«Siamo molto ignoranti in Inghilterra», disse Jon. «Io so che i creoli sono i discendenti delle antiche famiglie francesi e spagnole. Sembra che abbiate del sangue francese, voi due».
«Sì. Francis soprattutto. Ma non avremo superato la collinetta? Credevo che si dovessero fare due miglia e ne abbiamo fatte almeno quattro».
«Vi rincresce? La prima collinetta era piuttosto sopravvalutata».
Le labbra della ragazza si schiusero in un sorriso; pareva che non ridesse mai del tutto.
«Ci sono indiani, da queste parti?» chiese Jon.
«Non so con certezza... Forse dei Seminoles... Ma Francis dice che le collinette risalgono a tribù più antiche delle presenti. Per quale ragione siete venuto in America, mister Forsyte?»
Jon si morse le labbra. Svelare le ragioni? La faida di famiglia... l’amore troncato... No, non era proprio possibile.
«Prima sono andato nella Columbia britannica», rispose. «Ma non mi ci son trovato molto bene. E allora ho sentito parlare delle pesche nella Carolina del Nord».
«Ma per quale ragione avete lasciato l’Inghilterra?»
«Immagino il semplice desiderio di vedere il mondo».
«Già», fece lei. Fu un suono pacato, ma pieno di comprensione; Jon ne fu tanto più grato in quanto la ragazza non aveva certo capito. Egli adesso non era più troppo ossessionato dall’immagine del suo primo amore. Da circa un anno, ormai. Aveva molto da fare con le sue pesche. Inoltre Holly gli aveva scritto che Fleur aveva avuto un bambino. E d’improvviso disse:
«Credo che si debba tornare indietro. Guardate il sole!»
Il sole infatti era basso, dietro gli alberi.
«Oh, sì... È vero!»
Jon fece fare marcia indietro al suo destriero.
«Mettiamoci al galoppo... Tra mezz’ora sarà tramontato, e la luna sorgerà più tardi».
A galoppo tornarono sui loro passi, per il sentiero. Il sole calava ancora più rapidamente di quanto lui non avesse creduto, l’aria diventava fredda, grigia la luce. Di colpo Jon arrestò il cavallo.
«Sono costernato, temo che questa non sia la strada da cui siamo venuti. Ho paura che siamo andati più a destra. Questi sentieri sono tutti uguali, e i cavalli sono arrivati solo ieri da Columbia e non conoscono il posto più di noi».
La ragazza rise.
«Ci perderemo!».
«Mmm... Non sarebbe uno scherzo perdersi in questi boschi. Non finiscono mai!»
«No, non finiscono mai da queste parti... Sarà un’avventura».
«Sì, ma prenderete freddo... Fa un freddo terribile la notte».
«E voi avete avuto l’influenza!»
«Oh, non vi preoccupate! Qui c’è un sentiero sulla sinistra. Dobbiamo prenderlo, o dobbiamo invece proseguire sul nostro?»
«Prendiamolo».
Si misero al trotto per il nuovo sentiero. Ormai era troppo buio per galoppare, e presto sarebbe stato anche troppo buio per trottare. Il sentiero si snodava a lungo.
«Che bell’affare» disse Jon. «Mi dispiace molto».
E sbirciò lei che gli cavalcava al fianco; riuscì a vederla sorridere.
«Ah! È divertente!»
Era contento ch’ella pensasse cosi, ma lui non era dello stesso avviso.
«Sono stato un asino. Chissà vostro fratello come sarà in collera con me».
«Sa bene che sono con voi, mio fratello».
«Se almeno avessimo una bussola! Così corriamo il rischio di restar fuori tutta la notte. Ecco qui un altro bivio... Santo Dio, come si fa buio!»
E quasi mentre parlava l’ultima luce svanì. A stento vedeva la compagna a cinque metri di distanza.
Le andò più vicino, ed essa gli toccò la manica.
«Non vi preoccupate», gli disse «che si guasti».
Riunendo le briglie in un solo pugno lui le strinse la mano.
«Siete splendida, miss Wilmot».
«Oh, chiamatemi Anne. I cognomi hanno un suono agghiacciante quando ci si è smarriti».
«Grazie. Io mi chiamo Jon. Senza acca, sapete... È il diminutivo di Jolyon».
«Jolyon... Jon... Mi piace».
«Anne è sempre stato il mio nome preferito. Dobbiamo fermarci ad aspettare che sorga la luna, o continuiamo?»
«Quando credete che sorgerà la luna?»
«Non ci vorrà molto, a giudicare dalla sera scorsa».
«Continuiamo allora, e affidiamoci ai cavalli».
«Benissimo! Ho solo paura che se puntano da qualche parte sarà verso Columbia, che dev’essere a miglia e miglia da qui».
Continuarono per lo stretto sentiero al passo. Era buio assoluto ora.
E Jon chiese: «Avete freddo? Lo sentireste meno se andassimo a piedi. Andrò io avanti. Statemi vicina per non perdermi di vista».
Andò avanti, e di lì a poco smontò di sella, perché aveva freddo anche lui. C’era un grande silenzio tra gli alberi senza fine.
«Ora ho proprio freddo», fece la voce di Anne. «Scendo anch’io».
Si erano trascinati avanti così per una mezz’ora, conducendo i cavalli per il morso, e come sentendo a fiuto il cammino, quando Jon disse:
«Guardate! Sembra che ci sia una radura qui. E che cosa quella cosa scura a sinistra?»
«È una collinetta».
«Già... Ma quale? Quella che abbiamo visto oggi, o l’altra? O nessuna delle due?»
«Credo che faremmo meglio a fermarci qui finché non sorge la luna. Forse allora potremo vedere quale sia, e troveremo la strada».
«Avete ragione. Ci saranno delle paludi, suppongo. Legherò i cavalli sottovento, e cercherò un riparo. Fa freddo».
Egli legò i cavalli e voltandosi si trovò la ragazza vicina.
«Fa paura qui», disse lei.
«Troveremo bene un posto comodo per sederci», fece Jon.
Le infilò la mano sotto il braccio, e la condusse ai piedi della collinetta.
«Qui», disse a un tratto. «Hanno fatto degli scavi qui. Sarà riparato...»
Tastò il suolo. Abbastanza asciutto. «Sediamoci qui e chiacchieriamo».
L’uno a fianco all’altra, con la schiena contro la parete dello scavo, accesero le sigarette, e restarono in ascolto del silenzio. Salvo qualche sbuffo o qualche lieve zampata dei cavalli, non si sentiva alcun rumore. Gli alberi erano troppo radi e il vento troppo lieve per far melodia, e sembrava non ci fossero che loro due e i loro due cavalli a vivere sulla terra. Qualche spruzzo di stelle in un cielo troppo scuro, e la più intensa oscurità dei tronchi dei pini era tutto quello che si poteva vedere. Ah! e le estremità luminose delle loro sigarette, che di quando in quando illuminavano l’uno o l’altro viso.
«Ho paura che non me la perdonerete mai», disse Jon, in tono cupo.
«Perché? Mi piace invece!»
«Siete gentile a dir questo, ma dovete avere terribilmente freddo. Sentite... Mettetevi la mia giacca».
E Jon aveva cominciato a togliersi la giacca, quando lei gli disse:
«Se fate una cosa simile scappo nel bosco e mi smarrirò sul serio».
Jon lasciò perdere.
«Poteva capitarmi con una delle Blair!»
«Lo avreste preferito?»
«Per il vostro bene, sì che lo avrei preferito. Non certo per me... No davvero!»
Si guardavano e le punte delle loro sigarette erano quasi in contatto. Egli riusciva appena a vederle gli occhi, ed ebbe un impulso piuttosto chiaro di passarle il braccio intorno alle spalle. Sembrava la cosa più naturale da farsi, ma naturalmente non si poteva fare!
«Prendete un po’ di cioccolato», disse la ragazza.
Jon accettò di mangiarne un pezzettino. Doveva restare riservato a lei, quel cioccolato.
«È una vera avventura! Che buio! Avrei paura da sola... Sembra un posto da spiriti!»
«Spiriti di antichi indiani!» mormorò Jon. «Soltanto che io non credo negli spiriti...»
«Ci credereste se aveste avuta una bambinaia nera».
«Voi l’avete avuta?»
«Certo... E con una voce dolce come un melone. Abbiamo ancora un vecchio nero che fu schiavo nella sua infanzia. È il più bravo di tutta la zona... Ha quasi ottanta anni con i capelli tutti bianchi».
«Non è possibile che vostro padre abbia partecipato alla guerra civile, vero?»
«I nonni vi hanno partecipato... E il padre del nonno».
«E voi quanti anni avete, Anne?»
«Diciannove».
«Io ne ho ventitré».
«Raccontatemi della vostra casa in Inghilterra».
«Non ho più casa in Inghilterra».
Cominciò a raccontarle un’edizione riveduta e corretta della sua giovinezza, e gli pareva che Anne lo ascoltasse con incantevole attenzione. Chiese in compenso la storia di lei, e sentendola parlare si domandava se la sua voce gli piacesse. Era una voce morbida che indugiava e si raccoglieva; e aveva un forte sapore. Come poi essa ebbe finito il suo semplice racconto di ragazza che non si era mai mossa di casa, restarono in silenzio sino a che lui non esclamò:
«Vado un po’ a vedere se i cavalli stanno bene. Intanto potreste fare un sonnellino».
Andò ai piedi della collinetta e raggiunse i cavalli, e si fermò a parlar loro e a carezzarne il muso. Un caldo sentimento protettivo si agitava in lui. Quella era una brava e bella ragazza! Un viso da non dimenticarsi, che nascondeva tutto un mondo dietro di sé...
Improvvisamente sentì la sua voce, bassa come se fingesse di non chiamarlo: «Jon, oh Jon!»
Si fece strada a ritroso nell’oscurità. Incontrò le sue mani tese.
«È così pauroso! Questo strano fruscio! Dio, mi dà i brividi nella schiena!»
«Si è levato un po’ di vento... Sediamoci schiena contro schiena, vi riscalderete... Oppure, ecco, io mi siederò contro la parete, e voi vi appoggerete su di me... Così potrete anche addormentarvi. Non mancano più che due ore adesso... Appena ci sarà la luna riprenderemo a cavalcare».
Si posizionarono come Jon aveva suggerito, lei con la schiena addossata a lui e la testa nel cavo tra il braccio e la spalla
«Comoda?»
«Certo. Non ho più i brividi»
Fumarono e chiacchierarono ancora per un po’. Le stelle erano più luminose adesso, e i loro occhi più abituati all’oscurità. E si sentivano grati a vicenda del calore che si scambiavano.
Jon godeva il profumo, come di paglia, che spirava dai capelli di lei non lontano dal suo naso. Poi cominciò un lungo silenzio, e il caldo sentimento di protezione per quella cara creatura crebbe e crebbe in lui. Avrebbe voluto passarle le braccia intorno al corpo e tenerla più stretta. Ma naturalmente non lo fece. Tutto quello che poteva fare era di rimanere un centro di calore abbastanza impersonale perché lei ci si affidasse con fiducia. Ed era la prima volta da quando aveva lasciato l’Inghilterra che sentiva un impulso di passare le braccia intorno al corpo di qualcuno, tanto malamente era rimasto scottato da quella vecchia storia.
Il vento cresceva, borbottava tra gli alberi, si spegneva... E ogni volta il silenzio ne usciva più alto. Perfettamente sveglio egli trovava curioso che la ragazza potesse dormire, poiché certo si era addormentata... Era così immobile. In alto brillavano le stelle. Egli si mise a guardarle e a poco a poco si sentì le membra che cominciavano a dolergli e a irrigidirglisi, e all’improvviso capì che lei non era meno sveglia di lui. Lentamente la fanciulla volse il capo finché lui poté vederne gli occhi, profondi e attraenti.
«Sono troppo pesante» disse la ragazza, e fece per tirarsi su, ma il braccio di lui la trattenne.
«Ah no! Se state calda e comoda».
Il capo di lei si riadagiò, e ricominciò l’attesa.
Ora però parlavano un poco, di cose futili, ed egli pensò: “È curioso come si possa vivere per mesi e mesi con la gente senza conoscerla la metà di quanto ci si conosce noi ora”.
Di nuovo tornò a stabilirsi il silenzio fra loro, ma stavolta egli la teneva circondata col braccio; era più comodo per tutti e due, così... E Jon ebbe l’impressione che sarebbe stato inopportuno da parte della luna sorgere. Aveva quell’impressione anche lei? L’avesse o no, certo la luna non ne tenne conto. E all’improvviso fu conscio che la luna era spuntata, si sentiva la sua presenza dietro agli alberi, e una specie di silenzioso scintillio strisciava nell’aria, sul suolo, attraverso i tronchi neri.
«La luna!» disse Jon.
Ma la ragazza non si mosse, e il cuore di Jon si mise a battere forte. Dunque, anche lei non desiderava che la luna sorgesse!
Lo strisciante scintillio divenne lentamente luce, arrivò sino a loro, li rese visibili. Eppure rimasero ancora immobili, come se temessero di rompere un incantesimo. La luna acquistò forza e un freddo splendore, poi si levò di sopra agli alberi. Il mondo ritornò vivo.
“E se la baciassi?” pensò Jon, subito scrollando via quel pensiero. Se lo avesse desiderato anche lei! Quasi indovinando il suo pensiero, essa si voltò a guardarlo negli occhi.