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1800 Words
“Tu” pensò incongruamente che stava per avere un orgasmo. Così, senza venir penetrata e nemmeno stimolata, solo per quello strano mix di sensazioni. Si morse il labbro inferiore, cercando di non gemere. Il vampiro, Diomedes, allontanò la bocca e le diede un’ultima leccata. “Tu” vide i fori del suo morso che si richiudevano. Fu spinta un po’ più in là. «Non siamo ancora così familiari, ragazzina. Certo che non ti lascio venire» le disse, con espressione divertita. Si voltò verso il Signore. «Quindi vuoi disfartene? O la vuoi vendere?». L’altro ci pensò per qualche secondo. «Se la vuoi, puoi averla. Non posso vendertela, dopo aver detto che non la voglio». Diomedes si strinse nelle spalle. «Oh, sembrerà che mi approfitto del mio rango. Faremo così: la prendo in prova. Se ne sarò soddisfatto, tra tre mesi ti corrisponderò il suo valore... di mercato, diciamo. Diecimila?». «È... è molto generoso, da parte tua» borbottò il Signore. «Siedo nel Consiglio. Non posso permettermi maldicenze». Si voltò verso di lei e la guardò in silenzio per qualche secondo, con le gambe elegantemente accavallate e le mani posate su un ginocchio. «Hai capito?» le chiese. Lei annuì. «Bene. Qual è il tuo nome? Non ho nessuna intenzione di chiamarti “Tu”». Lei sbatté le palpebre un paio di volte, confusa. Come faceva a sapere che... «Quindi?». «M-Maddie. Madeline» mormorò lei. «Madeline come?». «Madeline Harper». Lui rise. «No, non ci siamo capiti. Non sono un tuo amico. Non sono nemmeno tuo fratello. Madeline, quindi, e poi?». Lei capì. «Mi chiamo Madeline, padrone». +++ La signora Jones non smise per un attimo di guardarla con espressione accigliata mentre metteva le sue poche cose in un sacchetto di plastica. Il braccialetto d’argento con scritto “Maddie” che non poteva indossare, un maglione viola acceso, piuttosto peloso, che metteva quando alla notte feceva troppo freddo – o quando voleva ricordare di avere avuto una vita, un tempo, un tarocco (La Torre) che era l’unica cosa che le avesse lasciato la donna che l’aveva cresciuta, una scatola di tamponi, il suo spazzolino da denti, un pettine, una matita per gli occhi nera. «Puoi tenere i vestiti che hai addosso» le disse la signora Jones e Maddie annuì in segno di ringraziamento. Erano gli stessi vestiti che portavano anche le altre ragazze: una camicetta nera, una gonna nera e delle scarpe con il tacco quadrato, nere anche quelle. Niente biancheria intima, niente calze. «Seguimi» le disse la signora Jones, quando ebbe finito. Maddie la seguì lungo uno dei corridoi di quella grande casa che conosceva a menadito per averne pulito e lucidato ogni angolo. Dritto accanto alla porta d’ingresso, c’erano sia il Signore che l’altro vampiro, Diomedes. Il signor Richard stava aiutando quest’ultimo a infilarsi il cappotto. C’era un quarto uomo, poco più in là. Un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquanta, con una soffice corona di capelli grigi attorno alla testa pelata. Un uomo-uomo, come anche il signor Richard. Un servitore. «Ti ringrazio per la squisita ospitalità, Vidar. Ti farò avere mie notizie tra tre mesi» disse Diomedes, posando familiarmente una mano sul braccio del Signore. L’altro borbottò qualche parola di circostanza. «Vieni, Madeline» concluse Diomedes, indicando la porta. Il suo servitore la aprì. Per la prima volta dopo mesi, Maddie sentì l’aria del mondo esterno accarezzarle la pelle. Gelida, perché evidentemente era inverno. Leggermente inebetita, seguì Diomedes che scendeva le scale dell’ingresso leggero come un sogno, dirigendosi verso la lunga berlina nera che lo aspettava sul viale. Maddie si lanciò una veloce occhiata alle spalle. La casa del Signore, alta e scura, incombeva sopra di lei come un incubo. Il servitore aprì la portiera posteriore per Diomedes, per poi tenerla aperta anche per lei. Molto confusa, Maddie salì a bordo. Gli interni erano di pelle lussuosa e profumata, grigiastra. Diomedes, con il suo completo elegante, quasi vi scompariva contro. Non fosse stato per gli occhi. I suoi occhi erano luminosi in modo sovrannaturale. Il servitore si mise al volante e accese il motore, che fece le fusa. Guidò tranquillamente lungo il viale, fino al cancello di ferro battuto, che iniziò ad aprirsi in quel momento. Maddie rimase seduta rigidamente sul sedile. Tra lei e Diomedes c’era almeno un braccio, dato che era una grossa auto. Il sedere le bruciava orribilmente, ma sapeva che sarebbe passato. Per un po’. Non aveva idea di quale fosse il suo destino. Poteva persino essere peggiore che se fosse rimasta nelle mani del Signore. «Oppure potrebbe essere notevolmente migliore» disse Diomedes, con un lampo di divertimento negli occhi. Maddie non osò rispondere. Quell’essere le leggeva nella mente, dunque? «Tutti i bevitori di sangue sono in grado di sentire i tuoi pensieri, Madeline. Credevo che lo sapessi». Lei scosse appena la testa. «Oh, bene. Vedo che sei perfettamente ignorante. Lascia che risponda ad alcune delle domande che non hai mai posto» sorrise lui. Il suo sguardo brillante si spostò sulla strada. «Sì, siamo vampiri. Questo è il termine con cui ci chiamano gli esseri umani. Siamo longevi, molto longevi. Ho poco più di seicento anni, mentre il tuo padrone precedente, Vidar, ne ha poco meno di trecento. Il che significa...». Tornò a guardarla, con un sottile sorriso. «...Che io gli sono superiore, naturalmente. Sono più vecchio e più forte. Faccio parte del consiglio che ci guida, qua in Gran Bretagna. Gli esseri umani, come dicevo, ci chiamano vampiri. Noi preferiamo l’espressione “bevitori di sangue”. Dimentica la maggior parte delle sciocchezze dei film dell’orrore. Non basta un po’ d’aglio per farci scappare. Ci riflettiamo negli specchi. L’acqua santa si limita a bagnarci, se ce la tirano addosso. Le croci, le preghiere... credo che tu abbia capito». Si rilassò contro lo schienale del sedile, mentre fuori dal finestrino Maddie iniziava a vedere le luci del centro di Londra. «D’altro canto, non sappiamo trasformarci in uno stormo di pipistrelli, quindi ci sono aspetti positivi e aspetti negativi, nel non essere vampiri da film horror. Per inciso, i pipistrelli mi fanno schifo. Torniamo al sangue...» accantonò l’argomento “pipistrelli” con uno svolazzo elegante della mano. «Ci nutriamo di sangue, questo è evidente. Quando abbiamo fame tendiamo a diventare... bruschi. E abbiamo sempre fame. Il sangue da solo, però, non ci nutre davvero. Quello che ci nutre sono le sensazioni che la nostra vittima prova mentre la mordiamo. Le sostanze che le entrano in circolo nel flusso sanguigno, se vuoi una spiegazione più scientifica. Il piacere è dolce. Troppo dolce, per la maggior parte dei nostri palati. Il piacere è come un bastoncino di caramello. Il dolore è... piccante. Sì, credo che “piccante” sia la giusta analogia. La paura... mh. È un altro sapore, diciamo. Agrodolce, magari. Non saprei. Come per gli esseri umani... ognuno ha i suoi gusti. Vidar ama il dolore puro, incontaminato. A me piace correggerlo con un pizzico di piacere. Alcuni bevitori di sangue hanno... come dite, voi inglesi? “Il dente dolce”. Non dite così, per intendere che qualcuno è goloso di zuccheri? Ecco i miei denti non sono particolarmente dolci, ma sempre più dolci di quelli di Vidar». Diomedes scelse quel momento per sorriderle di nuovo. I suoi denti, in realtà, sembravano quelli di un essere umano. Lui rise, uno scintillio di piacere negli occhi, e estrasse i canini. Maddie si ritrasse leggermente, spaventata. Diomedes li rinfoderò, ridacchiando di nuovo. «Dotazione standard» spiegò. Maddie si sentiva frastornata. Per mesi e mesi nessuno le aveva spiegato niente. E ora, in cinque minuti, quell’essere incredibile la subissava di nozioni, snocciolandole come se fossero ovvietà che lei avrebbe già dovuto conoscere. «Be’, sì» confermò lui. Maddie avrebbe voluto chiedergli perché l’aveva portata via, ma non osava. Non sapeva se le maniere affabili dell’altro fossero semplicemente un’affettazione o se fosse davvero più... come dire? Non “gentile”, ma... Forse “democratico” era la parola più vicina a quello che intendeva. «Democratico? No, no... quando sono nato la democrazia non godeva di buona stampa, credimi. Ma mi piace pensare di essere più evoluto del buon Vidar. Questo mi rende... be’, mi rende sempre il tuo padrone, non dimenticarlo». Maddie annuì docilmente. «E puoi parlare, se non ti vieto di farlo. Preferibilmente in tono educato e piacevole, grazie». «S-sì, padrone» mormorò lei. L’altro sorrise. «Molto bene». Maddie raccolse tutto il suo coraggio. «P-perché, padrone? Perché mi ha portata via?». Diomedes si strinse nelle spalle. «Mi piacciono le tue tette». Lei sbatté le palpebre, sorpresa. L’altro ridacchiò. «Ho bisogno di una schiava nuova. L’ultimo ragazzo... ha avuto un incidente. Tu mi piaci perché hai delle tette belle grandi. Chiappe sode. Bocca a cuore. Ah, temo che i miei gusti, in fatto di donne, siano un po’ antiquati. Le filiformi top-model... bah. Dato che ho intenzione di morderti, vorrei mordere qualcosa». La macchina rallentò e si fermò davanti a un alto cancello di ferro battuto, dalle eleganti volute Liberty. Il servitore azionò l’apertura con un piccolo telecomando. «Casa mia» spiegò Diomedes, semplicemente, mentre il tetto iniziava a emergere tra gli alberi del giardino che la circondava. Era una grande tenuta di epoca tardo-vittoriana, con i tetti aguzzi e la facciata parzialmente coperta dall’edera. Era... era il posto più grande e lussuoso che Maddie avesse mai visto. Diomedes rise di nuovo. Quella sua risata bassa e musicale. «Vivere a lungo ha anche degli utili risvolti pratici. Gli interessi aumentano, le proprietà si rivalutano... questa casa mi appartiene da quando è stata costruita. Io l’ho fatta costruire. Spendendo un pacco di soldi, all’epoca. Se ora la rivendessi... be’. Noi bevitori di sangue abbiamo un certo occhio per gli affari. Prego, signorina, ti farò entrare dall’entrata principale. Jordan... fermati qua». L’auto si arrestò dolcemente, poi il servitore andò ad aprire la portiera di Diomedes. Maddie scivolò fuori dopo di lui. Di nuovo, essere all’aria aperta le fece una strana impressione. Respirò profondamente, chiedendosi quando le sarebbe successo di nuovo... «Domani, probabilmente» rispose ai suoi pensieri Diomedes. «E il giorno dopo. E quello dopo ancora. Vieni, adesso. Sei poco vestita per questo clima e non intendo nutrirti finché non te lo sarai meritato». Maddie si chiese che cosa intendesse... l’avrebbe lasciata senza mangiare? Di nuovo, lui rise. La prese per un braccio, trascinandola verso la porta d’ingresso. «No... ah-ah! No, no... ti darò da mangiare, non preoccuparti. Potrai scegliere che cosa mangiare, per lo più. Capirai che cosa intendevo quando – e se – succederà. Vieni, entriamo. Non voglio che ti ammali». Frastornata (stava diventando il suo stato permanente), Maddie lo seguì all’interno. La grande porta d’ingresso di aprì e un servitore in livrea si inchinò appena. «Buonasera, Hector. Milla è già rientrata?». «Non ancora, signore» disse l’altro, prendendo il cappotto dalle sue mani. «Questa giovane...?». Diomedes sorrise soddisfatto, indicandola come se fosse un oggetto di una casa d’aste. «Madeline Harper. Nomen Omen, o quasi. Quella si chiamava Mina, se non sbaglio. La mia nuova schiava». L’uomo, un signore distinto sulla settantina, la guardò con espressione bonaria. «Bisognerà procurarle una tazza di tè caldo, signore». «Bisognerà senz’altro. E bisognerà procurarle anche un paletto di frassino, per quando Milla si renderà conto che ho fatto acquisti. Be’, la lascio nelle tue capaci mani. Distruggi quelle scarpe, Hector. Bruciale nel camino. Offendono i miei occhi. Poi mettila in una stanza del secondo piano... procurale dei vestiti decenti. Senti un po’ che cosa le serve. Le puoi spiegare il necessario domani sera, credo che per stanotte abbia già assorbito fin troppe informazioni. E... per quanto riguarda l’umana è tutto. Fammi portare i giornali di oggi. Prima di andare a dormire controllerò quegli infelici titoli BARC». Il servitore annuì. «Mi sono permesso di controllarli anch’io signore. Sono davvero infelici». «Poi dicono di investire nelle banche. Bene, darò un’occhiata comunque. Sarò nel mio studio». Detto questo, si diresse verso le scale, leggero come una piuma. Maddie alzò gli occhi sull’atrio e quasi svenne. Sembrava di essere a Buckingham Palace.
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