UN IDILLIO SILENZIOSOIl primo di febbraio del 1924 Jon Forsyte, convalescente dall’influenza, era seduto nella sala di un albergo a Camden, Carolina del Sud, con i capelli chiari leggermente sollevati sul cranio. Stava leggendo di un linciaggio.
Dietro a lui una voce disse:
«Venite con noi al picnic su quelle antiche barricate, oggi?» Sollevando lo sguardo vide un suo giovane conoscente, Francis Wilmot, che veniva dal Sud.
«Con grande piacere. Chi verrà con noi?»
«Oh, soltanto il signore e la signora Pulmore Hurrison, quel romanziere inglese, Gurdon Minho, le giovani Blair con i loro amici, mia sorella Anne e io. Potete venire a cavallo, se volete fare un po’ d’esercizio».
«Benissimo, sono giusto arrivati dei cavalli nuovi stamattina da Columbia».
«Perfetto! Anche mia sorella e io verremo a cavallo, e anche una delle Blair. Gli Hurrison potranno portare gli altri».
«Pensavo», fece Jon «che questo caso di linciaggio è davvero tremendo».
Il giovane cui rivolgeva la parola se ne stava appoggiato alla finestra. Jon ne ammirò il viso, come fatto di avorio, con gli occhi e i capelli scuri, il naso e le labbra sottili e la posa flessuosa.
«Voialtri inglesi perdete tutti la testa quando leggete di un linciaggio. A Southern Pines non avete il problema dei neri. Non ce ne sono nella Carolina del Nord».
«No, e io non pretendo di capirlo... Ma non vedo perché i neri non possano venir processati alla stessa stregua dei bianchi. Ammetto che ci sono dei casi in cui è giusto sparare a vista, ma non ammetto che si possa difendere la giustizia della folla... Una volta catturato, il colpevole va processato secondo la legge».
«Non ci si prende il disturbo di processare noialtri».
«Ma senza processo, come si può affermare che un uomo è colpevole?»
«Bè, facciamo più volentieri a meno di un nero innocente di quando in quando che lasciare in pericolo le nostre donne».
«Ma ammazzare un uomo per qualcosa che non ha commesso è abnorme».
«In Europa, forse. Ma non qui. Le cose sono ancora in via di sistemazione qui».
«Come la pensano sul linciaggio, nel nord?»
«Ne strillano un po’ ma non hanno scelta... Se noi abbiamo i neri, loro hanno i pellirosse, e non li trattano certo con riguardo».
Jon Forsyte diede una spinta indietro alla sua sedia a dondolo, e fece una faccia stupita.
«Suppongo che ci sia ancora troppo posto in questo paese» disse Francis Wilmot. «E un uomo ha tutte le possibilità di sfuggire alla legge. Così dove ci sentiamo forti ci prendiamo la libertà di esercitare la legge».
«Bene, paese che vai usanze che trovi... Che cosa sono queste barricate dove si va oggi?»
«Vecchi ruderi indiani che si dice risalgano a migliaia di anni fa. Avete già conosciuto mia sorella? È arrivata ieri sera».
«No. A che ora si parte?»
«A mezzogiorno. A cavallo, è circa un’ora di strada per i boschi».
E così a mezzogiorno, in tenuta da cavallerizzo, Jon uscì dall’albergo e si diresse là dove aspettavano cinque cavalli, visto che più d’una delle giovani Blair aveva scelto di andare a cavallo. La comitiva partì, con Francis Wilmot e sua sorella alla testa.
Le Blair erano giovani, graziose, di una bellezza americana dai lineamenti piuttosto semplici, i colori tenui e la carnagione sana; un tipo cui Jon si era via via abituato durante i due anni e mezzo già trascorsi negli Stati Uniti. Da principio erano straordinariamente taciturne, poi divennero straordinariamente loquaci. Cavalcavano come maschi, e molto, molto bene. Jon apprese che, al pari degli Hurrison, i quali avevano offerto il picnic, esse abitavano a Long Island. Gli fecero infinite domande sull’Inghilterra, e lui, che l’aveva lasciata all’età di diciannove anni, dovette inventare le infinite risposte. Cominciò a guardare con nostalgia, tra le orecchie del cavallo, Francis Wilmot e la sorella che caracollavano in testa immersi in un silenzio che, visto da lontano, sembrava essere piuttosto riposante.
Il cammino procedeva per boschi molto radi di abeti affusolati su un suolo piuttosto sabbioso. La luce del sole era limpida e calda, l’aria ancora fresca. Jon cavalcava un magnifico baio, e si sentiva come ci si può sentire il primo giorno dopo una malattia.
Le Blair desideravano sapere che cosa egli pensasse del romanziere inglese; morivano dalla voglia di vedere un vero intellettuale. Jon, che aveva letto uno solo dei suoi libri, tra i suoi personaggi riusciva a ricordare solo un gatto. Le Blair non avevano letto nulla, ma avevano sentito dire che i gatti di Gurdon Minho erano “semplicemente fantastici”.
Francis Wilmot, fermando il cavallo, additò una grande collinetta che appariva chiaramente non essere opera della natura. Tutti fermarono i loro cavalli e, rimasti a guardare in silenzio per un paio di minuti, giudicarono la cosa “molto interessante” quindi ripresero la cavalcata. In una piccola valle i passeggeri delle due vetture scaricarono le vettovaglie. Jon condusse a legare i cavalli, il suo e quelli delle Blair, accanto a quelli di Wilmot.
«Mia sorella» disse Francis Wilmot.
«Mister Forsyte», disse la sorella.
Lei guardò Jon, e Jon guardò lei. Era esile ma niente affatto fragile, vestita con una lunga giacca, pantaloni e stivaloni tutto in marrone scuro, con scuri capelli corti sotto un morbido feltro marrone. Aveva il volto pallido, piuttosto abbronzato, con un’espressione di curiosità contenuta – la fronte spaziosa e liscia, il naso dritto e un po’ corto, labbra belle e grandi, senza trucco. Ma furono soprattutto i suoi occhi a colpire Jon; erano proprio gli occhi che nel suo pensiero egli attribuiva alle ninfe d’acqua. Leggermente obliqui, scuri, fermi di sguardo e adescatori, davano un sospetto di strabismo che aumentava il loro fascino. Jon si sentiva intimidito. E stettero zitti entrambi.
«Ho idea di avere una gran fame» osservò Francis Wilmot.
E tutti e tre si avviarono verso il picnic.
Improvvisamente Jon chiese alla ragazza:
«Siete appena arrivata, dunque, miss Wilmot?»
«Sì, sono appena arrivata, mister Forsyte».
«Da dove?»
«Da Naseby... È giù a metà tra Charleston e Savannah, sapete».
«Oh, Charleston! Mi piace Charleston».
«Ad Anne piace più Savannah» disse Francis Wilmot.
Anne fece di sì col capo. Non era loquace, da quel che sembrava, anche se la sua voce era piacevole, per quel poco che si era sentita.
«È un posto solitario quello dove viviamo noi» disse Francis. «E sono quasi tutti neri... Anne non ha mai parlato con un inglese».
Anne sorrise. E sorrise anche Jon.
La conversazione si chiuse lì. Arrivarono alle provviste, disposte in modo da esigere il massimo esercizio muscolare e digestivo.
La signora Pulmore Hurrison, una donna sulla quarantina, e dai lineamenti marcati, era seduta con le gambe distese e le punte dei piedi all’insù. Vicino a lei, Gurdon Minho, il romanziere inglese, sedeva in posizione più appartata. Seguiva una certa quantità di ragazze dalle gambe scoperte. Un po’ in disparte mister Pulmore Hurrison stringeva i denti della sua piccola bocca sul turacciolo di una grossa bottiglia.
Il picnic era cominciato. E anche Jon e i Wilmot sedettero.
Jon si rese ben presto conto che erano tutti in attesa di sentire Gurdon Minho dire qualcosa di più che «Sì» «Davvero!» «Ah» e «Proprio!». Ma ciò non avvenne. Il celebre romanziere fu all’inizio quasi penosamente attento a quello che ognuno degli altri diceva, poi parve cadere in coma. E Jon sentì una patriottica delusione. Lui stesso non era, infatti, meno taciturno. E notò che fra le Blair (tre in tutto) e le loro due amiche si stava tramando una specie di complotto per qualche tiro da giocare al silenzioso inglese in futuro. Ma si sentiva confortato dalla muta sorella di Francis Wilmot. Sentiva che mai essa si sarebbe unita, e non ne avrebbe avuto il diritto, a quel complotto.
Cercò a ogni modo riparo nell’affannarsi a porgere vivande, e respirò di sollievo quando quel pasto a stomaco compresso fu finito.
I picnic erano come il giorno di Natale: meglio immaginarli nell’avvenire o ricordarli nel passato, che goderli nel presente.
Dopo il breve consueto periodo di separazione tra i sessi che segue a ogni pasto, le ceste vennero riordinate e tutti si avviarono ai loro mezzi di locomozione.
Le due vetture partirono verso un’altra collinetta distante circa due miglia. Francis Wilmot e le due Blair che erano venute a cavallo decisero di tornare indietro per vedere una partita di polo. Jon chiese ad Anne che cosa desiderasse fare. Vedere l’altra collinetta, scelse Anne.
Così montarono a cavallo e presero per i boschi, lungo un sentiero appena tracciato. Andarono in silenzio, finché Jon non chiese:
«Vi piacciono i picnic?»
«No, davvero».
«Neanche a me. Ma cavalcare, vi piace?»
«Più di ogni cosa al mondo».
«Più di ballare?»
«Certo. Cavalcare e nuotare...»
«Ah! Lo immaginavo!» fece Jon. E rimase zitto.
«Che cosa immaginavate?»
«Oh, ecco, pensavo che dovevate essere una grande nuotatrice!»
«Perché?»
E Jon rispose con imbarazzo:
«Per via dei vostri occhi...»
«Oh bella! Ho forse gli occhi di pesce?»
Jon rise.
«Non esattamente. Sono come quelli di una ninfa delle acque...»
«Non so se sia un complimento».
«Certo che sì».
«Credevo che le ninfe non fossero proprio rispettabili».
«Oh! Quelle delle acque sì... Molto rispettabili! E timide anche, naturalmente».
«Ce ne sono molte in Inghilterra?»
«No. A dire il vero io non ne ho mai vista una».
«Allora, come lo sapete?»
«Così, è una sensazione…»
«Suppongo che abbiate ricevuto un’istruzione classica. È così per tutti, in Inghilterra, vero?»
«Tutt’altro».
«E ditemi... Vi piace l’America, mister Forsyte?»
«Moltissimo. Però alle volte mi prende la nostalgia del mio paese».
«Mi piacerebbe viaggiare».
«Non avete mai viaggiato?»
La ragazza scosse la testa.
«Non faccio che stare in casa, e badare alle nostre cose... Ma finirà che dovremo vendere la nostra vecchia casa... Il cotone non rende più».
«Io coltivo pesche nei dintorni di Southern Pines, sapete, su nella Carolina del Nord. È una coltivazione che rende, per il momento».
«Vivete da solo?»
«No... Ho con me la mamma».
«Inglese?»
«Sì, inglese...»
«E vostro padre?»
«È morto, quattro anni fa...»
«Francis e io siamo orfani da dieci anni».
«Vorrei che veniste qualche giorno da noi, voi e vostro fratello... La mamma ne sarebbe felice».
«Vi somiglia, vostra madre?»
Jon rise.
«No. È bella, lei».
Gli occhi della ragazza lo guardarono gravi, le labbra si schiusero in un lieve sorriso.
«Mi piacerebbe venire, ma non possiamo assentarci di casa tutti e due insieme, io e mio fratello».
«Eppure» disse Jon, «siete tutti e due qui, ora».
«Torniamo domani. Io avevo una gran voglia di vedere Camden».
Gli occhi della ragazza ripresero a esaminar fermamente la faccia di Jon. «Perché non venite voi piuttosto» continuò, «a passare qualche giorno da noi? Vedreste com’è antica la nostra casa. Francis sarebbe felice se veniste...»
«Siete sempre sicura di quello che può rendere felice vostro fratello?»
«Certo».
«Sarebbe bellissimo... Ma davvero mi ospitereste volentieri?»
«Davvero! Perché no?»
«Mi piacerebbe tremendamente... Odio gli alberghi. Voglio dire... Ecco, sapete...»
Ma come lui stesso non sapeva, così non era sicuro che lo sapesse lei.
E lei spronò il cavallo, l’animale si lanciò al trotto.
Per le navate della secolare foresta di pini il sole batteva loro negli occhi. Un caldo profumo si alzava dagli aghi delle conifere, dalla resina e dalle erbe; il terreno era sabbioso e morbido; i cavalli di buon umore. Jon si sentiva felice. Quella ragazza aveva strani occhi incantatori, e cavalcava meglio delle Blair.
«Credo che tutti gli inglesi cavalchino bene, non è vero?», fece la ragazza.
«La maggior parte sì, quando cavalcano... Ma non si cavalca più tanto, oggigiorno».
«Mi piacerebbe vedere l’Inghilterra. La nostra famiglia è venuta dall’Inghilterra nel 1700... Dal Worcestershire. Dove si trova?»
«È come fosse il nostro Middle West», rispose Jon. «Ma così diverso dal vostro come non potreste immaginare... È una terra tutta di frutteti, bellissima; con le case di legno, e pascoli, campi, boschi, colline verdi. Vi sono stato una volta in gita con un compagno di scuola».
«Deve essere deliziosa... I nostri antenati erano cattolici. Possedevano un posto detto Naseby, e per questo chiamiamo Naseby la nostra tenuta di qui... Ma la nonna era una creola della Louisiana. È vero che in Inghilterra credono che i creoli abbiano sangue nero?»