Capitolo Due

1734 Words
Capitolo DueQuell’incarico sarebbe stato difficile. Janine si guardò allo specchio, assicurandosi che nessun riccio fosse sfuggito alla crocchia che portava di solito mentre lavorava. Fece un respiro profondo. Difficile era un eufemismo. Quell’incarico era una cavolata. Non c’era da meravigliarsi che nessuno dei ragazzi della sua unità lo volesse, così lo avevano assegnato a lei. I suoi superiori lo avevano definito una promozione. Non lo era, per niente. I mutaforma che doveva addestrare non solo non erano qualificati, ma rappresentavano anche una possibile minaccia. Erano molto più forti della gente normale e di sicuro sarebbe stato difficile controllarli. Non sapeva come avrebbero reagito nel vedere una donna a capo della situazione. Poi c’erano gli umani. Non era certa di chi ci sarebbe stato nella sua squadra, ma le erano stati dati un paio di file e non l’avevano rassicurata. Forse avrebbe avuto problemi a controllare anche loro. Tuttavia, Janine non si arrendeva. Avrebbe dato il massimo e non avrebbe fallito. Guardò l’orologio sopra la cassettiera e vide che era giunto il momento di andare via. Avrebbe guidato fino alla base, che sarebbe stata la sua nuova casa per un po’ di tempo. Be’, la sua e quella dell’Alpha Squad… un nome ridicolo da macho, secondo la sua opinione, ma nessuno glielo aveva chiesto. Tutte le sue cose erano già nel portabagagli dell’auto e la stanza sembrava vuota. Un foglio bianco. Non sarebbe tornato per un po’. Non le dispiaceva. Dato che era cresciuta in affido, passando da una casa all’altra, aveva imparato che niente nella vita era permanente. La sua casa era dove la portava il lavoro. In quel momento, durante una tranquilla domenica mattina di settembre, l’avrebbe condotta sulla M4 in direzione del Galles. Dopo? Chi poteva saperlo. Avrebbe fatto un passo alla volta. Prima di uscire, prese la lettera di nomina. Un’ora dopo si fermò per riposare. In parte lo fece perché aveva bisogno di un po’ di caffeina, ma soprattutto perché voleva procrastinare. Le stazioni di servizio erano dei luoghi divertenti. Non erano destinazioni, soltanto delle fermate lungo un tragitto verso un posto più entusiasmante. La loro natura era transitoria. Anche se l’estate era finita, alcuni turisti anziani erano ancora in viaggio, con le loro auto troppo piene e il loro stile informale. Nonostante Janine avesse scelto abiti da civile quel giorno, risaltava comunque all’occhio perché era troppo elegante e seria. «Che cosa prende?» La ragazza dietro il bancone non sarebbe riuscita a sembrare più disinteressata nemmeno se lo avesse voluto. «Un caffè, con latte,» rispose Janine. «No, aspetti, prendo un cappuccino.» Janine era diretta a una base militare remota e usata di rado, e non sapeva quando avrebbe rivisto la civiltà. Tanto valeva premiarsi subito. La ragazza aspettò un paio di secondi con espressione vuota, come se si aspettasse che Janine cambiasse di nuovo idea, e poi premette un paio di pulsanti sulla cassa. «Sono 4.25.» Picchiettò con impazienza le dita sul ripiano mentre Janine prendeva una banconota da cinque sterline e gliela porgeva. Con quei prezzi, non c’era da sorprendersi se nessuno passava mai da quel posto, se non in caso di emergenza. La ragazza contò il resto e glielo mise nella mano che aveva allungato verso di lei, facendo cadere una moneta a terra. Janine si voltò per inseguirla e notò che si era fermata davanti alla scarpa di un cliente. Era uno stivale molto grande e nero e, non appena sollevò lo sguardo, vide che apparteneva a un uomo molto alto, muscoloso e con le spalle larghe che la guardò con occhi marroni sorprendentemente affettuosi. «Le è caduto qualcosa,» disse. Sì, grazie, l’avevo notato . Nonostante il suo commento fosse ovvio, la sua voce profonda la fece comunque rabbrividire. Janine distolse lo sguardo quando lui si abbassò per raccogliere la moneta e ridargliela. «Grazie,» balbettò. Janine fece un respiro profondo, raddrizzò le spalle e si costrinse a guardarlo negli occhi. «Grazie,» ripeté con voce più decisa. Come poteva addestrare un gruppo di mutaforma e umani se non riusciva nemmeno a interagire con un tizio in una stazione di servizio? Che diavolo le era preso? «Non c’è di che,» rispose lo sconosciuto, con un sorriso cordiale sulle labbra. Ricambiò velocemente il gesto. «Il suo caffè,» disse la ragazza fastidiosa dietro il bancone, facendola voltare. In un certo senso era un sollievo non doverlo più guardare negli occhi, anche se soltanto per un secondo. Annuì educatamente alla ragazza mentre prendeva la tazza da portare via e un tovagliolo, ignorando le bustine di zucchero. Ne bevve subito un sorso, assaporando il gusto e la sensazione del latte sul labbro. Stava perdendo tempo ma, quando si voltò per andare, vide che l’uomo non si era mosso e i loro sguardi si incrociarono di nuovo. L’aveva guardata per tutto il tempo? Lo salutò con un cenno del capo e controllò l’orologio mentre gli passava accanto, ma lui non smise di osservarla e lei sentì il suo sguardo persino mentre andava via. Piuttosto che sedersi per godersi il caffè, andò verso l’auto. Ridicolo. La sua carriera nell’esercito le aveva fatto conoscere molti uomini con quel fisico ma nessuno aveva mai avuto quell’effetto su di lei. Infatti, aveva sempre pensato che tutti i ragazzi che frequentavano la palestra tanto quanto doveva fare quel tipo, non avessero molto sale in zucca. Eppure, qualcosa nello sguardo di quell’uomo le aveva fatto pensare il contrario. In uno scambio di parole che era durato poco, aveva pensato di aver visto qualcosa di diverso in lui. Quello che ho detto non ha senso, vero? Janine mise il caffè nel porta bicchieri e appoggiò la testa sulle mani. Da domani avrebbe dovuto cominciare un lavoro difficile e non poteva permettersi distrazioni. Qualcuno bussò al finestrino e la riportò alla realtà. Quando sollevò lo sguardo, vide lo stesso ragazzo di prima che le sorrideva. Abbassò il finestrino con riluttanza. Cavolo, adesso che succede? «Andava così di fretta che ha dimenticato questo dentro.» Sollevò un braccio per mostrarle la sua borsa. «Oh mio Dio,» esclamò mentre gliela passava. «Oggi ho la testa tra le nuvole.» Il suo sorriso si allargò. «Mi fa piacere averla aiutata,» disse. Andava sempre peggio. Nonostante cercasse di evitarlo, non faceva che mettersi sempre più in imbarazzo. «Be’, ancora grazie,» disse L’uomo la guardò per un secondo di troppo, come se volesse dirle qualcosa. «Ehi, fratello,» li interruppe un altro ragazzo. «Ti ho cercato dappertutto. Ti va di pranzare?» I due ragazzi erano simili in modo inquietante, avevano la stessa altezza e lo stesso fisico muscoloso. Avevano anche lo stesso colore di capelli e lineamenti simili. Era ovvio che fossero fratelli. Eppure l’altro ragazzo non ebbe lo stesso effetto su di lei. «Farò meglio ad andare,» mormorò mentre chiudeva la borsa e la metteva sul sedile del passeggero. «Anch’io.» Lo sconosciuto le rivolse un altro sorriso cordiale e la salutò con un cenno del capo. Janine tirò un sospiro di sollievo quando si voltò e tornò verso il ristorante. Soltanto quando entrarono, riuscì a mettere in moto. È stato imbarazzante. È meglio che non veda mai più quel ragazzo. Soltanto una parte di lei ci credeva e sentì una fitta di delusione al petto. Il suo lavoro la costringeva a dimenticare certe cose che per le altre donne erano scontate: relazioni, l’idea di mettere su famiglia. Aveva sempre messo il lavoro prima di tutto. Non le era mai dispiaciuto, perché aveva sempre pensato di fare la differenza, ma quel giorno le fece cambiare idea. Quel giorno una parte di lei si sentì come se stesse andando incontro a un disastro. Alzò il volume dello stereo quando partì il suo CD preferito. Non importava come sarebbe finita, aveva un lavoro da svolgere e non sarebbe arrivata in ritardo. Il generale Stone doveva già essere alla base in attesa del suo arrivo. Con nuova determinazione, bevve un sorso di caffè e partì. Non si fermò finché non raggiunse l’ufficio del generale al centro del campo che apparteneva all’Infantry Battle School di Brecon. Era una buona base ed era utilizzata dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, la reputazione del generale era conosciuta ovunque. Era pronta ed entrò per ritornare in servizio. «Riposo, Maggiore. Si sieda.» Il generale a malapena la guardò quando si sedette davanti alla sua scrivania immacolata. Continuò a controllare i file che aveva sotto il naso e la fece aspettare un paio di minuti prima di appoggiarsi allo schienale e intrecciare le dita. «Maggiore, dobbiamo parlare dell’Alpha Squad,» disse. Janine annuì. «Sì, Signore.» «Che cosa sai della sua storia, anche se breve?» «Signore, l’Alpha Squad è stata fondata dal Segretario degli Affari Esteri dei Mutaforma con l’intento di aiutare le forze dell’ordine a gestire gli incidenti riguardanti i mutaforma.» Il generale annuì e si piegò in avanti. «Il Segretario, sì. Secondo la tua opinione, e puoi parlare liberamente, spetta al Ministro degli Affari Esteri dei Mutaforma organizzare una squadra come questa?» Janine batté le palpebre. Non le piaceva la piega che aveva preso la conversazione. Il punto non era se poteva parlare liberamente oppure no. «Signore, non sono io a dover decidere. Gli ordini sono ordini.» Inoltre, tecnicamente era stato il Parlamento a fondare l’Alpha Squad, sotto consiglio del Ministro. «Sono felice di sentirtelo dire. Gli ordini sono ordini. Dato che sei un maggiore dell’esercito inglese, sei costretta a seguire gli ordini stabiliti dalla linea di comando.» «Sì, Signore,» confermò Janine. La storia si complicava. Non avrebbe dovuto sorprendersi se il generale non approvava la nuova squadra, ma lui non provò nemmeno a nasconderlo… «Mi fa piacere che tu sia d’accordo. Allora posso contare sulla tua lealtà?» Janine annuì. «Sì, Signore. Assolutamente.» «Il Ministro degli Affari esteri dei Mutaforma ultimamente è spesso sui giornali. Non vogliamo agitare le acque, quindi d’ora in poi deve sembrare che all’Alpha Squad sia stata data una possibilità, ma non deve interferire con l’ordine tradizionale. Non deve succedere, mi capisci?» «Capisco, signore,» confermò Janine. «Fantastico. La tua lealtà sarà ripagata quando tutto sarà finito. Adesso cambiamo discorso. L’Alpha Squad è stata assegnata alla caserma che si trova in un punto della base che non è utilizzato. Come sicuramente capirai, speriamo di tenere la tua unità lontanò dalle reclute della fanteria il più possibile.» Janine annuì. Le stava bene. Avrebbe potuto condurre il suo addestramento come meglio credeva. «Sì, Signore.» «Puoi andare, Maggiore Williams.» Il generale prese il telefono e compose un numero, facendole segno di uscire. In che diavolo si era cacciata?
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