ragazze, seguiva una dieta molto rigida. Molta carne rossa, con contorno di verdure bollite. Poi frutta, molta frutta. “Tu” non sapeva se fosse un caso, ma credeva di no. Niente era lasciato al caso, lì.
La signora Jones spiegava seccamente che cosa doveva fare e “Tu” annuiva se aveva capito. Le era permesso parlare solo per chiedere spiegazioni sui lavori domestici, e solo con la signora Jones. Non doveva parlare alle altre due ragazze. Non ne conosceva neanche il nome. Erano “Tu” anche loro.
Quando il sole calava, compariva il Signore. Anche nel suo caso, non sapeva come si chiamasse. Era il Signore, tutto qua. La signora Jones non trascurava mai di rivolgersi a lui usando quel titolo, nient’altro.
Il Signore assomigliava a un uomo. Assomigliava a un uomo dai capelli rossastri, dalla barba ben curata. In linea del tutto teorica sarebbe stato un bell’uomo, il Signore. Alto, e muscoloso, e dalla pelle candida e perfetta, e dagli occhi brillanti come zaffiri.
Ma non era un uomo, anche se gli assomigliava, e non era bello. Era un mostro. Un vero mostro con le zanne e gli artigli, anche se gli artigli erano solo le sue unghie, che teneva lunghe come quelle di una donna.
“Tu” e le altre due ragazze venivano chiamate a turno. Un ciclo regolare, che ti faceva perdere il senso del tempo.
La signora Jones si limitava a indicarle e a dire: «Tu, vai. Tocca a te».
Quando toccava a lei, “Tu” percorreva uno dei lunghi corridoi di quella casa tetra e bussava delicatamente sulla grande porta di noce del salotto del Signore.
«Entra» diceva lui e “Tu” entrava senza una parola.
A volte il Signore stava leggendo, a volte stava guardando la televisione, tranquillamente seduto sul divano con le gambe accavallate.
“Tu” si fermava vicino al divano finché il Signore non sollevava lo sguardo su di lei. Allora le indicava l’antica scrivania in un angolo e “Tu” andava a mettersi in piedi lì davanti. Posava le mani e i gomiti sul ripiano della scrivania, che era sempre perfettamente sgombro, piegandosi a quarantacinque gradi.
Il Signore le sollevava la gonna sopra alla vita. “Tu” non portava biancheria intima, quindi a quel punto era esposta al suo sguardo.
La prima volta, il Signore le aveva spiegato che cosa doveva fare con la sua voce dal leggero accento straniero, ma ormai non era più necessario. Entrambi restavano in silenzio.
La prima volta, “Tu” aveva pensato che sarebbe stata stuprata. Non era mai successo e non sarebbe mai successo, di questo era sicura. Per quanto riguardava il Signore, non c’era proprio niente di sessuale, in tutto il procedimento.
Per quanto riguardava “Tu”...
Quando lei era in posizione, il Signore iniziava a percuoterla sulle natiche. Usava uno strumento piatto che “Tu” non aveva mai visto, ma immaginava che fosse qualcosa di simile a un battipanni.
La percuoteva duramente, per diversi minuti, finché “Tu” non iniziava a piangere di dolore. Cercava di farlo in silenzio, visto che non aveva il permesso di parlare.
Quando il sedere le bruciava come un tizzone, il Signore le scostava i capelli e la mordeva sul collo.
“Tu” non aveva nessun dubbio su che cosa fosse: non un essere umano. “Tu” sentiva i suoi canini che le trapassavano la pelle del collo, il proprio sangue che gocciolava fuori, la lingua del Signore che lo lappava via coscienziosamente.
Dopo qualche minuto allontanava la bocca e tutto era finito. Lei poteva abbassarsi la gonna e andare via. Non le restavano mai dei segni sul collo, per questo “Tu” sapeva che il Signore non era semplicemente un pazzo. Era un vampiro vero.
C’erano degli altri segnali...
Dopo essere uscita, “Tu” riprendeva le faccende domestiche. Era una grande casa e doveva essere sempre pulitissima. Il sedere continuava a dolerle per uno o due giorni. Era tutto calcolato, lo sapeva. La colpiva sulle natiche e non su un’altra parte del corpo perché erano morbide e sarebbero guarite presto. Malgrado ciò, “Tu” sapeva che a volte le restavano dei segni per qualche settimana. Segni rossi e profondi, quando il Signore la colpiva con lo spigolo di quell’oggetto, qualunque cosa fosse.
Le prime volte “Tu” era uscita dal salotto piangente e tremante. Ormai non le importava più.
Anzi, quello era l’unico momento in cui si sentisse viva.
Inoltre, c’erano delle altre sensazioni.
All’inizio quando veniva morsa provava dolore e un certo disgusto. I canini del Signore le squarciavano la pelle e questo le faceva male. La sua lingua leccava via il sangue e questo le faceva schifo.
Ma con il passare del tempo aveva iniziato ad avvertire un’altra sensazione, più sottile. Da dove i suoi denti la trapassavano e la sua lingua la lappava cominciava a diffondersi un lieve formicolio. Un formicolio caldo e piacevole, che dilagava in tutto il suo corpo.
Per questo “Tu” sapeva che il Signore era un vero vampiro, non un pazzo sadico. O, comunque, non solo.
Era un piacere che si faceva più intenso di volta in volta. O, almeno, questa era l’impressione che aveva. Forse era semplice anticipazione.
Nell’ultimo periodo, si era resa conto che mentre il Signore beveva lei si eccitava. Non molto, solo un pochino. I capezzoli le si indurivano e il sesso si schiudeva leggermente.
Nell’ultimissimo periodo aveva cominciato a succederle anche prima, mentre lui la batteva. Il dolore non era più semplice dolore, ma anche... qualcos’altro. “Tu” non avrebbe saputo spiegarlo. A volte arrivava nel salotto con il respiro già lievemente accelerato, quasi ansiosa di essere picchiata.
L’ultima volta il Signore se n’era accorto.
La stava battendo e “Tu” si mordeva le labbra per non gemere di dolore... e non solo. Il Signore si era fermato e aveva annusato l’aria.
«Mh» aveva detto. Solo quello. E poi aveva ripreso a colpirla più forte, sempre più forte, finché ogni traccia di piacere era scomparsa e “Tu” non aveva potuto far altro che gridare di dolore.
Quella mattina, prima di stendersi sul letto della sua stanza, aveva cercato di guardarsi. Le sue natiche erano rosse come il fuoco e segnate da numerose strisce sanguinanti. Si era stesa sulla pancia, sapendo che non sarebbe guarita, dalla volta successiva. E non avrebbe potuto sedersi, per un po’.
Mentre fuori il sole sorgeva aveva pianto, rendendosi conto con certezza che ogni traccia di vita le sarebbe stata strappata e che il suo unico compito, in quella casa, era nutrire il Signore con il suo sangue e il suo dolore. Fino alla morte.
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La volte seguente, in realtà, era successa una strana cosa. Una cosa inedita. La signora Jones non aveva indicato solo lei, ma anche un’altra ragazza. Quella bionda e esile che a volte vedeva piangere in silenzio. La terza era stata “usata” il giorno prima, forse per questo non fu chiamata.
“Tu” e la biondina percorsero insieme il corridoio, poi “Tu” bussò alla porta.
«Entrate» disse la voce del Signore.
La prima cosa di cui “Tu” si rese conto fu che non era da solo.
C’era un altro uomo con lui. Un uomo che sarebbe stato un bell’uomo, se solo fosse stato un uomo. “Tu” era sicura che fosse come il Signore. Era alto, e snello, e indossava un elegante completo grigio, e aveva la pelle candida e perfetta, gli occhi brillanti e grigiastri, i capelli folti e scuri, dal taglio classico, con una lieve traccia di grigio sulle tempie. Sembrava poco più anziano del Signore.
Rivolse a lei e alla sua compagna un mezzo sorriso divertito. «Che graziose, Vidar» commentò.
Il Signore (Vidar?) si strinse nelle possenti spalle. «Una concessione all’estetica. Scegli quella che preferisci, Diomedes».
L’altro rise sottovoce. «Oh, via. È uguale. È uguale, non è vero?».
Il Signore sembrò leggermente imbarazzato. «In realtà, temo di no. La bruna... credo che dovrò liberarmene. Ma la mia terza schiava si sta ancora riprendendo».
L’altro vampiro (che cos’altro poteva essere?) guardò “Tu” con espressione divertita. «Che cosa non va in questa specie di pin up? È insubordinata?».
«No» rispose il Signore, stringendosi nelle spalle. «No, no. Sono tutte molto educate, non temere. Ma come sai sono un cultore del dolore puro. Il sapore di questa schiava... si è adulterato. Succede, con il tempo e con l’abitudine, ma non lo apprezzo».
L’uomo con il completo grigio rise di nuovo silenziosamente, poi comparve accanto a “Tu”. Lei sgranò gli occhi. Non era... non era “comparso”. Si era solo mosso a una velocità impossibile.
L’uomo la prese per il mento e le alzò la faccia in modo che fosse perfettamente illuminata dalla luce fioca delle lampade. «Bene» sorrise. «Prenderò l’esemplare difettoso. Potrebbe avere il genere di difetto che mi piace». Spostò lo sguardo su di lei. «Forza, ragazzina. Fai quello che fai di solito. Voglio vedere».
“Tu” andò fino alla scrivania e posò le mani e i gomiti sul ripiano, piegandosi in avanti.
Sentì i passi leggeri dell’altro sul tappeto. «Be’, tutto qua? Ti metti a novanta e aspetti di venire sculacciata? Oh, deludente... Forza, tirati su quella gonna. Anzi, spogliati, non sono qua per intrattenerti. Sei tu che devi intrattenere me».
“Tu” gli lanciò un’occhiata confusa. Non l’aveva mai fatto. Guardò anche il Signore, che rimase completamente inespressivo, con le mani in tasca.
“Tu” si sbottonò la camicia più velocemente che poteva. Se la sfilò e la posò sullo schienale della sedia. Non aveva mai dovuto restare a seni nudi e la cosa la imbarazzava.
L’uomo con il completo grigio, Diomedes, inarcò le sopracciglia, per metà divertito e per metà scocciato. «Non è molto addestrata» commentò. “Tu” si rese conto che non era una critica a lei.
Il Signore aggrottò le sopracciglia. «Non...» iniziò a dire, ma l’altro lo interruppe con un gesto della mano. «Ma certo. De gustibus, vecchio mio, de gustibus. Tesoro, togliti tutto e rimettiti in quell’interessante posizione. Ti prometto che ti divertirai».
“Tu” iniziava ad avere qualche dubbio.
Si sfilò la gonna e la posò sopra alla camicia, poi tornò a piegarsi sulla scrivania.
«Che bei segni» commentò il nuovo vampiro. “Tu” sentì le sue dita che la solleticavano su una natica. «Quindi... mh. Un battipanni. Sei così old-fashioned, Vidar. Mi piace».
Un istante dopo “Tu” sentì il primo colpo. La mano era diversa, avrebbe potuto dirlo anche senza saperlo. Più delicata, ma anche più deliberata. “Tu” ebbe l’impressione che l’altro avesse perfettamente chiaro dove voleva colpirla e come voleva colpirla. Lo fece di nuovo, percuotendola un po’ più in basso. Una scossa di dolore, ma anche delle vibrazioni che si diffondevano tra il suo sesso e il buchetto del suo sedere, che si contrasse violentemente.
E poi ancora. E ancora. “Tu” si morse le labbra, mentre al dolore si mescolava una sottile, sottilissima sensazione di piacere.
«Ah, bene» commentò il nuovo vampiro, facendole scorrere (cosa del tutto inaudita) la punta di un dito tra le grandi labbra. “Tu” si rese conto di essere leggermente umida.
Il nuovo vampiro tornò a colpirla, centrando con precisione tutti i punti in cui le vecchie ferite le facevano ancora male. Lei singhiozzò.
«Dritta, signorina. Vieni qua» ordinò il nuovo venuto.
“Tu” si raddrizzò. La testa le girava. Fece un paio di passi verso di lui, imbarazzata per i propri capezzoli eretti e per i riccioli umidicci del proprio sesso.
«Perfetto» sorrise appena l’altro. «Piacere, dolore, imbarazzo... una punta di paura. Che cosa potrei chiedere di più? Un ottimo boquet, cara».
Le girò attorno molto velocemente e la sferzò di nuovo sulle natiche. Presa alla sprovvista, “Tu” urlò. L’altro rise e la colpì di nuovo. Forte, facendole sgorgare le lacrime dagli occhi. Poi si sedette elgantemente sulla sedia e la tirò verso di sé. La morse sul lato di un seno, tenendola ferma per la vita.
Dal punto in cui i suoi denti la trafiggevano si diramarono fitte di dolore e una distinta sensazione formicolante. Calda. Piacevole. Poi molto piacevole.
“Tu” si rese conto di barcollare. Poi si rese conto che stava anche ansimando, invasa da quella sensazione. Il nuovo vampiro le strinse l’altro seno con una mano, del tutto a proprio agio. Sembrava che manipolare il suo corpo gli venisse naturale. Le ruotò il capezzolo a destra e a sinistra, per poi stringerlo tra le dita. Una nuova fitta di dolore, mescolata a quello strano piacere.
La lingua di lui le lappava la pelle, mentre le sue dita le stringevano il capezzolo dell’altro seno, per poi lasciarlo e per poi stringerlo ancora.